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Le strade d’acqua

Alcune proposte per l’annunciato piano per il contrasto al rischio idrogeologico da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Strada allagata

Premettiamo che qui non vogliamo fare polemica sul ritiro repentino dei fondi per la gestione del territorio per complessivi 15 miliardi di Euro del PNRR, fra cui 2,5 destinati al contrasto del rischio idrogeologico: ci rendiamo infatti conto che gli Enti locali difficilmente riusciranno a realizzare tanti piccoli interventi entro la scadenza del 2026 prevista dal PNRR.

Si spera che verranno trovati altri fondi per lo stesso destino: così è stato promesso alle Camere dal Ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, e non abbiamo motivo di dubitarne.

Qui, invece, vogliamo capire se l’annunciato piano per il contrasto al rischio idrogeologico nazionale, di prossima uscita, sia un progetto nuovo o rinnovato anche alla luce delle novità espresse nel Decreto Legge “Siccità” già convertito in Legge.

Comunque vadano le cose, auspichiamo che tale piano abbia la forza di inglobare tutti gli spezzoni di Leggi che regolano i vari settori che contribuiscono allo scopo di contrastare il rischio idrogeologico.

Tali settori sono i più disparati e appartengono anche al controllo di più Ministeri (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero dei Lavori Pubblici, Ministero della Protezione Civile, ecc.).

Per sopperire a questa dispersione nell’ultimo Decreto Legge in materia, denominato “Siccità”, si è provveduto ad assegnare la governance della materia, tramite una cabina di regia, alla Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri, che presiede anche il Ministero dei Lavori Pubblici e della cui stessa cabina fanno parte i sette Ministri interessati a vario titolo.

Strade allagate
1. (photo credit: J. Lloa da Pixabay)

Nel piano nazionale sul contrasto al rischio idrogeologico suddetto dovrebbe essere istituito un puntuale metodo di governance a più ampio raggio, che comprenda anche quelle attività che non sono state prese in considerazione nel Decreto “Siccità”.

Accade che tale coordinamento, tutt’ora inesistente, non riguardi soltanto i settori già parzialmente messi a sistema dalla Legge, attività per attività, ma anche quei settori di cui il Legislatore non si è mai occupato lasciandone la disciplina alle Normative tecniche di cui si nutre lo stato dell’arte, specialità per specialità.

È proprio da questa specie di limbo che noi vogliamo attingere quel che il Legislatore ha obliterato: parliamo del drenaggio delle acque meteoriche, del loro recupero tramite piccoli invasi di prossimità multiuso.

È proprio su questo punto, per ovviare a questa carenza legislativa, che sono stati presentati negli ultimi mesi alcuni disegni di Legge di iniziativa parlamentare e di Governo che hanno cominciato ad occuparsi (vedi disegno di Legge a prima firma Onorevole Mazzetti ed altri) del drenaggio delle acque meteoriche.

Al riguardo qualche segnale il Legislatore l’aveva già espresso:

  • all’art. 113 del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. n° 152/2006) si fa obbligo agli Enti proprietari e agli Enti locali di suddividere la canalizzazione delle acque meteoriche dalle acque reflue, cosa che da allora ancora non è stata attuata per la più parte;
  • nel DM dell’Ottobre 2017 del Ministero dell’Ambiente, istitutivo del CAM, si precisa che non si potrà costruire nulla se il terreno non sarà adeguatamente drenato dalle acque in eccesso, ciò limitatamente ai soli appalti pubblici. Dopo il Decreto istitutivo del CAM è susseguito un ulteriore DM del Dicembre 2022 che ha dettato le regole di gestione di questa materia cui ha fatto seguito una nota tecnica, tutt’ora in corso di discussione, della quale enucleiamo il punto 2.3.5.1. che tratta esplicitamente dei requisiti e delle caratteristiche del drenaggio delle acque meteoriche quale necessario preliminare ad ogni operazione di costruzione sul suolo.

