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Giovannini: “Una città da ripensare”

(Come riportato in una nota del MIMS)

Intervista del Ministro Enrico Giovannini rilasciata all’Espresso.

Si riporta il testo di un colloquio / intervista che il Ministro Enrico Giovannini ha fatto con l’Espresso, dal titolo: «Una città da ripensare» di Gloria Riva.

II caos in tangenziale alle otto del mattino. La calca delle 17 e 30 allo schiudersi delle porte del metrò. Lo sguardo esausto dei pendolari in attesa di un treno in ritardo. Lo schiamazzare di centinaia di studenti in stazione alle 13 e 30. 11 Covid-19 si è portato via gran parte di questi angoli di quotidianità e nei piani del ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, c’è l’intenzione di non rivederli mai più.

Punta a ridurre la congestione delle grandi città e gli orari di punta. a partire da settembre. quando si dovrebbe tornare a una vita normale. sempre che la campagna vaccinale prosegua spedita durante l’estate. Ministro Giovannini, qual è il piano d’azione?

«Siamo partiti con la firma di un decreto attuativo che obbliga le imprese e le amministrazioni pubbliche – le scuole dovrebbero averlo già fatto – con almeno 100 dipendenti e situate in comuni con più di 50mila abitanti, a nominare un mobility manager, con cui gli assessori al traffico interagiranno per organizzare meglio i tempi di vita e lavoro.

L’obiettivo è creare un coordinamento fra le aziende, le amministrazioni pubbliche e le scuole, ad esempio per distribuire l’utilizzo dello smartworking sull’arco della settimana, oltre che definire orari di ingresso e uscita che non siano gli stessi per tutti. Se i diversi soggetti si mettessero d’accordo per orari di ingresso diversificati e differenti giorni di smartworking, avremmo un miglioramento generalizzato».

Sembra un progetto realizzabile sul lungo termine. Sicuri che entro settembre si riuscirà a mettere in atto un simile piano?

«In autunno dobbiamo puntare alla riapertura totale delle scuole e al ritorno alla normalità nelle aziende, ma dobbiamo ridurre il sovraffollamento sui mezzi pubblici. Le linee guida per i mobility manager – su cui ora lavoreremo – riguarderanno anche le scuole. Inoltre, abbiamo proposto che nel decreto Sostegni 2 siano previsti fondi per le imprese che coopereranno nella direzione indicata o adotteranno altre strategie di mobilità alternativa e sostenibile al mezzo pubblico. Per le scuole superiori stiamo prevedendo l’uso di autobus dedicati per i trasporti extraurbani, estendendo il modello già usato per le scuole elementari e gestito dai comuni, mentre immaginiamo si possano estendere le esperienze di sconti per gli ultrasessantacinquenni per muoversi in orari diversi da quelli di punta. Insomma, è un piano basato su diversi strumenti».

Settembre è fra quattro mesi. Forse le città più dinamiche riusciranno a rivedere gli orari del trasporto pubblico locale in tempo, ma non crede che moltissimi capoluoghi di provincia arriveranno in ritardo all’appuntamento con la rivoluzione delle città?

«Si tratta di una sfida difficile, lo so bene, ma anche l’occasione di un cambiamento duraturo, che possa andare oltre l’emergenza sanitaria. Stiamo dialogando con Regioni e comuni, perché se fino ad oggi istituzioni e imprese di trasporto pubblico locale hanno inseguito la domanda, specialmente per la gestione delle ore di punta, ora si prova con un approccio diverso, in cui gli enti locali dovranno cooperare con imprese e scuole per spalmare i servizi nell’arco della settimana senza lasciare scoperta alcuna fascia oraria. U coordinamento fra i vari attori serve proprio ad evitare di ritrovarci a settembre con autobus strapieni alle 8 del mattino e deserti alle 10. Sappiamo che i piani e strategici di molte aziende già prevedono l’utilizzo dello smartworking al di là dell’emergenza sanitaria e l’abbandono della filosofia dell’headquarter in centro città, scegliendo piuttosto di rilocalizzare le attività in vari spazi di coworking dislocati in diverse aree della città, il che potrebbe consentire ai dipendenti di accorciare drasticamente i tempi di spostamento riducendo gli assembramenti negli uffici. Questo determinerebbe un potenziale cambiamento del mezzo di locomozione, perché se in passato era necessario percorrere 30 chilometri per andare in ufficio, in futuro si potrebbero dover percorrere meno chilometri, e allora si potrebbe preferire una bicicletta all’automobile. Il trasporto pubblico locale deve prendere atto di queste cambiate esigenze e riprogrammarsi, come del resto ha recentemente annunciato di voler fare il Regno Unito: Londra ha in mente di rivedere i piani di sviluppo del trasporto locale alla luce delle mutate esigenze di imprese, scuole, studenti, lavoratori e pendolari».

