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Montezemolo sbaglia, lo Stato sostiene Alitalia

Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Alitalia, ha dichiarato il 12 gennaio che nella compagnia aerea “il Governo non ha messo una lira perché i soldi fino ad ora li hanno messi gli azionisti”. Il tema di Alitalia è tornato di grande attualità dopo le dichiarazioni del ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, sulla compagnia “gestita male” e sulla necessità di evitare di parlare di esuberi prima che venga discusso il prossimo piano industriale.

L’affermazione di Montezemolo – che è presidente di Alitalia dalla fine del 2014 – è errata, se appena si allarga lo sguardo rispetto all’attuale crisi aziendale (l’ultima di una lunga serie): nella sua storia recente, la compagnia di bandiera ha ricevuto parecchi aiuti dallo stato. Gli azionisti – riuniti nella CAI, Compagnia Aerea Italiana – hanno infatti comprato, nel 2008, solo una parte della vecchia Alitalia, quella poi confluita nella nuova Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.A. Questa è la cosiddetta “good company”, cioè solamente la parte finanziariamente sana della precedente compagnia.

I debiti e le sofferenze rimasero alla vecchia Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A., ovvero la “bad company”, a carico dello Stato e pertanto di tutti i contribuenti. Non solo. Alla nuova Alitalia fu garantito un quasi monopolio sulle rotte più remunerative per mantenerla in vita, con ricadute in termini di prezzi che sono stati pagati dai clienti.

Durante la privatizzazione Alitalia, inoltre, il governo Berlusconi diede alla compagnia un aiuto di Stato, considerato poi illegittimo dalla Corte di Giustizia dell’Ue, per un valore di 300 milioni di euro.

Nel 2013 l’economista ed ex senatore del PD Pietro Ichino scrisse: “Si può calcolare che fra mancati investimenti dall’estero, debiti non pagati dalla bad company ai creditori – quasi tutti italiani – e costo della respirazione bocca a bocca per tenere in vita la nuova compagnia, il rifiuto dell’offerta Air France-Klm [motivata a suo tempo dal governo Berlusconi per la difesa dell’italianità dell’azienda ndr.] abbia finito col costarci almeno quattro miliardi e mezzo”.

C’è poi la questione del prezzo pagato da Cai per acquistare Alitalia. Scrivevano in un paperdel 2008 gli esperti Andrea Giuricin e Ugo Arrigo: “Il Commissario straordinario è stato autorizzato a cedere a Cai gli asset Alitalia per 1,052 miliardi di euro mentre, adottando criteri omogenei a recenti cessioni di imprese aeronautiche in Europa, possiamo valutarli 1,8 miliardi”. Sulla questione della privatizzazione Alitalia fu anche proposta da alcuni deputati nel maggio 2013 l’istituzione di una commissione d’inchiesta, richiesta che non ebbe esito, per accertare anche la congruità del prezzo pagato da Cai.

Da ultimo Montezemolo sembra non considerare che tra gli “azionisti” di Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.A c’è anche Poste Italiane, una società pubblica che continua a iniettare capitale nella compagnia aerea – ancora in tempi recenti per propiziare l’accordo con Etihad, che ha portato gli arabi al 49% del capitale azionario – salvo poi spesso vederlo bruciare dalle perdite strutturali della società, che anche dopo la privatizzazione del 2008 non è riuscita a diventare efficiente. Dunque, essendo lo Stato di fatto uno degli azionisti di Alitalia, è contradditorio ed errato dire che i soldi li abbiano messi gli azionisti e non il governo.

Se dunque Montezemolo intende dire che nella “good company” lo Stato non ha messo una lira, è già parzialmente falso. Ma l’affermazione è sbagliata se consideriamo che l’Italia ha speso diversi miliardi di euro per depurare la sua ex compagnia aerea delle componenti in perdita, ha rinunciato a guadagnare altri miliardi di euro – prima evitando di vendere a compagnie straniere per motivazioni non di mercato, poi regalando ad Alitalia condizioni di mercato falsate per aiutarne la sopravvivenza – e in generale ha posto a carico della collettività un costo assai oneroso.

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