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Chi e quando doveva dare l’allarme sulla sicurezza del Ponte Morandi?

A tre settimane dal crollo del viadotto Polcevera a Genova, i magistrati sono pronti a inviare i primi avvisi di garanzia. Una nota del Cda di Autostrade, articoli del Corriere della Sera e Fatto Quotidiano

La responsabilità ultima di quei mancati lavori di consolidamento e messa in sicurezza del Ponte Morandi – approvati ma mai partiti – di chi è? Il Consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia può essere considerato responsabile ultimo, o primo, della tragedia del 14 agosto, quando il viadotto Polcevera è venuto giù per cause legate al deterioramento dei piloni 9 e 10 uccidendo 43 persone? O questa responsabilità finale va circoscritta all’ambito tecnico? È comunque la società concessionaria che avrebbe dovuto dare il definitivo allarme sulle condizioni di tenuta del ponte e disporre direttamente o chiedere (e ottenere) al ministero e alle autorità locali la chiusura del traffico automobilistico e l’evacuazione della zona sottostante?

Banalmente, sono questi gli interrogativi a cui i magistrati di Genova guidati dal procuratore capo Francesco Cozzi stanno tentando di dare una risposta da tre settimane. L’obiettivo è quello di ripercorrere con esattezza lo scambio di documenti tra Aspi e Mit, e tra uffici interni alla stessa società e allo stesso ministero, per capire quale direttore tecnico, quale manager (pubblico?), quale dirigente amministrativo avrebbe dovuto alzare la mano e – alcuni mesi fa, in attesa di realizzare i lavori di consolidamento della struttura – chiedere/effettuare la chiusura del ponte, comprendendo che quegli ammaloramenti dei piloni e degli stralli erano gravissimi, che il ponte sarebbe potuto venire giù.

È bene ricordare che al momento non ci sono ancora avvisi di garanzia, ma è probabile che la settima entrante possa essere quella in cui i giudici andranno in profondità. Giudici che sono convinti che i massimi amministratori di Autostrade conoscessero nel dettaglio la gravità della situazione. In particolare, scrive il Fatto Quotidiano, secondo fonti giudiziarie, il Cda lesse il progetto licenziato da Spea Engineering che proprio sulle pile 9 (quella crollata) e 10 in più passaggi scrive: “Lesioni ramificate capillari con risonanze e fuoriuscita di umidità, sulla malta di ripristino, lesioni larghe verticali con estese risonanze, sugli spigoli nella parte alta di quasi tutte le pile”. Per gli stralli in particolare: “Malta di ripristino risonante, interessata da lesioni ramificate capillari con fuoriuscita di umidità con distacchi; placche risonanti evidenziate da lesioni”. Anche in questo caso le date sono fondamentali. Il verbale del Cda che licenzia il progetto risale alla fine di marzo.

Aggiunge la ricostruzione del Fatto: Ancora prima però Michele Donferri Mitelli, il capo della Manutenzione di Autostrade, invia una lettera al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit). È una lettera breve ma molto decisa e dove in sostanza Aspi avverte il governo che loro procederanno comunque all’avvio del procedimento di gara anche senza il via libera della Direzione vigilanza sulle concessionarie autostradali diretta dal dottor Vincenzo Cinelli. Una scelta motivata con una frase in fondo neutra: “Per accelerare i tempi amministrativi”. Secondo la ricostruzione della Procura quella più che amministrativa era invece un’accelerazione tecnica e consapevole dell’urgenza. La parola “sicurezza” non compare in questa missiva che anticipa di pochi giorni l’approvazione del Cda di Aspi.

Vero che il progetto di retrofitting era stato approvato dal Cda ma è anche vero che “non è compito né facoltà del Consiglio d’Amministrazione fare una valutazione tecnica dei progetti né stabilire l’urgenza o la somma urgenza di alcuni interventi”. Il chiarimento di Autostrade per l’Italia arriva oggi in relazione a un’altra ricostruzione, pubblicata dal Corriere della Sera, nella quale si ipotizza con ulteriore dovizia di particolari la consapevolezza del Cda sulla necessità di lavori al ponte riguardanti la sicurezza, la stabilità.

Secondo il Corriere il consiglio di amministrazione della società Autostrade sapeva della necessità di intervenire, sapeva del progetto di potenziamento dei tiranti e del fatto che si trattava di lavori «fondamentali per la statica del ponte», come aveva scritto la società Spea nel redigere il progetto esecutivo dei lavori per conto del concessionario. Scrive il quotidiano milanese:

Il progetto fu infatti sottoposto al voto del cda presieduto da Fabio Cerchiai, che lo esaminò e lo autorizzò. Senza tuttavia classificarlo come intervento di «somma urgenza». Opera migliorativa sì, importante, certo, ma non urgente. La ragione per la quale approdò alla stanza dei bottoni di Autostrade è semplice: l’amministratore delegato Giovanni Castellucci ha un’autonomia di spesa di 5 milioni di euro, mentre il valore dell’intervento superava i 20. Comunque sia, la «calma» che trapela dai vertici di Autostrade sembra stridere con l’apparente fretta di uno dei suoi manager: Michele Donferri Mitelli, il dirigente delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. Dal 6 febbraio scorso, appena cinque giorni dopo il parere favorevole del Provveditorato interregionale per le Opere pubbliche (il braccio locale del Mit, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) presieduto da Roberto Ferrazza, ha iniziato a premere sul Mit per ottenere il decreto che dava l’ok ai lavori.