Tenuto conto che la canalizzazione delle acque meteoriche costituisce un’attività antica quanto il mondo da quando l’uomo, da cacciatore raccoglitore, si fece agricoltore, occorre quindi ricostruire al minimo il profilo di questa importantissima attività che in Europa copre circa il 20% del totale delle azioni di contrasto al rischio idrogeologico, mentre, in Italia, si ferma a circa il 6%: a causa della particolare natura orografica del nostro Paese, tale percentuale dovrebbe essere di gran lunga superiore a quella della media europea.

Affinché questa attività di drenaggio si possa riaffermare con forza anche nel nostro Paese, omologandosi ai trend europei, occorrerà renderla più sistemica con l’intervento del Legislatore.

Allagamento
2. (photo credit: Linda Russ da Pixabay)

Noi suggeriamo di inserire nel Piano nazionale sul contrasto al rischio idrogeologico un capo dedicato al drenaggio delle acque meteoriche che tocchi, in estrema sintesi, i seguenti punti:

  • le canalizzazioni delle acque meteoriche devono essere tenute distinte da quelle reflue in base all’art. 113 del Codice dell’Ambiente, cosa che non ci risulta essere stata fatta;
  • il drenaggio delle acque meteoriche deve avvenire in base alla Normazione tecnica europea (UNI EN 1433 e altre);
  • l’obbligo di drenare il suolo sul costruendo negli appalti pubblici dovrà essere esteso anche a tutte le costruzioni, pubbliche o private che siano;
  • l’attività di drenaggio dovrebbe essere estesa a tutte le aree pubbliche, a cominciare dalle strade, per evitare fenomeni come quello dell’acquaplaning, particolarmente pericoloso per gli utenti delle due ruote;
  • su tutte le altre aree e manufatti si potrebbe predisporre, da parte dello Stato, una serie di sgravi fiscali atti ad incentivare le attività di drenaggio, magari legate alla cubatura delle acque recuperate e stoccate;
  • altre soluzioni possono essere adottate su problematiche affini al CAM quali, ad esempio, l’adozione di canalette multiuso, all’esterno dei condomini, soprattutto nei parcheggi, per la ricarica delle auto elettriche.

Purtroppo, l’unico problema non è solo l’assenza di connessioni tra sistemi diversi, ma vi è anche la difficoltà di trasferire i fondi dal centro alla periferia per poter intervenire con urgenza di fronte ai sempre più catastrofali fenomeni meteorici derivanti dal cambiamento climatico.

Qualche tempo fa, ANCI produsse un pregevole lavoro in dieci punti volto a semplificare le procedure di passaggio dei finanziamenti dal centro alla periferia che, a nostro sapere, non ha avuto grandi risultati. Ci aspettiamo che nel piano nazionale di contrasto al rischio idrogeologico via sia qualcosa volto a risolvere anche questo problema.

A tal riguardo, suggeriamo una soluzione che è quella di consentire agli Enti locali di richiedere un’anticipazione alla Cassa Depositi e Prestiti cedendo il credito verso la contabilità centrale documentato dall’apertura di una pratica che abbia in sé almeno alcuni elementi essenziali tali da accontentare le garanzie minime per la CDP.

Strada distrutta
3. (photo credit: Wilson Malone da Pexels)

In definitiva, il piano nazionale di cui sopra dovrebbe costituire una vera e propria piattaforma unica e coordinata gestita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a mezzo di una cabina di regia analoga a quella già prevista per il Decreto “Siccità”.

Nello stesso piano si potrebbe anche prevedere una consulta di operatori e di utenti volta a fornire ai Gestori dello stesso quegli elementi tecnici e sociali insiti nella realtà.

Questi alcuni spunti che ci piacerebbe vedere inseriti nel piano nazionale per il contrasto al rischio idrogeologico.

Ci sentiremmo, infine, di inserire un ultimo spunto in difesa passiva: ove fosse obbligatoria l’assicurazione contro i danni da acqua per tutti i proprietari di immobili e di terreni, tutti i risarcimenti verrebbero pagati dal sistema assicurativo privato e lo Stato potrebbe concentrarsi a finanziare in pieno la difesa attiva del territorio (prevenzione, protezione e bonifica).

Noi siamo convinti, come operatori, che potremmo dare una mano.

Per la foto in primo piano, photo credit: Joseph Thomas da Pixabay

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