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La lezione di Genova

Il crollo parziale del viadotto Polcevera (più conosciuto al grande pubblico come ponte Morandi) ha innescato una serie di considerazioni di carattere tecnico e gestionale sulla manutenzione delle infrastrutture viarie. Ne abbiamo parlato con l’Ing. Gabriele Camomilla che, quando era Direttore della Ricerca e della Manutenzione della Società Autostrade, ha coordinato l’unico intervento strutturale di rilievo sull’opera

La lezione di Genova
“LG”: “Quando si riferisce alle problematiche relative ai materiali, parla degli stralli o del calcestruzzo utilizzato per i vari elementi strutturali?”.

“GC”: “Ad entrambi. Per quanto riguarda il calcestruzzo, che qualche giornale ha definito erroneamente di bassa qualità, bisogna considerare che negli anni Sessanta non esistevano criteri quali le classi di esposizione e la durabilità, che sono stati messi a fuoco a partire dai primi anni Ottanta.

Non si conosceva neanche il concetto di ritiro controllato del calcestruzzo che ha visto in un altro italiano, il Prof. Mario Collepardi, uno dei luminari della materia a livello mondiale. Si pensi poi allo sviluppo degli additivi, che oggi alcune Aziende italiane esportano in tutto il mondo e che permettono di ottenere miscele con classi di esposizione e moduli elastici prima impensabili.

Tra l’altro, questi materiali sono stati usati nella manutenzione delle pile a V del tratto rimasto integro dopo il collasso per proteggere le armature più esterne, insidiate dalla carbonatazione dei copriferro.

Oggi ci sono poi i sistemi catodici delle armature, che consentono di garantire ripristini e offrono garanzie di durabilità prima considerati irraggiungibili. Morandi era comunque attento al degrado della struttura e aveva pensato di proteggere i 352 trefoli che compongono la parte portante degli stralli con calcestruzzo precompresso.

Voleva infatti evitare che si fessurasse nel tempo per via dell’interscambio continuo di sollecitazioni legate al passaggio del traffico e agli altri agenti, quali il vento e le dilatazioni termiche. Il calcestruzzo utilizzato al tempo, non additivato e soggetto comunque a fenomeni di degrado localizzato per carbonatazione, ha presto cominciato a presentare, prima cavillature, e poi veri e propri distacchi di piccoli elementi che però non diminuivano le sue capacità portanti.

Morandi l’aveva ricordato nel 1979, in un congresso internazionale, e aveva indicato chiaramente che era necessario intervenire sul rivestimento protettivo. La densa camicia protettiva degli stralli ha invece difeso egregiamente per mezzo secolo l’anima di acciaio interna.

Grazie ai suoi notevoli spessori non fessurabili, ben superiori a quelli dei normali copriferro, il rivestimento ha però impedito l’ispezione diretta, richiedendo sistemi di controllo sofisticati.

Lo stesso ragionamento sulle conoscenze di allora vale anche per gli acciai degli stralli; quelli di oggi offrono infatti resistenze a trazione, carichi di rottura e moduli elastici notevolmente superiori rispetto a quelli che al tempo erano considerati i migliori per quel tipo di utilizzo.

Per di più oggi sono anche ricoperti con guaine in polietilene e riempiti di grassi anticorrosivi che li proteggono in modo molto efficace, ma soprattutto non sono soggetti a certi tipi di corrosione fessurante sotto tensione, fenomeno non noto a quei tempi”.