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Sui divieti di circolazione ai mezzi pesanti si riaccende il dibattito

In “Bianco rosso e Verdone”, il logorroico e pedante Furio annuncia alla famiglia che l’auto ha appena terminato il rodaggio e lancia la seguente proposta: “Bambini, vogliamo dare una lezione a quel bestione là davanti che tra l’altro di domenica non potrebbe neanche circolare?”. Il sorpasso finisce malissimo. Per timore delle conseguenze il camionista, uno strepitoso Mario Brega, si rifugia nella vetturetta di Mimmo (e della nonna).

Comunque, abbiamo un dato di fondo inoppugnabile: la domenica, per regola generale, i mezzi pesanti non circolano. Se però andiamo ad analizzare questa regola dall’interno, ci accorgiamo che le cose sono piuttosto complesse; e che, forse, tutto un sistema consolidato sta oramai mostrando la corda.

Il cosiddetto “calendario dei divieti mezzi pesanti” in realtà non è un banale calendario indicante, per l’anno successivo, le domeniche e gli altri giorni festivi con le ore precluse al trasporto merci, ma un vero e proprio provvedimento generale, redatto annualmente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in funzione di regolamentazione della circolazione, pieno di eccezioni e contro-eccezioni.

Probabilmente, solo Furio saprebbe memorizzarle tutte. Vi si legge, per esempio, che il divieto di circolazione è un po’ più blando per i veicoli provenienti dalla (o diretti in) Sardegna; che esso non vale per determinate categorie di trasporti e comunque “per i veicoli che compiono percorso per il rientro alla sede dell’impresa intestataria degli stessi, purché tali veicoli non si trovino ad una distanza superiore a 50 km dalla sede a decorrere dall’orario di inizio del divieto e non percorrano tratti autostradali”; che le prefetture possono, inoltre, autorizzare la circolazione di altri veicoli teoricamente tenuti allo stop domenicale; eccetera.

Insomma: un impianto normativo complesso. Tuttora foriero di incertezze applicative, nonostante siano passati (o forse, proprio perché sono passati…) venticinque anni dall’approvazione del Codice della Strada. Lo scorso 23 aprile, il MIT ha dovuto chiarire con una nota che i veicoli che si trovino a meno di 50 km dalla sede dell’impresa possono rientrarvi, durante il periodo di divieto, anche con il carico a bordo – non è necessario, in pratica, che siano vuoti.

Peggio: qualche giorno fa il TAR Lazio, accogliendo un ricorso del Codacons, ha sostanzialmente demolito alcuni pilastri del provvedimento annuale in parola, nella misura in cui omette di prendere in considerazione le giornate di sabato, esse pure soggette secondo i giudici a picchi di traffico, e conferisce alle Prefetture troppa discrezionalità nel rilascio degli eccezionali permessi in deroga (sentenza pubblicata il 22/5/2018).

Momentaneamente, per i camionisti nulla cambia perché il primo a dover intervenire in materia altri non è che lo stesso MIT. Ma tra le associazioni dell’autotrasporto la preoccupazione e il malcontento sono palpabili. Come pure è comprensibile la posizione di chi afferma di voler tutelare il benessere dei “normali” utenti della strada. In realtà si tratta, né più né meno, di trovare un bilanciamento tra gli interessi della sicurezza della circolazione stradale e gli interessi produttivo-commerciali.

Il tradizionale provvedimento annuale del Ministero, di per sé, è ancora uno strumento adatto rispetto a un compito tanto complesso? Servirebbe un Codice della Strada tutto nuovo, capace di configurare altri moduli di regolamentazione della circolazione fuori dai centri abitati. L’auspicio di molti è che la legislatura da poco inaugurata produca qualcosa in tal senso.