Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Grandi opere, il nodo dei vecchi contratti

Le 25 grandi opere, già in legge obiettivo, confermate come prioritarie dall’Allegato 2016 in gran parte perché già avviate o approvate, e quelle fuori dalle priorità ma con contratti firmati, comportano per il governo un fabbisogno di finanziamento per 32 miliardi di euro, di cui circa 11 già obbligatori in forza di contratti di appalto o di concessione firmati.

Una bella “zavorra” sulla strada della ridefinizione delle priorità, in corso al ministero delle Infrastrutture in vista del nuovo Documento pluriennale di programmazione (Dpp).

In aiuto, per fare il punto sul “work in progress” sulle infrastrutture prioritarie (la fase di passaggio dall’addio alla legge obiettivo, il 19 aprile, al nuovo Dpp da approvare entro un anno) è il 10° Rapporto Infrastrutture strategiche elaborato dal Servizio studi della Camera con il Cresme (e in collaborazione di Istat e Anac) e messo on line nei giorni scorsi.

Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio vuole inserire più metropolitane e ferrovie urbane, connessioni ferroviarie a porti e aeroporti, manutenzioni e completamenti e si trova invece a dover finanziare le tratte ad alta capacità con le concessioni del 1991 (Terzo Valico, Brescia-Verona e Verona-Padova, in tutto 9,2 miliardi da reperire), la Torino-Lione (1,7 miliardi mancanti), il completamento del Quadrilatero dopo il fallimento della “cattura di valore” (663 milioni), il project financing della superstrada Ferrara-Mare da “aggiustare” con 180 milioni di finanziamento pubblico.

In realtà la situazione potrebbe non essere così tragica come i numeri sembrano dipingere. Una parte dei finanziamenti mancanti, i 32 miliardi, pur ancora non formalmente assegnati, sono in arrivo, come gli 1,25 miliardi di euro per il 4° lotto costruttivo del Brennero, assegnati dal Cipe il 1° maggio, o gli 812 milioni di euro mancanti per la Salerno-Reggio, in arrivo dal Contratto 2016 con l’Anas. Altri dovrebbero arrivare dalla Commissione europea, buona parte dei 3,2 miliardi mancanti per Torino-Lione e Brennero. Ma soprattutto la “project review” prevista dal nuovo Codice e già in corso sotto la regia di Ennio Cascetta (capo della struttura di missione del Mit) e potrebbe produrre risultati imprevedibili di riduzione dei costi delle opere, sia di quelle nelle 25 priorità senza Ogv, sia di quelle con Ogv. Anche queste ultime? Vediamo come.

Le concessioni per l’alta velocità sono stata firmate tutte nel 1991, da una parte Ercole Incalza come Ad di Tav Spa e dall’altra i grandi contractors delle costruzioni e dell’ingegneria dell’epoca, che oggi si chiamano Salini Impregilo per il Terzo Valico, Saipem (Eni) per la Brescia-Verona e Astaldi-Salini-Condotte per la Verona-Padova. I contratti non si possono toccare, ci provò Bersani nel 2000 e Di Pietro nel 2006 ed entrambi ne uscirono male dopo i ricorsi delle società (anche se poi fu sempre il governo Berlusconi a chiudere la vicenda con norme di legge che confermarono le concessioni del 1991). In ogni caso nessuno nel governo Renzi vuole rimettere in discussione le concessioni.

Il punto è un altro: le concessioni vincolano ad affidare tutti i lavori su quella tratta ad alta capacità, ma solo se si decide di farla e sulla base dei progetti predisposti da Rfi, con disciplina di dettaglio di progetto, costi e tempi da definire con i cosiddetti “addendum” contrattuali.

Rfi su questo dà man forte al Ministro Delrio e a Cascetta, e sulla Brescia-Verona-Padova sono in corso riflessioni a 360° per adattare i progetti alle mutate esigenze: più servizio alle aree urbane (stazioni in centro) ma anche minori costi. Sul nodo di Vicenza, in particolare, si lavora a un progetto che invece di 1,7 miliardi di euro ne costerebbe 0,7. Il costo da finanziare sulla Brescia-Verona-Padova scenderebbe da 5,2 a 4,2 miliardi, e non è escluso che si possa limare anche sulle tratte prima e dopo Vicenza.

