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La riabilitazione dei ponti in calcestruzzo armato

Da Integra, alcune tematiche emerse dalle esperienze degli ultimi anni

Manutenzione di ponte

Facendo seguito alle memorie pubblicate su questa testata a firma degli scriventi sul tema della riabilitazione dei ponti in calcestruzzo armato e calcestruzzo armato precompresso italiani [1, 2 e 3], in questo lavoro, prendendo spunto da progetti terminati ovvero in fase avanzata di realizzazione, discuteremo di alcune delle principali problematiche che stanno emergendo dalla riabilitazione di queste opere.

L’interesse della Integra nella riabilitazione dei ponti storici – calcestruzzo, muratura ma anche opere in ferro portate da funi – risale ad esperienze fatte all’estero a partire dagli anni Novanta.

In tutta l’Africa vi sono infatti molti ponti realizzati in epoca coloniale che hanno richiesto interventi di riabilitazione già negli ultimi decenni del secolo scorso quando qui in Italia eravamo ancora tutti proiettati nella realizzazione di nuove infrastrutture senza accorgerci che stava esplodendo la necessità della riabilitazione e rafforzamento delle esistenti.

Si segnalano, per chi volesse approfondire, la prima riabilitazione mediante precompressione esterna in Etiopia [4] e quelli sulle grandi luci Algerine [5, 6 e 7].

Ponte di Castiglione a Casauria
1. Il ponte di Castiglione a Casauria durante l’intervento

L’ottimizzazione del valore

Nella precedente memoria sul tema della riabilitazione dei ponti a travata sono state individuate alcuni semplici relazioni matematiche per provare a quantificare l’efficacia economico-finanziaria degli investimenti di riabilitazione.

Da una verifica expost con i nostri lettori abbiamo avuto modo di verificare che, nonostante il testo fosse estremamente basico ed utilizzasse praticamente una sola formula finanziaria, quella degli interessi composti, molti di loro hanno semplicemente saltato la parte della memoria dedicata a questo argomento. Riteniamo quindi necessario riproporlo, in forma ancora più semplice e stringata, in quanto è un argomento dirimente che ci viene spesso posto dai clienti su basi purtroppo errate.

Se abbiamo un viadotto un po’ malconcio e dobbiamo decidere tra riabilitazione e demolizione/ricostruzione, come facciamo? Da una parte possiamo valutare il costo di demolizione e ricostruzione. Questo è un numero abbastanza facile da ottenere.

Le principali incognite sono quelle legate ai costi ambientali e di disturbo all’utenza. Fattorizzarle in termini economici è piuttosto arduo e non sempre univoco, soprattutto il primo. Senza voler sminuire la portata di questi due fattori, che sono importantissimi, si può però pensare in prima istanza di non tenerne conto onde lavorare con costi più certi e confrontabili, ovvero il solo importo lavori.

Bene, fatto 100 il costo di demolizione e ricostruzione ex novo, quello di riabilitazione sarà probabilmente minore in quanto si recupera parte del valore residuo dell’opera esistente, per quanto malmessa. Avendo a disposizione questi due valori, come si fa a confrontarli?

Nella memoria summenzionata si dimostrava che la convenienza di una o l’altra soluzione dipende dalla vita utile che si ottiene nei due casi ed il rapporto tra questi due valori e quelli di costo. Nell’ipotesi di vivere in un mondo a crescita nulla dove i capitali non diano rendimento è facile capire che se spendo la metà per riabilitare devo avere una vita utile della struttura riabilitata che sia almeno la metà di quella nuova, altrimenti non mi conviene.

Dato però che i capitali – in questo caso quelli risparmiati riabilitando – danno un rendimento, per quanto piccolo sia, componendo questi rendimenti sugli intervalli decennali di esercizio di una infrastruttura, si vede facilmente che se spendo per riabilitare la metà di quello che spendo per demolire/ricostruire, la riabilitazione risulta conveniente anche se la vita utile è decisamente inferiore alla metà del nuovo, diciamo basta un terzo.

Quindi, se oggi riusciamo a riabilitare i ponti con un costo pari a circa 1.000-1.500 Euro a metro quadro, è sufficiente che questi interventi procrastinino la demolizione e ricostruzione di 20-30 anni. Questo concetto, purtroppo, non è così chiaro perché in molti casi ci viene chiesto che le strutture riabilitate abbiano la stessa vita utile e le stesse performance del nuovo.

