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Corte Conti vs General contractor: altro che risparmi, è un «generatore di costi»

L'appalto della statale Jonica (lotto da 17 chilometri più altri 5 di una strada collegata) affidato a un general contractor Comeri controllato da Astaldi nel 2005 per 480,5 milioni di euro, e 1000 giorni di lavoro, è alla fine costato 556,80 milioni, con un riconoscimento di 415 giorni di lavori in più.

L'extracosto di circa 76,6 milioni è dovuto in parte a una perizia di variante che ha riconosciuto maggiori costi per oltre 32,88 milioni (facendo salire il costo a 513.121.499 euro) e in parte a un importo di 43,7 milioni di riserve riconosciute al general contractor (che ne aveva chiesti 212 milioni circa). Rispetto al prezzo di aggiudicazione – affidato con un ribasso del 13,13% – l'opera è costata il 16% in più rispetto all'importo contrattuale.

La Corte dei Conti del Lazio ha messo sotto la lente la storia di questa gara, riscontrando un danno erariale di 38,5 milioni, e individuando responsabilità individuali. È tutto nero su bianco nella sentenza n.256/2015 che ha condannato per danno erariale solo sei persone al pagamento di una somma irrisoria rispetto agli extracosti che sono stati generati.

Ma nella sostanza ha anche bocciato lo strumento del general contractor. Motivo? Ha prodotto risultati opposti a quelli per cui era stato creato. Infatti, il General contractor, si legge nella sentenza, «introdotto nell'ordinamento dalla l.n. 443/2001 al fine di conseguire risparmi di spesa, razionalizzare le varie fasi ed accelerare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche ritenute strategiche, si è rivelato generatore di esponenziali aumenti di costi e di sbalorditive richieste di risarcimenti di maggiori oneri sopportati dall'appaltatore che pronunce arbitrali, adottate alla luce di non rigorose consulenze tecniche, hanno in genere benevolmente riconosciuto».

«Non ha fatto eccezione a tali consolidati effetti pregiudizievoli per l'erario della normativa richiamata l'abnormità della richiesta risarcitoria della Soc. Comeri, oggetto di causa, tradotta in 46 riserve il cui importo di euro 339.104.396,34».

L'analisi dei magistrati individua gli anelli deboli della catena di controllo dell'appalto di general contractor, che vede sovente la PA cedere di fronte alle richieste delle imprese. Si legge nella sentenza: «La irragionevole richiesta di ristoro dei maggiori costi sostenuti da parte del Contraente Generale – che costituisce costante malcostume dei soggetti cui vengono affidati appalti di opere pubbliche – è manifestazione di tale disinvoltura contabile, di sfrontato tentativo di drenaggio di denaro pubblico e di palese violazione del principio di correttezza nell'adempimento delle obbligazioni (art. 1175 c.c.) e di buona fede nell'esecuzione del contratto (art.1375 c.c.) che dovrebbe far riflettere l'amministrazione appaltante sull'affidabilità di tali appaltatori quali eventuali partner contrattuali di futuri appalti».

Anomalie ed extracosti costi dell'appalto ribaltati sulla stazione appaltante

Secondo la Corte dei conti, il general contractor ha ribaltato sulla stazione appaltante responsabilità sulle anomalie della commessa che in realtà sarebbero dovute rimanere nell'ambito della propria competenza e responsabilità. In questo comportamento la Corte ha evidenziato profili di illegittimità. Il punto chiave è nella figura giuridica del general contractor. La Legge – come viene ricordato dal Pm nel corso dell'udienza – attribuisce a quest'ultimo «l'onere non solo del "rischio di impresa ma anche di quello dell'opera", con la conseguente irrisarcibilità dei maggiori costi che derivino dall'esecuzione dell'opera stessa». Meglio ancora, il Pm «ha rimarcato la diversità della figura del Contraente Generale rispetto a quella del comune appaltatore proprio in relazione all'assunzione contrattuale di un'obbligazione di risultato». Ne discende che, relativamente ai ritardi e agli extracosti legati all'appalto, il general contractor «non possa vantare alcun diritto risarcitorio – ma tuttalpiù un equo compenso – per i maggiori oneri sostenuti nel compimento dell'opera, in virtù dell'assunzione di un'obbligazione di risultato, che gli impone di realizzare l'opera pattuita con ogni mezzo, e della impossibilità di riversare sulla stazione appaltante i maggiori costi che non siano al medesimo imputabili a titolo di responsabilità».

Per esempio, il general contractor ha ribaltato sull'Anas il rischio archeologico, con voci di costo che sono state accolte nell'accordo bonario che ha visto complessivamente il riconoscimento all'Anas di 43,7 milioni di euro circa. «Le sospensioni totali o parziali nelle attività di cantiere conseguenti a sorprese archeologiche (ma il concetto vale anche per quelle geologiche, n.d.r.), non possono portare ad alcun riconoscimento di danni in favore dell'appaltatore (nel caso specifico, del CG), in quanto si tratta di cause assimilabili a forza maggiore e, pertanto, non riconducibili a fatto della stazione appaltante, trattandosi di sospensioni legittimamente disposte (art. 24, comma 5, D.M. n. 145/2000…)».

Il general contractor, a detta della Corte dei Conti, non può neanche chiedere ulteriori compensi «sia con riferimento al progetto esecutivo sia al progetto definitivo (dell'amministrazione) in quanto verificato dallo stesso Contraente Generale».

Stessa cosa per i tempi di esecuzione: «Anche i maggiori tempi restano a suo carico», sottolineano i magistrati contabili. Peraltro, vale la pena di ricordare che il maggior tempo riconosciuto alle imprese si traduce in denaro sonante, dal momento che il contratto di appalto prevede una sanzione per ogni giorno di ritardo (nel caso specifico «una penale pari allo 0,5 per mille dell'importo complessivo offerto»).

Non solo. Il general contractor non può neanche «chiedere maggiori compensi o danni per le varianti in corso d'opera (art. 9, comma 5, lett. a, del d.lgs. n. 190/2002 e artt. 6 e 7-quater del Capitolato Speciale di Affidamento) atteso che, essendo egli tenuto a realizzare l'opera con ogni mezzo, si assume oltre che i rischi di impresa comuni ad ogni appaltatore anche i rischi dell'opera … essendo questo il significato da attribuire all'espressione obbligazione di risultato e l'amministrazione resta esente da risarcimento danni, tranne per fatti a lei imputabili».

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