Nei mesi scorsi Rfi, in accordo con le Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto, ha accantonato il progetto dell’alta capacità Venezia-Ronchi-Trieste, che era tra le priorità di legge obiettivo fino al 2014, e che sarebbe costata 7,4 miliardi di euro: è stato sostituito con un progetto di ammodernamento della linea esistente che porterà i treni a 200 km/h e ridurrà il viaggio di 50 minuti rispetto a oggi, per un costo da 1,8 miliardi di euro da finanziare con l’Addendum 2016 del contratto Rfi (8,3 miliardi da programmare nei prossimi mesi).

Più complesso sarà mettere le mani sul Terzo Valico, mega progetto da 6,2 miliardi di euro per potenziare la Genova-Milano che anche Rfi negli anni passati non aveva spinto: restano da finanziare 4 miliardi di euro, ma i lotti costruttivi sono pezzi della maxi galleria, difficile modificare il progetto.

Ampio margine di manovra c’è invece sulle tratte ad alta capacità non vincolate ai contratti Tav del 1991, e che devono dunque andare in gara. Non parliamo di Torino-Lione e Brennero, vincolati da trattati internazionali e con progetti già approvati (la prima opera, come noto, non è mai stata amata da Renzi, ma le cose erano ormai fatte al suo insediamento, ed è comunque finanziata da fondi Ue).

Parliamo invece della Napoli-Bari e della Catania-Palermo, che partono da costi altissimi con progetti vecchi o ancora al livello di studi di fattibilità. Sulla Napoli-Bari mancano 3,2 miliardi, ma Rfi conferma che sta rivedendo in particolare il progetto per la Apice-Orsara, che si stimava costare 2,7 miliardi.

In Sicilia, per la Catania-Palermo, il costo proibitivo sarebbe in particolare sulla Raddusa-Fiumetorto, si stima almeno 5 miliardi di euro, ma è probabile che su spinta di Cascetta e Delrio Rfi stia studiando ipotesi meno costose.

Le costose tratte tra Milano e la Svizzera indicate nel vecchio Pis di legge obiettivo, per meglio collegarsi a Sempione e Gottardo, stimate circa 5 miliardi di euro, non vengono in realtà considerata indispensabili da Rfi, che ha già in corso interventi di upgrading pronti nel 2021, quando aprirà la linea del Gottardo, e punta semmai a breve sulla Rho-Gallarate, circa 400 milioni di costo.

Delrio non ne vuol più sapere di stanziare fondi per i project financing che non “quadrano più”. Non ci saranno finanziamenti per Pedemontana Lombarda e Asti-Cuneo, che pure ne avrebbero bisogno e sono bloccate, ma semmai project review che riducano i costi. Niente fondi anche alla Gronda di Genova, che costa 3,4 miliardi di euro e che si punta a finanziare con una proroga di 7 anni (concordata con Bruxelles) della concessione ad Aspi.

Restano poi da trovare 600 milioni per chiudere i cantieri del Quadrilatero (soldi che non arriveranno dalla cattura di valore) e 180 per far partire la Ferrara-Mare in project, e non è detto che questi soldi arrivino.

Per la Tirrenica si lavora da tempo a un progetto low cost da 1,4 miliardi anziché 2, ma non ci sono significativi passi avanti. Drasticamente ridimensionati, come noto, i progetti per la Salerno-Reggio Calabria (da tre miliardi a uno solo, già finanziato) e ss 106 Ionica (da 6,3 a 1,5 miliardi). Niente Orte-Mestre in Pf (10 miliardi), manutenzioni e ammodernamenti per la E55 nel piano Anas 2015-2019 per 1,5 miliardi.
Dove invece dovrebbero arrivare più soldi sono le metropolitane e le ferrovie urbane. Ci saranno probabilmente prolungamenti di M2 e M3 a Milano, nuove tratte del metrò di Torino, la gronda merci di Roma (1,4 miliardi di euro), la Roma-Lido e il completamento della Linea C con progetto più soft. E un sistema diffuso di ferrovie urbane e metropolitane che saranno finanziate dagli Addendum Rfi 2015 e 2016.