Sigillatura seggiole Gerber
2. Il ponte di Castiglione a Casauria, dettaglio sigillatura seggiole Gerber

Questo non è generalmente possibile, ovvero nel caso di riabilitazione è scontato che si debba ottenere un miglioramento ma anche nel caso si voglia perseguire il così detto “adeguamento” è ovvio che non si possano sempre ottenere le stesse specifiche del nuovo, dato che si spende di meno ottenendo un prodotto di qualità generalmente inferiore.

Se, da una parte, si ignora questo nesso causa effetto (minore spesa = minore prestazione), dall’altra, si continua a lavorare con costi di appalto e costruzione che devono esporre due cifre decimali (centesimi di Euro) anche per lavori di diverse decine/centinaia di milioni di Euro che saranno terminati non prima di 10 anni. Siamo rimasti solo noi al mondo insieme ad alcuni Paesi in via di sviluppo.

Questa delle cifre decimali può sembrare una questione inessenziale di sola forma ma non lo è: utilizzare numeri totalmente ininfluenti, come i centesimi di euro in un appalto milionario, mina alla radice l’utilizzo stesso dei numeri quale elemento di giudizio, soprattutto se contestualmente si vuole imporre “ex legis” che spendendo la metà si possa ottenere il tutto, arrotondando quindi 0,5 ad 1.

Ma prendiamo ora spunto da alcuni esempi di riabilitazione effettuati negli ultimi due anni per trattare temi sia strutturali che di cantierizzazione ma anche di bilancio economico con riferimento a quanto detto sopra.

Il ponte di Castiglione a Casauria 

Le seggiole Gerber

Il ponte di Castiglione a Casauria (PE) è stato chiuso per molti anni. La spalla in sponda destra era scivolata a valle di quasi un metro andando a battuta sull’impalcato e ruotando. Sulle pendici a monte in sponda destra c’è una zona che i locali chiamano “acquaviva”, se poi ci si aggiunge un sistema fognario maldestro della frazione che sorge immediatamente a monte della spalla ballerina si capisce come mai la fondazione superficiale fosse scivolata così allegramente a valle.

Effettivamente, il ponte pareva molto mal messo e si stava valutando di demolirlo e ricostruirlo. Sono 100 m di lunghezza, alti più di venti sul fondo valle, piattaforma di 7 m. Diciamo che demolizione e ricostruzione non potevano costare meno di 3 milioni, con la prima molto complessa ed impattante – questi manufatti in calcestruzzo piuttosto imponenti non sono facili da smontare – e la seconda che avrebbe richiesto una struttura mista su luci simili (30-40-30).

Abbiamo proposto alla Provincia di Pescara di riabilitarlo e si è speso un milione circa. Si è fermata la spalla fondandola su micropali e sistemando il sistema di scolo delle acque reflue della suddetta frazione.

Ponte di Calvisano
3. Il ponte di Calvisano, fotografato da valle, prima dell’intervento

Si sono incollate le seggiole Gerber secondo uno schema che sta diventando ricorrente in molti dei nostri interventi e si sono cambiati gli appoggi per permettere i nuovi cinematismi termici (quelli lenti sono terminati), migliorando, al contempo, la risposta sismica dell’opera. Si è dovuto intervenire anche sulla pila in sponda destra alla quale l’impalcato aveva trasferito una bella botta. I lavori sono stati eseguiti con la solita maestria e dedizione dalla De Leonibus Costruzioni con cui vantiamo un rapporto di collaborazione decennale.

La solidarizzazione delle seggiole Gerber elimina la percolazione delle acque di piattaforma dentro le seggiole stesse e sul sottostante impalcato e conferisce un forte aumento di resistenza locale, diciamo a taglio.

Il tema della perdita di resistenza a taglio delle seggiole Gerber è molto attenzionato ma anche sopravvalutato. Le seggiole Gerber sono infatti spesso delle “panche” Gerber, ovvero la seggiola è continua su tutta la larghezza dell’impalcato dato che sono normalmente realizzati due trasversi che poggiano uno sull’altro. Una rottura di questi ultimi, che sono poi continui con la soletta, è molto improbabile.

L’unico crollo fragile a taglio di una travata Gerber (il cavalcavia Annone, in provincia di Lecco, nel 2016) si è infatti avuto dove tale seggiola era appunto limitata alle sole travi. Di situazioni cosi ve ne sono per altro diverse anche se sono minoritarie rispetto al caso dove l’appoggio è appunto esteso a tutto il trasverso come nel caso in esame.

