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La lezione di Genova

Il crollo parziale del viadotto Polcevera (più conosciuto al grande pubblico come ponte Morandi) ha innescato una serie di considerazioni di carattere tecnico e gestionale sulla manutenzione delle infrastrutture viarie. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Gabriele Camomilla che, quando era Direttore della Ricerca e della Manutenzione della Società Autostrade, ha coordinato l’unico intervento strutturale di rilievo sull’opera

La lezione di Genova

Nel 1982 il metodo fu adottato in Italia proprio da Autostrade SpA e fu definito con il nome di terotecnologia stradale, ma stentò a diffondersi al di fuori dell’ambito autostradale per una serie di motivazioni.

Spesso, infatti, gli aspetti tecnici e quelli burocratici si intrecciano e fanno apparire come ingegneristiche questioni che, in realtà, sono solo di natura amministrativa e riguardano il processo decisionale; il collasso parziale del Polcevera ne è un esempio forse estremo, ma senz’altro tragico e lampante.

Non credo tuttavia si possa chiudere il caso dicendo che sia un problema esclusivamente italiano: come dicevo, bisogna infatti che si capisca in modo definitivo quanto la manutenzione debba essere considerata un’attività primaria in termini tecnici ed economici.

Ne sono così convinto che ancora oggi mi occupo di terotecnologia. Detto questo, il caso del viadotto Polcevera è particolare perché è una struttura unica e quasi visionaria per i tempi in cui fu realizzata”.

“LG”: “Cosa intende esattamente?”.

“GC”: “Intendo dire che trovo insopportabile il tiro al bersaglio su Riccardo Morandi, che insieme a Nervi, Musmeci e ad altri, meno conosciuti all’estero ma di altrettante capacità tecniche, hanno dato un contributo all’ingegneria mondiale.

Il vero tallone di Achille del viadotto Polcevera non è nell’impostazione progettuale, ma nei materiali e nelle conoscenze del tempo sul loro comportamento ai fenomeni di fatica e agli effetti degli agenti atmosferici. La cura di Morandi fu quasi maniacale nella ridondanza di portanza progettuale e nella protezione della durabilità degli stralli, cioè degli elementi fondamentali di quella particolare soluzione statica.

Con un’adeguata manutenzione quel viadotto avrebbe potuto essere sicuro e continuare ad essere considerato quello che fu per anni dalla sua apertura, e cioè un ardito capolavoro ingegneristico, quanto meno per le tre campate a grande luce libera. Il Polcevera può essere infatti ritenuto come il padre di tutti i ponti strallati moderni ad arpe multiple.

Quando, per dimostrare i limiti dello schema statico adottato da Morandi, si cita il crollo di alcune campate del viadotto di Maracaibo, che in embrione si basava su un’impostazione statica simile al Polcevera, ci si dimentica che una pila V, ma senza stralli, fu colpita da una petroliera di 36.000 t che navigava quasi a velocità di crociera; poche strutture reggerebbero una sollecitazione del genere”.