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Referendum, con il Sì, allo Stato decisione finale sulle infrastrutture

Rispondendo al quesito di un lettore sulla riforma costituzionale (oggetto di referendum confermativo il 4 dicembre prossimo), in materia di infrastrutture, torniamo sul tema della ripartizione delle competenze Stato-Regioni sulle materie di interesse di questa rivista.

NIENTE PIU’ COMPETENZA CONCORRENTE
L’articolo 117 della Costituzione, nella versione modificata dalla legge costituzionale pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile  nella ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni elimina la categoria delle leggi a potestà “concorrente” (principi e criteri direttivi allo Stato, norme vere e proprie alle Regioni), categoria nella quale erano collocate le materie: «governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione».

Nel nuovo testo, che entrerà in vigore solo in caso di “sì” al referendum confermativo del 4 dicembre, ci sono solo la legislazione statale e quella regionale, scompare cioè la categoria delle materia a legislazione concorrente, che portando confusione nelle competenze tra Stato e Regioni ha causato – tra il 2001 e il 2014 – 1.276 risorsi in via principale alla Corte Costituzionale (dalle Regioni o dallo stesso Stato), pari a 91 pronunce all’anno.

INFRASTRUTTURE, COSA CAMBIA
Nelle materie oggetto del quesito (infrastrutture, porti, aeroporti) il vecchio articolo 117 inseriva tra le competenze concorrenti le seguenti materie: «governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione»

Il nuovo articolo 117 inserisce tra le materie di competenza legislativa esclusiva statale, le seguenti (comma 2 punto z): «infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale».

Detto questo, però, il quesito del lettore fa giustamente riferimento al “potere decisionale”, e cioè alle “funzioni amministrative”, e cioè la programmazione strategica e l’individuazione delle opere di adeguamento e sviluppo della rete infrastrutturale, e la gestione delle procedure autorizzative per i lavori pubblici e i servizi.

L’articolo 118 stabilisce in modo indiretto, non così chiaro come nella vecchia formulazione della Costituzione ante 2001, che in linea generale le funzioni amministrative “seguono”, nella divisione tra Stato e Regione, la ripartizione di materie fatta dall’articolo 117. In sostanza, comunque, sono le leggi ad articolare in modo dettagliato poteri e procedure.

E qui il margine di manovra tra poteri statali e regionali è ampio, con la vecchia come con la nuova (eventuale) costituzione. Le sentenze della Corte costituzionale , a partire dalla 303/2003, avallarono la legge obiettivo sulle grandi opere, che pur con competenze legislative divise tra Stato e Regioni sulle infrastrutture accentrava allo Stato la selezione delle priorità (seppure previa intesa con le Regioni) e l’ultima decisione sulle procedure approvative.

Ora, con il Codice appalti spetta sempre allo Stato la selezione delle “infrastrutture strategiche nazionali”, ma la procedura approvativa è simile a quella ordinaria, cioè la conferenza di servizi decisoria sul progetto di fattibilità. Nel caso di infrastrutture strategiche statali però l’approvazione finale spetta al Cipe, ma solo se si è conclusa positivamente la conferenza di servizi.
C’è poi il Regolamento Madia che assegna al presidente del Consiglio, su deliberazione del Consiglio dei ministri, la possibilità di dimezzare i tempi della procedura approvativa e infine utilizzare poteri sostitutivi di altri organi dello Stato o enti locali, su un elenco di opere o insediamenti produttivi ritenuti prioritari.

Naturalmente su tutte le infrastrutture regionali e comunali la programmazione e le procedure approvative si svolgono (e vengono gudate) – a seconda dei casi – dalla Regione, dalla Città metropolitana, dal Comune. Solo se l’opera viene inserita nel D ocumento pluriennale di programmazione del Codice appalti, e dunque è “infrastruttura o insediamento prioritario per lo sviluppo del Paese” (articolo 200 Dlgs 50/2016), solo allora spetta al Ministero gestire la conferenza di servizi e alla Commissione Via nazionale e al Mibact le autorizzazioni ambientale e paesaggistica. La conferenza dei servizi è semplificata, come da Riforma Madia, ma la Via ha potere di veto sulle opere nazionali e la chiusura è sulla base delle “posizioni prevalenti espresse”. Inoltre nel Codice (articolo 27 e articoli 200 e seguenti) restano alcune lacune sul “come” si chiude la conferenza di servizi sulle opere strategiche statali, sul fatto cioè se il Mit o il Cipe abbiano o meno il potere di scavalcare un eventuale dissenso locale sulla localizzazione del tracciato.

Insomma, più che l’assetto costituzionale in materia di “chi decide sulle infrastrutture” contano le leggi ordinarie e la gestione concreta del tema della programmazione e del consenso a livello di governo e di enti che si occupano di infrastrutture, come Rfi e Anas. Negli ultimi anni è fra l’altro cresciuta la consapevolezza da parte degli stessi Rfi e Anas che una grande infrastruttura ha migliori chance di essere realizzata se viene condivisa con il territorio fin dalle fasi iniziali della progettazione.

Tuttavia non c’è dubbio, come spiega il dossier Camera sulla Riforma costituzionale, che inserire le “infrastrutture di interesse nazionale” nelle materie a competenza esclusiva statale consente allo Stato, senza intesa con le Regioni, di stabilire l’elenco delle opere strategiche e le procedure per approvarle. Anzi, cadrebbe anche l’obbligo di leale collaborazione, fissata come necessaria in molte sentenze della Consulta con l’attuale testo della Costituzione.
Ci può essere più o meno volontà di dialogo da parte del governo, ma con la Riforma si rafforzerebbe senza dubbio il ruolo dello Stato nelle infrastrutture e nell’energia («produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia») , ampliando rispetto a oggi la possibilità di “fare da solo” o “dire l’ultima parola” in caso di contrasto.

Contrasti che finiscono alla Corte costituzionale potrebbero sempre sorgere, naturalmente, sul concetto di infrastruttura “nazionale”, visto che quelle di interesse regionale restano alle Regioni.