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Caro materiali, due strade per le imprese: revisione prezzi e risoluzione del contratto

Per la tutela dei costruttori serve una nuova norma. È il motivo del forte rincaro, di quasi il 130%, dei prezzi di alcuni materiali da costruzione nel periodo del Covid 19, in particolare del prezzo dell’acciaio tra novembre 2020 e febbraio 2021. Questo vale per le materie plastiche, il rame e il petrolio. Per i lavori pubblici questa difficoltà è ancora più grave per le imprese.

I pagamenti diventano difficili per la necessità di anticipare i costi nei confronti dei fornitori che difficilmente consegnano il materiale in assenza di un acconto e la riscossione in base agli stati di avanzamento lavori da parte degli appaltatori.

Anche la scarsità dell’offerta per l’approvvigionamento dei materiali per l’aumento dei prezzi che, a sua volta, implica scarsità dell’offerta unitamente e minore possibilità di contrattazione del prezzo nei confronti dei fornitori.

Da ultimo il prolungamento dei tempi di esecuzione dell’appalto legati alle difficoltà di approvvigionamento aggravano i costi a carico dell’appaltatore per lo stravolgimento della commessa.

Purtroppo la normativa attuale non offre soluzioni davvero efficaci: l’art. 106, comma 1 lett. a), D.lgs. 50/2016, prevede la possibilità che le stazioni appaltanti inseriscano, nei documenti di gara iniziali, clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi, ma nulla dice sull’ipotesi in cui tali clausole non siano previste e/o inserite nei bandi, nei capitolati o nei contratti. A supporto degli operatori privati, si rammenta che l’art. 30, comma 8, D.lgs. 50/2016 dispone che «per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi […] alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile».

Il comma 2 dell’art. 1664 c.c., applicabile in caso di appalti pubblici, sancisce: «Se nel corso dell’opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso»;

È evidente, si aggiunga, che ognuna di queste possibilità dovrebbe essere – alternativamente – perseguita dall’appaltatore, con richieste scritte ad hoc nei confronti della stazione appaltante. Ciò non toglie, inoltre, che l’appaltatore – in caso di diniego da parte della stazione appaltante – possa (ed anzi, debba) iscrivere idonea riserva negli atti contabili dell’appalto, facendo valere il grave squilibrio economico che ha interessato la commessa a seguito dell’abnorme aumento dei prezzi.

La breve disamina ovviamente, ha un’utilità limitata, poiché non esclude l’insorgenza di contenziosi con la stazione appaltante; sarebbe dunque auspicabile che il Legislatore – proprio in ragione dell’eccezionalità ed imprevedibilità delle attuali condizioni di mercato – intervenisse sul tema con normativa specifica (come peraltro già ampiamente sollecitato dalle associazioni di categoria).