Anche l’Italia ha in mente di rivedere i propri piani di sviluppo del trasporto pubblico locale?

«Nel Piano di Ripresa e Resilienza, il Pnrr, c’è un investimento consistente – 3,6 miliardi di euro – per favorire la creazione e implementazione del sistema metropolitano delle città, 3 miliardi per il rinnovo in senso ecologico delle flotte tpl, che si sommano ai 3,5 miliardi dei fondi ordinari. Duecento milioni saranno destinati alle nuove ciclovie urbane, mentre nel progetto Mobility as a Service (40 milioni) si proverà a integrare i dati della mobilità con quelli dei servizi e del trasporto pubblico attraverso app dedicate. Poi c’è il capitolo ferrovie (31,4 miliardi): l’obiettivo è potenziare l’interconnessione a vantaggio della qualità della vita delle persone e trasformare la rete ferroviaria in un sistema moderno, sostenibile e digitale. A parità di reti già esistenti, saranno rimpiazzati i treni vecchi e inquinanti con altri ecologici ed efficienti, specialmente dove esistono già le reti elettrificate. Per il Sud, nel Pnrr sono stati stanziati 2,4 miliardi per l’elettrificazione di ulteriori linee, ad esempio Potenza e Foggia, Lamezia Terme e Bari, Salerno e Benevento, Empoli e Siena, Como e Lecco, la sperimentazione di treni a idrogeno e la creazione di nuovi collegamenti, non solo fra i grandi assi cittadini (come il completamento della linea ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria e Brescia-Vicenza-Padova) ma anche per unire periferie e aree interne alle città».

La cosiddetta cura del ferro. Sarebbe un volano eccezionale di ripresa economica, se solo l’Italia avesse mantenuto attiva la filiera che vi stava alle spalle: produzione di treni, autobus e materiale rotabile. Nel Pnrr si è pensato anche a questo?

«Premesso che le gare d’appalto devono svolgersi nel rispetto delle regole europee sulla concorrenza, è vero che in Italia abbiamo un grosso ritardo da colmare nella produzione di autobus a basso impatto ambientale. Il Pnrr indica chiaramente quale direzione intende prendere il paese e ciò dovrebbe convincere i privati ad investire, a loro volta, in Italia. I privati hanno la certezza di poter ottenere fatturati consistenti se investiranno in innovazione, ricerca, sviluppo e produzione nel campo della mobilità sostenibile».

Eppure, proprio nel mondo dell’industria privata c’è chi ha criticato la scarsità di risorse destinate alle infrastrutture, avanzando l’urgenza di puntare 300miliardi su questo settore. Che ne pensa?

«Con 62 miliardi di euro, il ministero delle Infrastrutture è il primo per investimenti del Pnrr. E vero, sono pochi per recuperare vent’anni di mancati investimenti, anche nelle manutenzioni straordinarie, ma non sarebbe stato sensato stanziare tutti i 220 miliardi del Pnrr sulle infrastrutture: è necessario puntare anche su istruzione, salute, formazione professionale, ricerca. Detto questo, non ci sono mai state così tante risorse per migliorare la mobilità, e quindi anche la competitività dei sistema economico, così come l’investimento sul Mezzogiorno. Va inoltre ricordato che ci sono da aggiungere altre risorse: 15 miliardi del fondo sviluppo e coesione, una parte degli 80 miliardi provenienti dai fondi europei di programmazione 2021-2027 e dalle code del precedente ciclo 2014-2020. A questi si aggiungono i fondi ordinari. Dunque, il governo ha dato un’indicazione forte su dove orientare i fondi, ma ora spetta ai territori fare la propria parte, decidendo di investire in sinergia con il Pnrr. Propongo a Regioni, Comuni ed enti locali di usare le stesse categorie del Pnrr per decidere le proprie priorità. Ad esempio: la sicurezza delle opere stradali e ferroviarie; il sistema ferroviario regionale, che in molti punti deve essere rivisto e rafforzato; e la creazione di tratte di ultimo miglio per connettere porti e aeroporti con la rete ferroviaria. A tal proposito. nel Pnrr c’è il collegamento del porto di Gioia Tauro con la ferrovia per consentire il passaggio di container su ferro e l’aeroporto di Salerno all’Alta Velocità».

