Cybercrime e l’esigenza di schermare le driverless car dagli attacchi di hacker e cracker. Questione non di poco conto, visto che, stando a quanto evidenziato dalla società di ricerche “IHS Automotive”, nel 2035 circoleranno, sulle strade del mondo, 21 milioni di veicoli a guida autonoma. Si preventivano vendite fino a 600.000 veicoli nel 2025. Negli anni a seguire è atteso un vero e proprio boom. Con tassi di crescita, in termini di vendita, vertiginosi.
Queste evolutissime “quattroruote”, però, possono essere soggette a scorribande informatiche. Nel 2015, due cracker dimostrarono di essere in grado di “impadronirsi” di una vettura. Una “sperimentazione” che innescò una profonda riflessione da parte delle case costruttrici e lo studio di adeguate contromisure per contrastare l’uso arbitrario, illegale, dei veicoli. In fondo, le connected car sono dei computer in cui il software e il trasferimento dei dati su Internet contano quanto il motore e il telaio
Tutto, o quasi, ormai, viaggia on-line. La molteplicità dei devices connessi rende, pertanto, necessario individuare possibili bug nei software e nei protocolli di protezione per evitare furti di dati e manomissioni. L’interazione di vetture in mano a criminali può determinare situazioni di oggettiva e pericolosa conflittualità con le altre car e le persone. La sicurezza e la protezione dei sistemi di bordo diventano parte integrante di prodotti tecnologici sempre più smart.