Cinque mail, datate 6 febbraio, 28 febbraio, 23 marzo, 27 marzo e 13 aprile. Una per provare a scongiurare tutto ciò che «comporta ritardi sui tempi di emanazione dei pareri e di approvazione dei progetti». Una per ricordare che siamo «di fatto già fuori dalle tempistiche previste». Un’altra per ricordare «l’incremento di sicurezza necessaria sul viadotto Polcevera» e «i consistenti ritardi sin qui accumulati e non recuperabili». E le ultime per dire che, in sostanza, «non avendo avuto risposte (…) provvederemo all’avvio dell’iter approvativo dell’intervento», cioè della preselezione delle imprese per la gara d’appalto. L’argomento era sempre lo stesso: il ritardo del decreto ministeriale. Un atto necessario per far partire i lavori e per inserire l’opera nel piano finanziario, che arriverà l’11 di giugno a firma del direttore generale per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali, Vincenzo Cinelli. A quella data l’iter della gara d’appalto era già partito.

Insomma, se fossero state utilizzate altre parole, se quella richieste e quel dossier fosse stato definito urgente per motivi di sicurezza, la storia sarebbe andata diversamente? E se la risposta è sì, chi avrebbe dovuto usare altre parole, quale tecnico o quale dirigente avrebbe dovuto parlare esplicitamente di sicurezza e non solo di miglioramenti o di problemi burocratici?

Nella nota mandata ai media dopo questo articolo, la società chiarisce che è corretto affermare che il progetto di retrofitting sia stato approvato dal Consiglio d’Amministrazione della società, in quanto la spesa prevista superava i poteri delegati ai manager (circa 5 milioni di euro). Invece, la valutazione tecnica dei progetti e la competenza per stabilirne l’urgenza “è un obbligo dei responsabili tecnici qualificati come Committenti, che in tali casi non necessitano di autorizzazione da parte del Consiglio d’Amministrazione e per le fattispecie di urgenza e di somma urgenza non hanno alcun limite di spesa”. Come dire: se era giunto il momento di dare l’allarme sulla staticità del Morandi non doveva dirlo il Cda, ma la direzione tecnica.

In aggiunta, leggiamo ancora sulla nota, “il Direttore di Tronco ha facoltà e obbligo di assumere in piena autonomia i provvedimenti sulla circolazione conseguenti ad eventuali situazioni di urgenza o somma urgenza”. Mai negli ultimi 18 anni, dunque, il Consiglio d’Amministrazione di Autostrade per l’Italia ha discusso o valutato l’urgenza o la somma urgenza di progetti, attivando i provvedimenti conseguenti: “Non ne avrebbe nè il titolo nè la competenza. Sono stati sempre e soltanto i Direttori di Tronco ad avvalersi di tali procedure (circa 50 ogni anno attivate dalle 9 Direzioni di Tronco della rete di Autostrade per l’Italia)”, prosegue la nota della società concludendo che “per quanto riguarda infine il tema dei solleciti fatti al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dalla direzione Maintenance ed Investimenti Esercizio nella qualità di committente dell’opera, che non aveva i connotati dell’urgenza o della somma urgenza, si ricorda che questo tipo di interlocuzioni con il Ministero è purtroppo una prassi necessaria per contenere i tempi di approvazione dei progetti che comunque – nonostante i solleciti – superano abbondantemente quelli previsti. Nel solo 2018 si registrano infatti in media 100 giorni di ritardo, che si sommano ai 90 previsti per l’approvazione dei progetti di questa natura dalla convenzione. Sempre nel solo 2018, sono state sollecitate dai vari committenti della società approvazioni, autorizzazioni e adempimenti da parte del Ministero per circa 70 progetti”. Questa la posizione del Cda di Aspi, alla vigilia di una settimana che si annuncia decisiva per le indagini.

La Guardia di finanza – scrive ancora Il Fatto – sta anche lavorando alla ricostruzione degli organigrammi per Mit e Aspi che risalgono agli anni Ottanta, periodo ritenuto fondamentale perché è di quell’epoca il primo report di allarme sui materiali firmato dallo stesso Riccardo Morandi. Pochissimi dubbi, infine, sulla caduta del ponte, provocata da un cedimento dell’impalcato che ha poi prodotto la rottura degli stralli.

La sensazione, leggendo le ultime ricostruzioni, è che i magistrati abbiano chiaro sia il quadro riguardante la catena delle responsabilità, sia il momento storico – che va dal 2015, quando è stato approntato il primo progetto di retrofitting, all’inverno scorso – in cui lo stato di decadimento del ponte ha raggiunto un livello di guardia. Momento storico in cui il Morandi andava comunque chiuso e messa in sicurezza l’area sottostante. Senza attendere il via libera ai lavori di consolidamento. Senza attendere una qualunque mattina di maltempo in cui il viadotto sarebbe con tutta probabilità venuto giù.