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Il calvario infinito del Mose. È una disgrazia divina

«Quelli ci fanno le pernacchie. Capito? Se so’ magnati li soldi e so’ lì, impuniti, che ce fanno ‘e pernacchie!». «Quelli», per Luigi Magistro, commissario del Consorzio Venezia Nuova dopo la svolta decisa alla fine del 2014 dalla Authority anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, sono i furbi che per decenni hanno scorrazzato sul Mose e i lavori per la Laguna. «I responsabili veri non hanno pagato. Non c’è stato un processo vero… E aggiungo che non ci sarà mai, perché si prescrive tutto: lo sanno anche le pietre. Tutto. Mazzacurati, la Minutillo, Baita… Al massimo hanno patteggiato qualcosa e via. Anzi, Baita vorrebbe spiegare a noi dove sbagliamo. Lui! Dopo tutti i miliardi spesi…». Otto, per l’esattezza: «Cinque e mezzo per il Mose più due e mezzo per le opere di salvaguardia». Otto: il triplo dei due miliardi e 933 milioni (euro d’oggi) dell’Autostrada del Sole.

È furente, il commissario: «Qui nessuno ha messo mai un centesimo. Imprenditori… Han fatto impresa senza il fastidio dei concorrenti con utili stratosferici. E adesso si lagnano perché abbiamo ripristinato i prezzi del mercato». Ma quanti soldi occorrono ancora, dopo i salassi? «Non siamo in grado di dirlo». Andiamo bene… Certo, alla bocca di porto di Malamocco i lavori vanno avanti, le immense paratoie fatte fare a Spalato sono allineate sulle banchine pronte per essere adagiate sul fondale e agganciate, gli operai vanno su e giù per i 144 gradini che portano alla pancia della struttura, sotto il mare, dove corre il lungo corridoio che unisce Pellestrina al Lido e le cerniere al centro di tante polemiche luccicano nuove nuove. «Andarà tuto ben! ’Na meravegia!», giura il chioggiotto Eugenio Bollo: una meraviglia.

E anche se sul cartello nessuno ha più il fegato di scrivere, dopo anni di rinvii, quanti giorni mancano, tira aria d’ottimismo. Metà del 2018… Auguri. Anche i commissari del Consorzio, cioè oltre all’ex ufficiale della Finanza Magistro il magistrato Giuseppe Fiengo e l’ingegnere Francesco Ossola, dicono di essere convinti di farcela. «Se i soldi arrivano, però». Dopo aver buttato per decenni spropositate quantità di «schei» nel pozzo senza fondo del «Venezia Nuova» senza mai fare uno straccio di verifica sui conti, lo Stato ha stretto la cinghia. Un po’ per scelta, un po’ perché i meccanismi burocratici sono asfissianti: «I primi soldi della delibera Cipe del 2010 sa quando sono arrivati? Nel 2015!», sospira Fiengo, «ma in gran parte dobbiamo ancora vederli. Provveditorato, ministeri, Tesoro, Ragioneria… Un incubo: non puoi pretendere che un’impresa aspetti un anno e 7 mesi senza pagarli. Non ce la fa!». «Ora dovremmo avere quelli che avanziamo e 221 milioni dalla legge di Stabilità», dice Magistro, «ce li hanno garantiti. Ma un uccellino ci fa fatto venire un dubbio…». Teme che non arrivino? «Sì».

«Con Graziano Delrio e Raffaele Cantone era spuntata un’idea», racconta Fiengo, «si era detto: “Leviamo da mezzo tutta la legislazione dei lavori pubblici e recepiamo solo le direttive comunitarie che sono fatte molto bene”. Ma poi il Parlamento ha tirato fuori 95 criteri di delega: novantacinque. A quel punto…». «Anche se abbiamo ridotto all’osso i costi della struttura, da una settantina a una dozzina di milioni (metà in stipendi per oltre un centinaio di dipendenti) qual è la posizione di tutti nel consorzio? Si arroccano. E continuano a non mettere un centesimo. Anzi, fosse per loro avrebbero mandato via tutti». E accusa: «Forse l’idea iniziale non era male. Perché con il concessionario i lavori si sono pure fatti. C’è stata anche, però, tutta ‘sta ruberia… Perché lo Stato doveva controllare e non ha controllato affatto. Prenda il Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta: perché gli passavano 400 mila euro al mese? Non doveva fare niente. Solo farsi i fatti suoi».

