Sono molte le novità che danno al nuovo codice degli appalti un valore storico: la riduzione e la qualificazione delle stazioni appaltanti, il rating per le imprese, l’abolizione del regolamento generale sostituito da un sistema flessibile di regolazione di soft law centrato sui poteri dell’Anac di Cantone. Sfide impegnative che potranno garantire quegli obiettivi di riduzione di costi, tempi e illegalità che frenano il settore da anni.
Non mancheranno critiche e precisazioni su dettagli anche importanti della riforma. La cosa più difficile sarà ora trovare un equilibrio che consenta di cambiare il sistema in profondità ma anche di cominciare a correre. Sulla questione che era diventata esplosiva, per esempio, quella della soglia per il divieto di «massimo ribasso», il Consiglio dei ministri ha deciso di confermare la soglia “intermedia” di un milione di euro rispetto a quella di 2,5 milioni che proponevano imprese e stazioni appaltanti e a quella di 150mila euro che avevano proposto le commissioni parlamentari nel loro parere.
Un conflitto tipico tra due posizioni legittime: da una parte Ance, Regioni e Comuni evidenziavano nei giorni scorsi la necessità di evitare un sovraffaticamento improvviso del sistema che potrebbe portare anche a un blocco o a un rallentamento delle gare (l’offerta economicamente più vantaggiosa che sostituisce il massimo ribasso richiede una procedura più complessa con commissioni aggiudicatrici che valutino nel merito anche la qualità dell’offerta e non solo il prezzo); dall’altra parte la posizione, rivendicata con orgoglio riformatore sulle colonne di questo giornale dal senatore Stefano Esposito, di chi dice che le riforme non si possono annacquare strada facendo e se per anni si è detto da parte di tutti che il «massimo ribasso» era la principale piaga del sistema perché comportava varianti in corso d’opera, ritardi, lievitazione dei costi e concorrenza sleale, ora che la riforma ha il coraggio di eliminarlo, non si può confinare la nuova legge a una quota del tutto marginale di gare.
Il governo ha deciso di mediare e questo gradualismo può anche andare bene a patto, però, che via via la riforma formi gli operatori a comportamenti virtuosi e si estenda così al 100% delle gare.
I prossimi sei mesi saranno decisivi per l’attuazione della riforma e più volte abbiamo richiamato l’attenzione sulla necessità di un periodo transitorio che consenta una sovrapposizione temporanea di vecchie e nuove norme, in modo da non creare vuoti normativi che potrebbero disorientare gli operatori del mercato.
Una soluzione ottimale sarebbe stata quella orientata al principio della «cedevolezza», auspicata dal Consiglio di Stato :il vecchio regolamento generale resta tutto in vigore e dove incontra una norma del nuovo ordinamento (codice o linee guida di Anac) in contrasto, decade. Si è scelta una soluzione diversa, in cui le norme che restano in vigore del vecchio regolamento sono “mirate”, per evitare un eccesso di problemi interpretativi e forse anche per rivendicare la necessità di procedere con la riforma. Posizione legittima anche questa, forse più esposta al rischio di un rallentamento dell’attività amministrativa.
La cosa migliore della riforma, però, è la sua flessibilità che sostituisce la rigidità del vecchio impianto. La soft law affidata all’Anac consentirà di aggiustare gradualmente ciò che non va edi interpretare al meglio lo spirito riformatore del nuovo codice. I comportamenti dei soggetti che operano nel mercato saranno via via orientati verso un comportamento virtuoso anche dall’azione dell’Anac.
Si dovrebbe evitare, in questo modo, anche il rischio di un fallimento della riforma, come accadde 20 anni fa con la legge Merloni, ottima legge lasciata ben presto orfana e “affossata” perché ritenuta (ingiustamente) la causa della paralisi del settore. Se al ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, va il merito maggiore della riforma e anche il coraggio di aver abrogato il regolamento generale (merito che condivide con i relatori parlamentari della delega, Stefano Esposito e Raffaella Mariani, e con il capo del Dagl, Antonella Manzione, che ha guidato la scrittura del decreto legislativo) a Raffaele Cantone va il potere veramente innovativo della regolazione e la responsabilità di far funzionare la riforma.
Ci vorrà del tempo, ma le condizioni per fare un ottimo lavoro – anche aldilà della singola norma del decreto legislativo – ci sono tutte. Per l’Italia sarebbe un passaggio epocale che ci avvicinerebbe ai Paesi europei più avanzati e ridarebbe alla nostra economia un motore mancante .Il vero traguardo, in lontananza, è quello di un mercato dei lavori pubblici efficiente che penalizzi imprese e stazioni appaltanti capaci ed efficienti ed escluda ladri e imbroglioni.
Un ultimo doveroso riconoscimento va al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha preteso un recepimento delle direttive europee entro la scadenza del 18 aprile e ora potrà giocare a Bruxelles anche questa carta come un risultato dell’azione riformatrice del governo in campo economico.