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La lezione di Genova

Il crollo parziale del viadotto Polcevera (più conosciuto al grande pubblico come ponte Morandi) ha innescato una serie di considerazioni di carattere tecnico e gestionale sulla manutenzione delle infrastrutture viarie. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Gabriele Camomilla che, quando era Direttore della Ricerca e della Manutenzione della Società Autostrade, ha coordinato l’unico intervento strutturale di rilievo sull’opera

La lezione di Genova

Il progetto dispose infatti che si dovesse intervenire trasferendo gradualmente il carico dei tiranti interni su dei tiranti esterni ricoperti di polietilene di nuova concezione, già sperimentati su altri ponti strallati più recenti. Erano stati messi a punto da Alga, un’azienda di Milano che oggi non opera più in Italia ma in Cina, dove ha fornito sistemi speciali per oltre 900 ponti sull’alta velocità Pechino-Shanghai.

Le fasi dell’intervento furono abbastanza complesse per essere descritte in un’intervista, ma possono essere riassunte come l’istallazione di un sistema di cavi esterni che hanno sostituito in modo graduale quelli esistenti e che solo alla fine dell’intervento hanno ricevuto tutto il carico di quelli originali.

Fu una tecnica molto innovativa, presentata poi in un convegno internazionale, che restituì e, anzi aumentò, l’efficienza statica della struttura che oggi ancora sembra in ottimo stato. Credo fosse, ma non ne ho la certezza, il tipo di intervento previsto per le pile a cavalletto collassate”.

“LG”: “Perché non si intervenne subito sugli stralli delle altre antenne?”.

“GC”: “Naturalmente facemmo dei controlli accuratissimi con prove tradizionali di carbonatazione con fenolftaleina e rilievo dei difetti cui furono aggiunti dei rilievi di deformazione esterni e altri tipi di sensori tradizionali, che poi si rivelarono inadeguati per valutare la stabilità in quanto fornivano migliaia di dati non elaborabili legati ai movimenti del traffico che, in questo tipo di struttura, sono rilevati per il trasferimento continuo da una parte all’altra dei cavalletti.

Furono anche usati altri sensori più sofisticati per misure periodiche con cadenza prima semestrale e poi diradata, in quanto non manifestavano difetti di portanza nei cavi principali. Erano sensori che valutavano le onde riflesse del flusso magnetico indotto nel fascio di cavi: un aumento avrebbe significato potenziali riduzioni di sezione resistente; era però un sistema di tipo deduttivo, cioè l’analisi del segnale comportava attività complesse.

Passammo quindi a sistemi, pure di tipo deduttivo, come per esempio l’analisi modale che all’epoca era però poco selettiva. In base a tutti i rilievi si concluse comunque che non si dovesse intervenire e ci si limitò ad aggiungere sulla pila 10 delle placcature esterne in acciaio oggi ancora visibili. Si fecero anche iniezioni di saturazione dei vuoti, per sigillare alcune disgregazioni superficiali della protezione in calcestruzzo, che non potevano essere trattate con malte a quella altezza e nella parte sottostante lo strallo. Non si riscontrarono però anomalie sui tiranti”.