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La lezione di Genova

Il crollo parziale del viadotto Polcevera (più conosciuto al grande pubblico come ponte Morandi) ha innescato una serie di considerazioni di carattere tecnico e gestionale sulla manutenzione delle infrastrutture viarie. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Gabriele Camomilla che, quando era Direttore della Ricerca e della Manutenzione della Società Autostrade, ha coordinato l’unico intervento strutturale di rilievo sull’opera

La lezione di Genova

Ne ho parlato con un Fisico esperto di elettromagnetismo, il quale mi ha spiegato che in queste condizioni può intervenire il fenomeno della magnetostrizione. L’acciaio, sollecitato dal forte campo elettromagnetico, può essere soggetto a un cambiamento molecolare di cristallizzazione che ne può aumentare in modo significativo la fragilità e lo fa anche vibrare in modo incontrollato, riducendone le resistenze.

Non si deve quindi escludere che un fulmine abbia concorso a far cedere anche alcuni trefoli di uno strallo. Per anomalia insolita intendo invece le microcricche di fessurazione che si formavano negli acciai martensitici trafilati a caldo dei tiranti; queste microcricche si possono evolvere nel tempo senza presentare la strizione che si ha nella normale corrosione a dissoluzione sfogliante.

L’evoluzione delle cricche è provocata dalle elevate tensioni a cui i cavi sono sottoposti e per questo il fenomeno, denominato corrosione fessurante sotto tensione, non viene facilmente rilevato nella sua fase iniziale, ma può provocare la rottura fragile improvvisa.

Se alcuni trefoli erano effettivamente soggetti a queste condizioni, il fulmine, provocando strizioni e intense vibrazioni, può aver generato la rottura dei cavi portanti anche di un solo strallo. A quel punto si sarebbero innestati fenomeni di instabilità capaci di sbilanciare la trave a cassone trattenuta in modo simmetrico dai quatto stralli.

Lo sbilanciamento avrebbe causato prima la caduta delle campate portate che frenavano le azioni di torsione generate dalla dissimmetria delle resistenze, poi la caduta delle alte torri ad A, seguita da quella dell’impalcato a cassone, abbattuto dal peso delle antenne perché senza più il sostegno degli stralli collassati.

Questa ipotesi, se accertata dall’analisi sullo stato dei monconi di acciaio degli stralli, non è una spiegazione in grado di escludere altre cause o eventuali responsabilità, ma potrebbe offrire un elemento in più per comprendere le ragioni da un punto di vista tecnico del collasso repentino e inaspettato.

Fra le concause insolite, ci potrebbe essere anche quella, meno complessa da capire, di un carico molto pesante, che, caduto dal veicolo su cui era trasportato, ha colpito un punto strutturalmente nevralgico del ponte, come ad esempio la zona di attacco degli stralli.

L’energia d’urto, legata sia alla massa del carico, che al quadrato della velocità del veicolo, avrebbe potuto essere devastante e provocare la rottura dell’attacco, innestando il conseguente cinematismo di crollo che ho descritto. Gli effetti di questo tipo di carichi dinamici sono sempre molto più distruttivi di quelli previsti nei progetti”.