C’è anche molto scetticismo sulla capacità italiana di realizzare queste opere a tempo debito. Cosa risponde?

«In passato la programmazione delle infrastrutture aveva una data d’inizio, ma non sempre una di completamento. L’attenzione con cui sono stati preparati i piani del Pnrr è stata tale per cui viene definito per ciascuna opera un cronoprogramma preciso, che deve consentire la messa in esercizio entro il 2026».

A proposito di tempistiche, in questi giorni si è molto discusso dell’opportunità di realizzare il mitico ponte sullo Stretto di Messina. Qual è la sua posizione?

«Il precedente ministro, Paola De Micheli, aveva richiesto il parere di una commissione di esperti per la realizzazione di quest’opera. La relazione è stata recentemente presentata, scarta l’ipotesi del tunnel sottomarino e valuta pro e contro dei ponti a campata unica e a più campate. Il primo andrebbe realizzato nel punto più stretto dello Stretto e decentrato rispetto a Reggio Calabria e Messina, mentre quello a più campate verrebbe costruito più a sud. Secondo i tecnici il ponte potrebbe avere un impatto positivo per l’economia complessiva dei trasporti, ma per l’ipotesi a più campate servirebbero analisi vulcanologiche e ambientali approfondite e anche il progetto originario andrebbe rivisto alla luce di nuove normative e innovazioni. Inoltre, la commissione indica la necessità di uno studio di fattibilità tecnico-economica, i cui fondi – circa 40 milioni – sono già stati stanziati, a valle del quale è necessario aprire un dibattito pubblico, come previsto dalla normativa, sulla volontà di realizzare quest’opera».

Ministro, per lei è la seconda volta al vertice di un dicastero. E già stato al vertice del ministero del Lavoro del governo Letta. Puntava a favorire la creazione di nuova occupazione, ma era stato in parte ostacolato dalle autonomie locali, titolari delle politiche attive del lavoro e della formazione. Teme che il federalismo possa nuovamente giocare a sfavore del suo operato?

«Regioni e comuni avranno un compito rilevante non solo per l’attuazione del Pnrr. ma anche per orientare i fondi di loro competenza e risolvere in modo cooperativo problemi su cui hanno un ruolo cruciale, come quello del trasporto pubblico locale. Finora ho trovato un grande spirito di collaborazione e una condivisione della direzione da intraprendere. Ovviamente, nei prossimi mesi potranno sorgere diversità di vedute su dove concentrare alcune azioni, ma vorrei ricordare che questo governo ha fatto una scelta molto decisa per superare le disuguaglianze territoriali tra Nord e Sud, tra centri e periferie, tra città e aree interne. Insieme alla ministra Gelmini stiamo poi lavorando per rilanciare il Comitato interministeriale per le politiche urbane (Cipu), così da coordinare meglio gli interventi sui diversi aspetti della vita delle città. Tutte queste azioni richiedono un forte coinvolgimento di territori e società civile. Per questo ho creato una consulta, cui partecipano organizzazioni imprenditoriali, sindacati, organizzazioni ambientaliste e della società civile per l’attuazione del Pnrr e le altre politiche di competenza del Ministero. Credo che anche a livello locale andrebbero istituiti analoghi luoghi di confronto permanente, così da coinvolgere le forze sociali in quello che è uno sforzo senza precedenti di ripensamento del nostro futuro»