Qui a Castiglione lo spessore della soletta continua realizzata in corrispondenza delle seggiole Gerber è inferiore ai 10 cm per cui il contributo al trasferimento dei carichi è contenuto ma non trascurabile: in altri casi, questo spessore è stato aumentato per ottenere il totale ripristino della resistenza tagliante. Su di una soletta di 2 m2 di sezione, diciamo 25 cm per 8 m circa, lavorando con tensioni tangenziali robuste, da betoncino fibro-rinforzato, ad esempio 2 MPa, si ottengono 400 t di capacità a taglio.

Tutto sta ad essere capaci di prendere queste forze con inghisaggi ed eventuali barre dalla trave tampone dato che dall’altro lato ci si “appoggia” sulle stampelle di testa pila.

Il ponte di Calvisano 

I giunti e le nuove solette

Il ponte di Calvisano (BS) un bel giorno se l’è vista brutta. Un manipolo di Ispettori goliardici ne aveva decretato la totale inadeguatezza a dispetto del fatto che, evidentemente, era lì in esercizio. Tra le tante cose non tornava un momento ultimo della travata.

Noi ci siamo impietositi, gli abbiamo abbonato il momento ultimo fermandoci al penultimo. Il ponte è bellissimo, la location incantata, con un vecchio sbarramento poche centinaia di metri a valle ormai perfettamente integrato con l’ambiente circostante, pianura bresciana naturale di grande fascino.

Lavorazioni in soletta sul ponte di Calvisano
4. Lavorazioni in soletta sul ponte di Calvisano

Le fondazioni e le belle pile in muratura non hanno problemi in quanto non c’è scalzamento, l’impalcato in calcestruzzo armato neanche troppo malconcio, ma con una piattaforma di larghezza insufficiente e con un sistema di appoggi mobili a pendolo e giunti, che non funzionavano più come originariamente voluto.

Si è disposto un intervento standard con soletta continua ed eliminazione di tutti i giunti di pila lasciando solo quelli sulle spalle dove sono stati inseriti degli appoggi in neoprene di adeguata cedevolezza. Per il resto, sono stati mantenuti i pendoli esistenti.

Il ponte già si muoveva termicamente sulle spalle ma dato il forte attrito aveva danneggiati l’intradosso travi e le spalle stesse. L’intradosso travi nei primi metri vicino all’appoggio spalle è stato pertanto rinforzato e protetto con un coppo in lamierino.

La soletta è stata alleggerita di tutte le stratificazioni geologiche accumulate nei decenni ed è stata allargata e rinforzata con una solettina nuova in calcestruzzo ad alte prestazioni armata con rete e inghisaggi, tutto rigorosamente zincato.

Quello della zincatura non si capisce perché non diventi obbligatorio con un costo aggiuntivo per le armature di circa 50 centesimi al chilo. Armando una solettina con 10 kg/m2 parliamo di 5 Euro, se volessimo armare forte a 20 kg/m2 si arriverebbe a 10 Euro, mettine altri 10 per profitti ed inefficienze varie e siamo a 20 Euro/m2 su non meno di mille Euro di costo di riabilitazione complessivo a metro quadro di impalcato.

Lavori eseguiti in pochi mesi con efficacia da Marzocchi Srl sotto la Direzione Lavori super professionale di Autostrade Centropadane Srl per un costo complessivo pari a circa 1 milione. Qualunque possibile confronto con demolizione e ricostruzione è ovviamente impietoso, ma bisogna stare attenti a non incappare nel momento ultimo. 

L’arco di Morandi sul lago di Corbara 

I ripristini corticali

L’arco cosi detto del Cerratello, in effetti sul fosso della Pasquarella, un immissario del lago di Corbara, lungo la statale S.S. 448 in Umbria è un’opera di Morandi che versava in uno stato di ammaloramento piuttosto avanzato.

Il ponte di Calvisano riabilitato
5. Il ponte di Calvisano riabilitato

Soprattutto i puntoni che sorreggono l’impalcato erano molto malconci, l’impalcato fortemente appesantito e danneggiato dalle percolazioni delle acque di piattaforma dai giunti: oltre che sulle spalle ce ne è uno in mezzeria sull’impalcato, messo da Morandi per disaccoppiare la risposta globale di quest’ultimo dall’arco sottostante.

