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Il governo vuole che Autostrade paghi di tasca sua i controlli pubblici sulla rete

(come riportato da Goffredo De Marchis su La Repubblica)

Dopo le parole del premier Conte sulle “negligenze gravi e imperdonabili” della società, la trattativa sotterranea continua

Lo Stato vuole di più, molto di più, per far cadere l’ipotesi della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia.

Non basta l’aumento degli investimenti per la manutenzione che servirebbe a cancellare le «gravi e imperdonabili negligenze» di cui ha parlato Giuseppe Conte nell’intervista a Repubblica e che sono certificate dalla dettagliatissima relazione della Corte dei Conti.

Il governo vuole d’ora in poi, ad esempio, che il monitoraggio della rete autostradale sia effettuato dalle sue strutture ma con risorse messa a disposizione da Aspi, in modo da consentire un vero controllo pubblico oggi reso impossibile dalla scarsità di fondi e di personale del ministero.

È una delle condizioni su cui viaggia la trattativa con i vertici di Autostrade in queste ore. La guerra dei nervi dice: contenzioso contro revoca, “via i profitti ai Benetton” contro “ok ce ne andiamo, ma ci date 23 miliardi”.

Atlantia, la holding che controlla Autostrade, sta pagando caro in Borsa: da inizio gennaio ha perso 361 milioni di capitalizzazione; nelle ultime quattro sedute del 2019 aveva già bruciato 1,7 miliardi. Da mesi in realtà continua un negoziato parallelo in cui Aspi mantiene la concessione ma lo Stato si riprende un po’ di poteri su un’infrastruttura che non è stata privatizzata bensì solo concessa. I soldi sono il filo rosso da seguire.

C’è però un problema di chiarezza che può compromettere l’esito del confronto: l’assoluta mancanza di trasparenza. I contatti sono telefonici o via Whatsapp o via mail. Utilizzano canali personali e informali e non diventano mai ufficiali. Lavorano sottotraccia perché una trattativa alla luce del sole è impossibile quando il principale alleato di governo “bombarda” la via diplomatica annunciando la resa dei conti con i concessionari. Che è quello che fa Luigi Di Maio ogni giorno.

Eppure anche i 5 stelle hanno mandato dei segnali distensivi, nonostante i proclami di guerra, dal crollo del Ponte Morandi in avanti. Così si deve leggere infatti il coinvolgimento di Atlantia (poi fallito) nella cordata per Alitalia.

Non può essere un caso, inoltre, che anche la commissione istituita dall’ex ministro Toninelli sia giunta alla conclusione ambigua di un via libera alla revoca pur ammettendo la fondatezza di un ricorso dei Benetton. Un modo per dire: mettetevi d’accordo.

Di solito le commissioni ministeriali sono sì tecniche ma seguono l’indirizzo politico che gli dà il ministro. Il tavolo quindicinale per il controllo delle manutenzioni proposto dalla ministra Paola De Micheli dopo il crollo nella galleria della A26 sotto Natale non sembra il prologo di una rottura traumatica come la revoca.

Infine, c’è la questione della Gronda di Genova. In quell’opera Aspi non è solo la concessionaria, è anche l’azienda che finanzia il 70% dell’opera che in totale costa 4,2 miliardi. Il governo se la sente di rinunciare a tutti questi soldi privati per un’infrastruttura che serve alla popolazione?

Aspi offre 600 milioni per la ricostruzione del Morandi, 800 milioni di indennizzi alla città di Genova e una cifra vicina ai 700 milioni di risarcimento danni allo Stato. La risposta del governo è: troppo poco. Si chiede una consistente riduzione dei pedaggi. E i soldi per il monitoraggio dei 2.800 chilometri della rete come si diceva all’inizio. Un risarcimento vicino ai 2 miliardi. Ma una trattativa che gira intorno a cifre a nove zeri si può condurre con i messaggi vocali di Whatsapp?

Questo è il nodo che Aspi e l’esecutivo sono chiamati a sciogliere entro poche settimane. Uscendo allo scoperto e spiegando qual è la posta in gioco. Tutto si può fare, nella chiarezza. Soprattutto ricordando le 43 vittime del 14 agosto.