Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Dalla fiducia bipartisan ai crolli si chiude l’era del supermanager Anas

Nato nel 1950 e laureato in economia, una carriera all'interno delle partecipazioni statali, prima alla società Autostrade e poi all'Iri, direttore centrale finanza all'epoca di Romano Prodi presidente (e oltre), condirettore generale protagonista delle privatizzazioni dal 1996 al 2002, poi presidente della Stretto di Messina Spa (fino al 2013) e direttore generale Anas, infine negli ultimi nove anni presidente/amministratore delegato della stessa Anas.

Pietro Ciucci ha veleggiato ai vertici delle aziende di Stato dalla prima repubblica ai governi Berlusconi ai governi di centro-sinistra a quelli tecnici. Nel luglio 2006 fu l'esecutivo Prodi in cerca di svolte (Di Pietro ministro delle Infrastrutture) a nominarlo commissario dell'Anas al posto di Vincenzo Pozzi. Ma Ciucci venne poi confermato anche dall'esecutivo Berlusconi nel 2008-2011, e poi da quello di Monti nel 2012-2013. Sempre in sella anche con Letta e finora anche con Renzi, tant'è che ci si poteva aspettare che la sua carriera arrivasse alla naturale conclusione del mandato nel maggio 2016.

Mai sfiorato dalla varie inchieste anti-corruzione degli ultimi due anni , Ciucci è stato però indebolito, negli ultimi mesi, da almeno tra vicende.

Prima la rivelazione dell'Espresso sulle sue super-consulenze avute dal Magistrato delle Acque di Venezia, come "libero professionista", per collaudi amministrativi legati ai lavori del Mose. Almeno mezzo milione di euro effettivamente pagato nel corso degli anni. «Incarichi perfettamente legittimi – si difese Ciucci – in base alle mie competenze». E infatti tali incarichi non avevano in punta di diritto nulla di illegale, e Ciucci non è stato coinvolto né nell'inchiesta sul Mose né in quella "Incalza-grandi opere". Ma hanno certamente svelato il complesso intreccio di scambi di favori e doppi incarichi tra il Consorzio Venezia Nuova e molti alti dirigenti statali (tra i beneficiari delle consulenze pagate con i fondi del Mose nella seconda metà degli anni dieci, per centinaia di migliaia di euro, anche l'allora capo di gabinetto all'Economia Vincenzo Fortunato e il predecessore di Ciucci all'Anas Vincenzo Pozzi).

Poi la vicenda della pensione. Ciucci è andato in pensione da direttore generale, con una anzianità complessiva di 45 anni (!), nel settembre 2013. La richiesta venne dal ministero dell'Economia (governo Letta), che nel confermargli la fiducia gli faceva però notare che il Dlgs 39/2014 prevedeva tra le altre cose incompatibilità tra i ruoli di presidente e direttore generale di società pubbliche.

Da qui l'indennità di bunuscita da 1,8 milioni di euro, che emersa solo a metà 2014 ha fatto rumore. Il Tfr era pari a 266mila euro, il resto (1,5 miloni circa) era un'indennità pari a due mensilità prevista dal suo contratto del 2006 al momento dell'uscita, quale che ne fosse il motivo. È vero che non si è trattato di "Ciucci presidente che ha licenziato senza preavviso Ciucci direttore, con risoluzione consensuale del rapporto", come raccontato all'inizio: quelle erano solo le motivazioni di calcolo nel contratto 2006. Fatto sta che Ciucci ha preso l'indennità da 1,8 milioni, percepisce la pensione, e continua a fare il presidente Anas.

Successivamente, la legge Madia del 2014 ha sancito che i pensionati non possono essere dirigenti pubblici: o meglio, quelli che ci sono rimangono, ma non possono essere nominati o rinnovati. Ciucci avrebbe dunque cessato in ogni caso la sua avventura ai vertici dell'Anas al più tardi nel maggio 2016, alla scadenza dell'attuale mandato di presidente.

Ancora più pesante, probabilmente, la vicenda dei tre viadotti crollati, raccontata sopra: anche qui nessuna responsabilità accertata né indagine a carico di Ciucci, ma la spinta a "rinnovare".

Eppure in termini di gestione Ciucci può vantare di aver riportato la società in utile in soli tre anni, dal 2008, dal buco di 500 milioni con cui l'aveva presa nel 2005. E tale utile si è sempre mantenuto negli anni (dovrebbe essere di circa 16 milioni nel 2014).

L'Anas comunque, nonostante sia formalmente una società per azioni dal 2002, resta controllata al 100% dal Tesoro e resta in sostanza ancora un ente pubblico, senza attività di mercato: anche se lo Stato non versa più dal 2011 alcun corrispettivo per la gestione, le risorse per l'attività ordinaria (compresa manutenzione) arrivano per la quasi totalità (a parte marginali entrate proprie) dai canoni versati dalle società concessionarie autostradali, e quelle per gli investimenti arrivano dallo Stato.

Uno dei nodi da affrontare, dunque, per il Ministro Delrio e l'esecutivo Renzi, è se riprendere in mano il progetto di Tremonti di mettere a pedaggio le autostrade Anas (GRA di Roma, Salerno-Reggio) e le superstrade.

C'è poi il tema della manutenzione ordinaria, del controllo della sicurezza sulla rete e dello stato della manutenzione, tema emerso con urgenza dalle vicende dei viadotti degli ultimi mesi.