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Testo segreto per la disputa sulla Pedemontana. Manca solo il via libera dell’Anac

Un accordo a “somma zero” che dovrebbe risolvere (Anac permettendo) il lungo contenzioso sulla rescissione del contratto tra la società autostradale Pedemontana e il gruppo austriaco Strabag.

A sottoscriverlo, gli avvocati della società pubblica e quelli del gigante delle costruzioni che da oltre due anni si combattevano a suon di carte bollate e ricorsi. Il testo è stato blindato con una clausola di segretezza vincolante, tuttavia Business Insider Italia è in grado di svelarne i contenuti più importanti.

Innanzitutto, l’accordo non prevede per alcuna delle due parti esborsi di denaro, a somma zero appunto: Strabag rinuncia agli 800 milioni circa richiesti a titolo di riserve, mentre Pedemontana ritira la richiesta di danni da 750 milioni.

Tuttavia, per essere perfetto, il patto deve ricevere il via libera di Raffaele Cantone (secondo pilastro dell’accordo), il cui giudizio dovrebbe arrivare non prima di 30/60 giorni. Qualora dovesse essere bocciato da Anac, si tornerebbe in tribunale per l’iter giudiziario che richiederebbe lunghi anni per giungere a conclusione nei tre gradi di giudizio.

Subito dopo la firma del patto, numerose sono state le critiche, soprattutto degli ambientalisti: per il candidato alle elezioni europee per Europa Verde Dario Balotta, quel documento sarebbe «un condono» e rappresenterebbe «un danno erariale».

«Per risolvere l’annoso contenzioso con il costruttore austriaco Strabag, Pedemontana ha dovuto rinunciare a un risarcimento da 260 milioni stabilito dal Tribunale», ragiona Balotta, per il quale si è trattato di «uno scambio tra un risarcimento certo che doveva incassare Pedemontana e un vecchio contenzioso sulle riserve per molteplici impedimenti del cantiere da 1,7 miliardi.

Due anni fa – aggiunge – un’apposita commissione formata da un rappresentante per parte e un giudice super partes stabilì l’ammontare delle riserve che Pedemontana avrebbe dovuto riconoscere all’impresa appaltatrice si aggirava tra i 61 e gli 83 milioni».

Una cifra che corrisponderebbe a meno di un terzo di quanto Strabag avrebbe dovuto versare a Pedemontana. L’accusa è respinta fermamente dalla controllata di Serravalle, la quale ricorda che i 260 milioni in questione sono in realtà una fidejussione posta a garanzia della gara vinta originariamente da Strabag, non contanti entrati nelle casse della società. Quindi l’ipotesi di un danno erariale è del tutto campata in aria.

Polemiche a parte, resta il fatto che l’accordo rappresenti un nuovo punto d’inizio per l’opera – completata al 30% e ferma da oltre quattro anni non solo per le liti giudiziarie e per la richiesta di fallimento presentata dalla procura di Milano evitata per il rotto della cuffia – , ma ciò non significa che i problemi siano alle spalle. Anzi.

Se infatti da una parte la pace con Strabag dà la possibilità di lanciare le nuove gare per alcune delle tratte mancanti – i lotti B2 e C da Lentate sul Seveso fino allo svincolo di Arcore, mentre la D, Vimercate-Bergamo, la più contestata, resta in forse – che altrimenti sarebbero state disertate da tutti con un giudizio pendente, dall’altra resta aperta la questione delle coperture finanziarie.

Non un problemino da nulla, come ha recentemente ricordato il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli in un tweet velenoso, arrivato dopo aver apposto la sua firma al nuovo atto aggiuntivo. Un documento fondamentale per continuare i lavori, fermo al Mit da anni, che il ministro M5s si è visto obbligato a sottoscrivere, non senza mal di pancia: “Il decreto di approvazione dell’atto aggiuntivo è stato da noi sottoscritto diverse settimane fa.

E risulta già bollinato dalla Ragioneria. Nessun ritardo da parte nostra per un’opera che piuttosto ha gravi problemi di tutt’altro genere, a partire dalla sostenibilità economica, visto che costa grossomodo 4,5 miliardi, lo Stato ha già anticipato circa l’80% della propria quota (poco più di un miliardo complessivo), ma ancora non si vedono i soci finanziatori privati».

«Ora, dalla firma dell’atto aggiuntivo decorrono 12 mesi nel corso dei quali Pedemontana dovrà mostrare tutta la documentazione e gli atti di gara, affinché possano poi partire i lavori e tutta la nuova progettazione, poiché il vecchio progetto fa riferimento a normative tecniche che nel frattempo sono state superate.