Questo lavoro è un classico esempio di ripristino corticale, lo schema ad arco spingente sulle due paretone di roccia compatta è ovviamente molto robusto e non richiedeva adeguamenti. Sui ripristini corticali e sugli aspetti teorici e pratici conseguenti scontiamo invece il fatto che in Italia manca una scuola consolidata di Meccanica della Frattura.

Quando parliamo di adesione e resistenza alla trazione diretta di materiali eterogenei quasi fragili come il calcestruzzo, dobbiamo sapere che la rottura è dovuta alla propagazione di fessure, meccanismo che non si può caratterizzare solamente con la resistenza (in questo caso a trazione, strappo).

I prodotti per il ripristino corticale vengono dati con una certa resistenza di adesione; tipicamente si garantisce 1 MPa almeno, ma in cantiere, quando si prova a strappo una superficie di appena 100 cm2, è facile che non si arrivi ad 1 tonnellata.

Per lo stesso motivo – aleatorietà, dipendenza dalle condizioni al contorno, etc… – non si fanno prove a trazione diretta dei provini di calcestruzzo ma le loro proprietà a trazione vengono indagate mediante flessione su provini intagliati riuscendo quindi a misurare sia la resistenza che l’energia di frattura.

Vi è poi una differenza tra prodotti colati con cassero e malte “autoreggenti”: ovviamente, i primi sono più efficaci in quanto per definizione “bagnano” maggiormente le superfici di contatto. La potenza di una colla – questi prodotti si devono appunto incollare al substrato originale – risiede infatti proprio nella sua capacità di “bagnare” le superfici da incollare piuttosto che in una non meglio precisata “appiccicosità” ovvero resistenza a trazione.

La rottura è infatti innescata dai punti non bagnati da cui si propaga la fessurazione. Sta di fatto che i ripristini corticali, come tutti gli incollaggi, possono dare risultati molto differenti a seconda della cura che vi si pone ma anche delle condizioni ambientali al contorno che possono giocare a sfavore, tipicamente temperature prossime o sotto lo zero.

Secondo noi non guasta pertanto associare alla aderenza chimica anche una meccanica. Se si mettono degli inghisaggi su maglia passo 20 cm, quindi con 400 cm2 di area di influenza, per garantire 0,5 MPa è necessario avere una capacità dell’inghisaggio di appena 20 kN.

Il progetto a base di affidamento presentava diverse ingenuità, questo è purtroppo ricorrente e richiede una fase ulteriore di progettazione costruttiva.

Ponte del Cerratello
6. Il ponte del Cerratello prima degli interventi di riabilitazione

Avevamo sollevato in una memoria su questa testata [8] il problema che le tre fasi di progettazione “Merloni” – Preliminare, Definitivo ed Esecutivo – erano troppe, ora sono state accorpate in due, ma non Preliminare e Definitivo, come sarebbe stato più logico, ma Preliminare avanzato ed Esecutivo, che esecutivo non è mai.

I lavori sono in fase avanzata di realizzazione, con grande maestria, dall’Impresa Cassino S.r.l. sotto la direzione della forte squadra Umbra di ANAS.

Oltre ai ripristini corticali, sono state eliminate le diverse ricariche di impalcato che insistevano sul basolato originale, anch’esso rimosso a favore di una soletta di rinforzo che da sola garantisce una resistenza non trascurabile ad un piccolo arco che una volta rinforzati i puntoni sorregge l’impalcato a scarsi 10 metri di interasse.

Il costo complessivo dei lavori è di circa 2 milioni, anche qui un no brainer se si tiene conto di cosa avrebbe comportato la demolizione dell’opera sempre che lo si fosse potuto fare, tenendo conto che è un bell’arco di Morandi.

Il viadotto Velino sulla Salaria 

La sostituzione degli impalcati e l’isolamento sismico

Il viadotto Velino è un’opera molto grande lungo la Salaria, in prossimità del comune di Antrodoco (RI): 32 campate da 35 metri per una larghezza di 15, dato che l’unica carreggiata ha la corsia di arrampicamento in direzione Ascoli.

L’impalcato è sorretto da cinque travi precompresse che versano in uno buono stato di conservazione. La soletta presenta segni di corrosione passante in alcuni punti come la maggior parte di questi elementi che non avevano una impermeabilizzazione adeguata e sono soggette all’azione dei sali antigelo.

