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La lezione di Genova

Il crollo parziale del viadotto Polcevera (più conosciuto al grande pubblico come ponte Morandi) ha innescato una serie di considerazioni di carattere tecnico e gestionale sulla manutenzione delle infrastrutture viarie. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Gabriele Camomilla che, quando era Direttore della Ricerca e della Manutenzione della Società Autostrade, ha coordinato l’unico intervento strutturale di rilievo sull’opera

La lezione di Genova
“LG”: “Quando lei era Direttore della Ricerca e della Manutenzione di Autostrade si fecero importanti lavori sulla pila 11. Perché?”.

“GC”: “Come ho accennato, monitoravamo il ponte costantemente. La maggior difficoltà era ispezionare la sommità delle antenne delle pile e gli stralli, posti a 45 m dal piano stradale e privi, al contrario di quelli moderni, di sistemi di risalita; per quel controllo ravvicinato furono infatti usate le prime piattaforme telescopiche allora disponibili.

Sulla pila 11, disgaggiando una sottile copertura di calcestruzzo che appariva più poroso del resto, constatammo che l’integrità dello strallo Nord, dal lato Genova era stata compromessa per via di un problema durante il getto del rivestimento in fase di costruzione.

In prossimità della sella collocata al culmine dell’antenna, i cavi non erano ben distanziati, ma ammassati e quindi non erano stati interamente ricoperti dal calcestruzzo. Questo consentiva il contatto con l’aria e aveva portato alla corrosione per dissoluzione di circa il 30% dei tiranti.

Un elemento importante che bisogna però tenere in considerazione anche nell’analizzare il recente collasso, è che gli stralli erano comunque sollecitati per meno della metà del loro carico di rottura; un tasso di lavoro che dava un notevole margine di sicurezza e che quindi permetteva di intervenire con cautela, ma senza interrompere il traffico, se non in alcune fasi più delicate. L’impalcato era invece facilmente ispezionabile con appositi passaggi, una possibilità allora non comune che fa onore al Progettista”.

“LG”: “Quale fu la natura dell’intervento?”.

“GC”: “Scartammo l’idea della demolizione a cui mi opposi con accese discussioni, perché troppo complessa e rischiosa, proprio per la rimozione degli stralli precompressi sopra l’attraversamento dello scalo ferroviario.

C’era poi il problema di dover operare con la viabilità in esercizio, che poteva essere chiusa solo per brevi periodi e sempre di notte. Per definire il progetto ci avvalemmo dei maggiori esperti di allora, perché non esisteva ancora una conoscenza consolidata sul calcolo dei tiranti dei ponti strallati. La soluzione scaturì da un’idea dell’Ing. Francesco Pisani, che era stato il calcolatore di Morandi.

La sfida sul piano statico era notevole, perché se avessimo interrotto l’azione di sostentamento di un solo strallo anche per breve tempo, si sarebbero innescate azioni trasversali da parte degli altri tre, che avrebbero fatto ruotare l’impalcato, che a sua volta avrebbe portato a torsioni e rotazioni anche sull’antenna, conducendo al collasso dell’intera campata con una dinamica molto simile a quanto probabilmente successo il 14 Agosto.