Quindi prima di gridare vittoria io aspetterei un attimo», gli ha fatto eco il consigliere regionale M5s, Marco Fumagalli, che ha aggiunto sibillino: «in questi 12 mesi dovranno dunque produrre un progetto rispondente alle normative attuali, ma soprattutto dovranno trovare un finanziatore privato che sostenga per intero il costo dell’opera. Un’opera, che ci tengo a sottolineare, dovrebbe passare in mezzo al territorio della Brianza che attualmente è il più densamente popolato e urbanizzato d’Italia».

Il riferimento al “finanziatore privato” è tutt’altro che casuale: Pedemontana è infatti da tempo impegnata nella ricerca sia di un general contractor sia di un “operatore economico” che finanzi le tratte rimanenti (le famose B2, la C e eventualmente la D), che hanno un costo totale residuo di 2,62 miliardi. Soldi necessari per le gare che la società e Regione Lombardia vorrebbero bandire entro giugno. Secondo fonti della società, sarebbero già pervenute 14 manifestazioni di interesse in risposta alla call lanciata a ottobre 2018, che sono al vaglio dei vertici, ma le trattative ancora sono agli inizi.

Il nodo da sciogliere è la governance: il nuovo socio sarà solo costruttore? Oppure costruttore e gestore? O, invece, rileverà quote importanti della società…

Quindi, la soluzione più probabile è che a finanziare le nuove tratte siano i soci attuali, ovvero Serravalle (78,97% delle azioni), Intesa San Paolo (17,37%), Unione Banche Italiane (3,34%) Bau Holding Beteiligungs (0,32%).

Ma anche questa strada appare in salita, visto il rifiuto del mondo bancario a pompare nuovi capitali nella società, nonostante i 350 milioni di defiscalizzazione già garantiti a Pedemontana dal governo, seguiti dal fondo di garanzia da 450 milioni stabilito dall’allora presidente lombardo Bobo Maroni (un accordo che suonava più o meno così: voi privati investite e vi rifarete tenendovi i soldi dei pedaggi.

Se dal 2025 i pedaggi non saranno in linea con le aspettative, potrete contare su 25 milioni l’anno per vent’anni assicurati dalla Regione). Resterebbe aperta anche l’ipotesi di cooptare Banca Europea degli investimenti e Cassa Depositi e Prestiti, ma appare assai residuale, visto che già in passato anche loro avevano risposto picche.

«Pedemontana è finita su un binario morto da cinque anni perché il progetto non sta in piedi visto che in 15 anni la concessionaria ha dissipato tutto lo stanziamento statale di 1,4 miliardi, per soli 22 chilometri del primo lotto, spendendo la cifra record di 66 milioni a chilometro, che doveva invece spendere con l’effettivo avanzamento dei lavori su tutti i lotti A-B-B2 e D fino a Bergamo, 67 chilometri complessivi», afferma tranchant Balotta.

“Il progetto – prosegue– è irrealizzabile per motivi ambientali, l’attraversamento dell’area inquinata dall’Icmesa di Seveso e finanziari, costi stimati di 5 miliardi impossibili da raccogliere sul mercato. Per questo si è preferito partire con tre inutili e costosi tronconi del lotto A: le mini tangenziali di Varese, di Como e il tratto Cassano Magnano-Lentate. Tratte che ora sono sottoutilizzate per le alte tariffe, doppie rispetto alle altre autostrade lombarde. Più che per il completamento dell’opera sembra che oramai Pedemontana debba essere tenuta in vita per assicurare i 121 dipendenti, dunque tre addetti a chilometro, un record per un’autostrada senza caselli, che è diventata una fabbrica del consenso».

E, in effetti, i dati di traffico non sono certo entusiasmanti, visti gli alti costi di pedaggio, così come quelli della riscossione: nel 2017 la società ha incassato da casello 31.615.148 euro (+26% rispetto al 2016), con una media di circa 37 mila veicoli/giorno, molto al di sotto di quanto previsto ai tempi della progettazione.

A fare la parte del leone, la tratta in A36, che da sola raccoglie l’83% degli utenti, mentre le tangenziali di Varese e Como rispettivamente l’11 (10.124 veicoli) e il 6% (9.815). Tuttavia, bisogna ricordare che nel 2017 gli utenti Telepass avevano goduto di oltre 2 milioni di euro di incentivi. Lo stesso anno la società registra una perdita di 7,4 milioni di euro, dovuta all’aumento dei costi operativi, alla fine delle agevolazioni fiscali e al fondo di accantonamento per il contenzioso con Strabag.

Anche la riscossione presenta problemi, acuiti dal sistema di esazione di tipo free flow: nel 2017 circa un utente su cinque non ha pagato il dovuto. Un nodo che però, secondo l’azienda, sarebbe in risoluzione, visto il trend in diminuzione dell’evasone dei primi tre mesi del 2018.