Il ponte deve aver sentito tutta la forte sequenza sismica del Centro Italia del 2016-2017- quella che ha raso al suolo la vicina Amatrice – ma non ha subito danno alcuno. Gli appoggi in neoprene non mostrano segni di disallineamento, le pile non erano fessurate.

Queste ultime erano invece molto malmesse, soprattutto la parte alta e i pulvini, a causa della percolazione delle acque di piattaforma dai giunti, che purtroppo sono 33.

Dettaglio armatura di ripristino
7. Dettaglio armatura di ripristino

Si è quindi cominciato con il ripristino e il rinforzo corticale delle pile. Rete zincata a confinare il fusto aumentando molto la duttilità ma anche un po’ la resistenza. Interventi di rinforzo in fondazione con micropali dato che la roccia è molto superficiale.

Per la connessione dell’armatura zincata ai fusti pila esistenti si è adottato un sistema a chiodi sparati che velocizza molto le lavorazioni. Questi chiodi possono dare una resistenza all’estrazione di circa 5 kN, resistenza che probabilmente aumenta parecchio nel caso in cui il chiodo venga estratto una volta che la superficie del calcestruzzo originale è confinata dal nuovo placcaggio in rete e betoncino.

La soluzione dovrebbe essere conveniente nei casi, come il Velino, dove i lunghi fusi pila danno ampie lunghezze di trasferimento tensionale, quindi minori tensioni unitarie di scorrimento.

Questi strati corticali con il loro spessore e armatura diventano infatti delle vere e proprie camicie di rinforzo. Dove si hanno invece gradienti delle sollecitazioni elevati – elementi tozzi o forze concentrate – è probabilmente meglio adottare soluzioni con inghisaggi classici. Sulla soluzione definitiva per l’impalcato vi sono ancora diverse opzioni aperte.

Il progetto a base di affidamento prevede di rifare adeguando a “norma” cordoli, barriere e giunti, quest’ultimi con ampiezza calcolata da Stato Limite con terremoto millenario, quindi circa 40 cm di escursione l’uno.

La scelta appare opinabile se si pensa che i giunti esistenti (forse 5 cm di escursione) non hanno subito alcun danno nell’ultima serie sismica, ma per contro, non essendo a tenuta d’acqua, hanno contribuito più di ogni altro singolo fattore all’ammaloramento dell’opera nel corso dei 40 anni di esercizio.

Viadotto Velino
8. Viadotto Velino prima degli interventi di riabilitazione

L’impalcato verrebbe invece lasciato così com’è in attesa di un secondo appalto che lo sostituisca con una nuova travata a struttura mista secondo una soluzione che in questi ultimi anni si è proposta più di quanto si sia realizzata per l’ovvia inefficienza di mettere un impalcato nuovo, che è la componente più costosa, su pile riabilitate con vita residua nettamente inferiore.

L’alternativa è di riabilitare l’impalcato esistente eliminando gran parte dei giunti e isolando le catene cinematiche cosi ottenute su nuovi appoggi in neoprene. La questione da risolvere riguarda i testa-pila.

Lì oggi il ponte ha degli appoggi in neoprene di picco calcestruzzo armato che prevengono la caduta dell’impalcato sia in direzione longitudinale che trasversale. Questi ritegni, su pile alte che portano travi in semplice appoggio, sono abbastanza opportuni: in caso di sisma, spostamenti relativi elevati, causati anche da cedimenti fondazionali, possono causare perdita di appoggio degli impalcati.

Oggi per zancare i nuovi isolatori antisismici si dovrebbe tagliare questi ritegni e poi ragionevolmente rimetterli, probabilmente in carpenteria metallica come si è fatto diffusamente sulle vicine A24 e A25.

Considerato che la zancatura delle travi già in opera con le testate occupate dagli ancoraggi dei trefoli è una lavorazione che richiede carpenterie metalliche aggiuntive e getti appositi di betoncino per trovare il modo di inghisare tali zanche, quindi una operazione molto più laboriosa e lunga della semplice sostituzione degli appoggi, tornerebbe ad essere più conveniente la soluzione originale di sostituzione integrale dell’impalcato.

A nostro avviso è più efficace utilizzare i ritegni esistenti mettendo appoggi non zancati. La struttura verifica abbondantemente lo stesso, si risparmia molto tempo e denaro.

D’altronde, quando fummo chiamati nell’imminenza del dopo terremoto a controllare gli appoggi dello svincolo della S.S. 17 a l’Aquila ci fu chiaro come lo spostamento degli appoggi in neoprene armato, in quel caso su pile basse, è tutto sommato benefico, fa da fusibile dissipativo, e d’altronde su questo principio si basa il mitico “fiction” pendulum.

