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È possibile (e giusto) liberare le città dalle auto?

(come riportato da Riccardo Liguori su AGI)

I benefici sono più interazione e meno smog. Ma secondo alcuni studiosi c’è un rovescio della medaglia

Le città moderne sono state costruite in funzione delle automobili. A loro sono dedicate grandi spazi per parcheggio, sosta e ovviamente vie in cui snodarsi per i rioni urbani. Ma quale sarebbe, invece, uno scenario “car-free”?

Da un secolo, l’automobile domina il paesaggio urbano. Nelle città le strade sono state allargate per far circolare i veicoli con maggiore facilità. Quelli privati, in particolare, hanno rivoluzionato la mobilità, ma hanno anche incrementato inquinamento atmosferico e incidenza di morti stradali.

Eppure, oggi un piccolo ma sempre crescente numero di città guarda a progetti urbani per liberare il paesaggio cittadino da smog e intasamento veicolare. Basti pensare a Oslo, Amsterdam, Madrid o Pontevedra (Galizia). Città che hanno fatto notizia per il loro impegno nel disincentivare il traffico veicolare privato attraverso spese di congestione, obbligo di circolazione a targhe alterne o divieti assoluti di transito.

Una città senza auto è possibile?

Al bando gli autoveicoli. Via a giochi di strada, ristoranti che si estendono sulle piazze e turisti che scoprono vie cittadine senza doversi preoccupare di strisce pedonali o semafori. Insomma, una riproduzione su scala mondiale della piccola Venezia. Una città che per la sua stessa conformazione – si tratta di una costellazione di isolette sospese su una laguna – non può ospitare autoveicoli. E quindi obbliga turisti e cittadini a muoversi a piedi per le calli di una tra le città italiane più amate al mondo. Ne ha parlato anche la BBC.

Una città senza automobili potrebbe suonare come una bella idea. Ma si tratta di un’ipotesi possibile e desiderabile? “Il nostro obiettivo principale è quello di restituire le strade alle persone”, afferma il vicesindaco di Oslo per lo sviluppo urbano Hanna Marcussen. “Per noi, la strada dovrebbe essere un luogo dove si incontrano le persone, dove si consuma un pasto all’aperto, dove i bambini giocano. Dove l’arte è libera di esprimersi”.

Non è un caso se la capitale norvegese ha reso esclusivamente pedonali alcune strade del centro: i parcheggi, qui, sono stati trasformati in piste ciclabili, panchine e piccole aree verdi. Oslo, per la sua posizione geografica, soprattutto durante l’inverno ha sempre sofferto di gravi problemi di inquinamento atmosferico. Eppure, gli ultimi dati forniti dal governo locale mostrano un netto calo, nell’ultimo decennio, tanto dei viaggi in auto – 35% nel 2009 e 27% nel 2018 – quanto dell’inquinamento, con un parallelo aumento di cittadini che preferiscono muoversi a piedi, in bici o servendosi del trasporto pubblico.

Attualmente – come riporta Esquire – la città gode di 180 km di piste ciclabili e di sovvenzioni da 500 euro a mille euro per l’acquisto di due ruote elettriche. L’88,1% dei residenti non ha un’auto, il 64% si sposta con i mezzi pubblici, il 22% a piedi e il 7% in bici.

“Oltre ai ben documentati problemi dell’inquinamento atmosferico e ai milioni di decessi causati dal traffico ogni anno, l’effetto maggiore che le automobili riversano sulla società è il danno enorme che fanno agli spazi sociali”, afferma JH Crawford, tra le voci più note nel dibattito attuale sulle città senza auto. Autore di due libri sull’argomento, nel suo Carfree cities, prendendo ad esempio proprio Venezia, ricorda che un mondo senza auto è possibile.

Secondo l’autore, l’interazione sociale è significativamente compromessa proprio dai veicoli a motore privati. “I luoghi che sono più popolari nelle città sono sempre gli spazi senza auto”. In città americane come Houston e Dallas circa il 70% del territorio urbano è destinato al parcheggio. “Pensando poi alla crisi attuale degli alloggi, bisogna ricorda che è dovuta alla mancanza di terreno. Sbarazzandoci delle automobili il problema verrebbe risolto immediatamente”, sottolinea lo scrittore.

Crawford delinea una città ideale fatta di nodi interconnessi, ciascuno dei quali con una fermata centrale del tram o una ferrovia circondata da abitazioni fitte, negozi e uffici. Un centro urbano in cui i residenti non vivrebbero mai a più di cinque minuti a piedi dalla fermata più vicina per prendere un mezzo trasporto pubblico. Nella sua città ideale, il tempo necessario per attraversare la città sarebbe di poco superiore ai trenta minuti.

Il rovescio della medaglia

Ma c’è un rovescio della medaglia: “Il modo più veloce per far morire un centro città è quello di impedire alla gente di entrarci”, sottolinea Hugh Bladen dell’Associazione conducenti britannici. Le strade in declino della Gran Bretagna, a suo dire, non sarebbero certo aiutate da restrizioni alla guida. “Se è vero che le città si intasano, è a causa di una pianificazione inadeguata. I centri urbani dovrebbero disporre di migliori opzioni di parcheggio”.

Ransford Acheampong, ricercatore di urbanistica presso l’Università di Manchester, afferma che la rimozione di automobili sarebbe utile per ridurre l’inquinamento e potrebbe migliorare la salute pubblica. “Tuttavia, se si tengono le auto lontane dalle persone, è necessario fornire loro un’alternativa. Anche in Europa, dove il trasporto pubblico è relativamente efficiente, molti pendolari, e in generale i nostri attuali stili di vita, non sarebbero possibili senza un’auto privata”.

Finché i centri urbani non ridurranno il divario tra trasporto pubblico e parte finale del viaggio per raggiungere una determinata meta (è il concetto di “ultimo miglio”), la gente vorrà ancora guidare le automobili.

Un futuro senza auto?

“Se guardiamo le ultime statistiche – sottolinea Acheampong – possiamo dire di aver superato il picco di proprietà dell’auto: ora guidare sembra essere in declino. Inoltre, c’è una grande differenza generazionale, con i giovani sempre meno interessato a disporre di veicolo privato. Se è vero che non tutte le città possono essere senza auto è altrettanto vero che i progettisti urbani possono portare pedoni e ciclisti in prima linea”.

Oggi c’è una crescente domanda di nuove opzioni di mobilità conveniente: servizi come Uber e Lyft stanno attirando sempre più l’interesse dei cittadini, lasciando in ombra la possibilità di servirsi del trasporto pubblico. “Si tratta sempre di veicoli a motore privati”, aggiunge lo studioso.

Parallelamente, osserva, “in gran parte dei paesi in via di sviluppo la proprietà di automobili è in aumento e i governi stanno dando la priorità alla proprietà di automobili rispetto ad altre forme di trasporto”.