Al di là delle persone, il problema è la macchina: «Se un organismo di controllo ha un organico, mettiamo, di cento persone e di colpo parte il Mose, cioè un’opera gigantesca, stratosferica, che mette in moto miliardi, la vuoi o no rafforzare quella struttura di controllo? Le vuoi prendere un po’ di persone? Macché: zero! Tu, Stato, investi miliardi su un’opera e poi rinunci ai controlli su quei soldi per il blocco delle assunzioni. Che senso c’è? Ma chi le pensa queste cose?». Tutto questo, «prima»? «Macché “prima”! Ancora oggi: dopo lo sconquasso dell’inchiesta hanno sparato qui un povero cristo di provveditore, Roberto Daniele, che ha dovuto impadronirsi in tutta fretta dei problemi. Ci abbiamo lavorato… Una persona a posto, che ormai conosce ‘sta disgrazia divina. Bene, domani viene a salutare perché han deciso di avvicendarlo. Ma perché, domineddio? Dice: il turnover dei dirigenti. Capisco, ma se deve finire tra un anno e mezzo, lascialo un altro anno e mezzo! No: domani mattina arriva uno che, di questi temi, non sa niente. E deve ricominciare da zero. Ma vi pare un Paese normale? Cosa hanno, la segatura in testa? Mo’, magari chi viene è la miglior persona del mondo, non lo conosciamo… Ma sappiamo già che avremo enormi difficoltà».

«La cosa divertente», ammicca amaro il commissario Fiengo, «è che al Provveditorato c’è un responsabile per tutte le opere pubbliche che riguardano la salvaguardia di Venezia, Fabio Riva, che è arrivato ad accumulare grossomodo cinquecento appalti. Immagini lei un povero funzionario, con tutti i limiti umani che può avere un cristiano, che si fa carico di essere Responsabile unico del Procedimento, quindi prendere tutte le decisioni, per 500 appalti. Da so-lo!». Cecità organizzativa dei dirigenti o scelta maliziosa per intralciare controlli approfonditi? «Se ci sono o ci fanno?», ride Magistro, «Non so. So che “prima” non c’era manco lui». Tra i sassolini nelle scarpe, se ne toglie uno: «Per un progetto enorme come il Mose ti aspetteresti il meglio del meglio del pianeta. Aziende leader planetarie. Trovatemene una dentro ‘sta compagine consortile! Una! Se fai il ponte di Messina la vuoi avere dentro un’azienda che abbia fatto già ponti di quel tipo? Per questo, volendo fare le cose per bene, ci stiamo rivolgendo ai leader mondiali… Vogliamo stare tranquilli, non rischiare di finire nelle mani dei peracottari che ci fanno trovare le cose arrugginite…». Ce l’ha con le cerniere del Mose? Quelli che non risparmiavano sulle mazzette hanno risparmiato sui materiali? «Grazie a Dio, quelle funzionano. Cambiarle sarebbe un cataclisma». Ma sarebbero da verificare i «tensionatori» che «hanno dato questi segnali di ossidazione… Se si dovesse sostituire tutti parleremmo di una ventina di milioni. Ma qual è il punto? Che quando chiedo lumi uno dice che ha sbagliato il progettista, il progettista dice che ha sbagliato l’esecutore e dove finiamo? Nel solito buco nero di questo Paese». Cioè? «La giustizia. Possiamo anche fare una causa ma come andrà a finire lo sapranno forse i nostri nipoti. E intanto? Chi lo cambia il tensionatore? Chi lo cambia se non ci sono danari? I fornitori, dopo quello che è successo, vogliono vederti coi soldi in bocca. Se questo è un commissariamento, scusate, dove sono le armi?».

E la manutenzione? Quanto costerà la manutenzione? «Onestamente: non lo sappiamo ancora. Stando al capitolato, il Mose dovrebbe durare 100 anni. Erano 50, hanno voluto fare “boom!” e li hanno portati a 100. Il nostro Francesco Ossola, professore d’ingegneria, mi dice non esiste materiale nemmeno su Marte che duri 100 anni…». Giura però, il commissario, d’avere stoppato comunque il giochino di chi aveva previsto, dopo il business del Mose, il business della manutenzione eterna: «Era pensato così, perché andasse avanti per l’eternità. Come la tela di Penelope…».