Armatura di ripristino e chiodatura
9A e 9B. Dettaglio armatura di ripristino e chiodatura

Ma la cosa ancor più istruttiva è che lo scorrimento non necessariamente avviene tra le contro-piastre e le superfici in calcestruzzo della struttura, ma può anche avvenire all’interno della stratificazione degli appoggi che sono appunto un “incollaggio” di strati di acciaio e neoprene.

Conclusioni

La riabilitazione del nostro parco ponti è finalmente iniziata ma sta avanzando con una velocità che è inferiore a quanto dovrebbe. Il problema fondamentale sono le risorse: l’ANAS dispone per manutenzione straordinaria di poche decine di milioni anno per Compartimento, servirebbero importi decisamente superiori.

Le Province in molti casi stanno messe ancora peggio. Gli importi disponibili vengono in parte spesi per operazioni standard tipo giunti, cordoli e barriere che sono molto onerosi ma non altrettanto funzionali a prolungare la vita utile delle nostre strutture, prolungamento di cui abbiamo un disperato bisogno. Facendosi scudo con le due parole chiave di “sicurezza” e “messa a norma” si fanno interventi su questi elementi che potrebbero in diversi casi essere procrastinati a favore di altri più urgenti.

Anche nelle fasi propedeutiche di controllo, verifica e progettazione, molte risorse si stanno bruciando con una campagna di ispezioni irrealistica ed abbastanza velleitaria: ispezioniamo una infinità di opere con una frequenza eccessiva. Per fare queste ispezioni inviamo tanti nuovi giovani adepti senza esperienza che nonostante la buona volontà non sono in grado di capire quando un’opera è realmente critica e come sia necessario intervenire.

Le opere più critiche finiscono comunque, per ragionevolezza, sul tavolo dei soggetti più preparati ma a questa criticità non sempre corrisponde un canale privilegiato che permetta di risolvere i problemi in tempi rapidi con una disponibilità di fondi adeguata. Forse è necessario istituire delle corsie privilegiate per gli interventi critici di urgenza. Di questi ce ne sono tanti, in una prossima memoria tratteremo degli interventi più interessanti in itinere.

Appoggio del viadotto
10. Un appoggio del viadotto di svincolo della S.S. 17 post sisma all’Aquila

Bibliografia

[1]. M. Petrangeli, I. Lardani, F. Del Drago – “Conservazione e rinnovamento dei ponti stradali italiani”, “Strade & Autostrade” n° 136 Luglio/Agosto 2019, pp. 46-56, ISSN 1723-2155.

[2]. M. Petrangeli – “Collaudo Ergo Sum”, “Strade & Autostrade” n° 142 Luglio/Agosto 2020, pp. 40-45, ISSN 1723-2155.

[3]. M. Petrangeli, L. Gasperoni, F. Oliveti, G. Potenza (2022). “La riabilitazione dei ponti stradali a travata”, Strade & Autostrade, 154 (4/2022), pp. 65-70, ISSN 1723-2155.

[4] M. Petrangeli and M. Petrangeli, (2000). “Rehabilitation of the Sidi M’Cid Suspension Bridge”, SEI, 4/2000, pp.254-258, ISSN 1016- 8664, SCOPUS: 2-s2.0-0039252357

[5] M. Petrangeli and M. Petrangeli, (2009). “The Chiani Suspension Bridge: A Complete Overhaul”, SEI, 3/2009, pp.262-270, ISSN 1016- 8664, SCOPUS: 2-s2.0-68949167449

[6] M. Petrangeli, C. Andreocci, P. Tortolini (2016) “Ponti in muratura: Riparazione e ricostruzione prostetica di due opere storiche a Costantine la “Ville des Ponts”, Strade & Autostrade, 120 (6/2016), pp. 48-52, ISSN 1723-2155.

[7] M. Petrangeli, C. Andreocci, P. Tortolini, C. Magnani, G. Oliva (2015) “Il ponte sospeso di Kamoro in Madagascar”, Strade & Autostrade, 109 (1/2015), pp. 58-62, ISSN 1723-2155.

[8] M. Petrangeli (2021). “Progettazione, appalto e costruzione”, Strade & Autostrade, 148 (4/2021), pp. 91-97, ISSN 1723-2155.

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