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Mobilità sostenibile: importanti precisazioni della Corte Costituzionale

Non si può dire, alla Gino Bartali, “gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Però, certo, sull’attuazione di importanti misure di mobilità sostenibile la recentissima sentenza 78 della Corte Costituzionale finirà per pesare. Del resto, una considerevole articolazione istituzionale e territoriale – come è in Italia – produce, necessariamente, un certo grado di complessità decisionale: può piacere o non piacere, ma è così; un giudice (e la Consulta è un giudice, sia pure sui generis) non fa che prenderne atto.

La legge 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) prevedeva per il rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, con obiettivi di miglioramento della qualità dell’aria mediante utilizzo di tecnologie innovative, un incremento di risorse già contemplate da uno specifico Fondo; dette risorse erano da intendersi utilizzabili anche per il finanziamento delle correlate infrastrutture tecnologiche di supporto.

Il tutto andava visto, peraltro, in stretta connessione con la realizzazione di un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, orientato anche – citiamo il testo stesso della legge – “ad aumentare la competitività delle imprese produttrici di beni e di servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e dei sistemi intelligenti per il trasporto, attraverso il sostegno agli investimenti produttivi finalizzati alla transizione verso forme produttive più moderne e sostenibili, con particolare riferimento alla ricerca e allo sviluppo di modalità di alimentazione alternativa”.

E il Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile doveva essere approvato “con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”.

Proprio su quest’ultimo passaggio si sono concretizzati, su ricorso della Regione Veneto, i sospetti di incostituzionalità. La mobilità sostenibile appartiene senz’altro alla materia “ambiente”, di competenza statale, ma per interventi del genere va a incidere in modo diretto sulla materia “tpl” (trasporto pubblico locale), che è di competenza residuale regionale: la Consulta ha concluso che il rispetto del principio di leale collaborazione esige, inderogabilmente, la previsione di un esplicito coinvolgimento delle Regioni nella predisposizione del Piano.

L’orientamento della Corte Costituzionale, d’altronde, non deve stupire: è stabile e consolidato. Per esempio, essa ha recentemente censurato la ripartizione di risorse in materia di edilizia scolastica perché effettuata senza consultare le Regioni in merito alle modalità e ai criteri di attribuzione dei finanziamenti. Come già si diceva all’inizio, l’assetto istituzionale è un dato di fondo non eludibile.