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Gli ingegneri italiani più preparati di quelli cinesi. E costano meno

Costi bassi e preparazione eccellente rendono competitivi gli italiani. O almeno quella fetta di manodopera «super qualificata» che viene impiegata in settori ad alta tecnologia.

«Abbiamo ingegneri estremamente capaci, che a parità di competenze hanno un costo per noi più basso rispetto a quello dei loro colleghi di Pechino o Shanghai», conferma Sandro De Poli, amministratore delegato per l’Italia di General Electric, conglomerato americano tra le prime società al mondo per fatturato e profitti, attiva nell’energia, nell’aeronautica, nella tecnologia applicata. Che chiarisce: «Abbiamo confrontato, a livello mondiale, figure con lo stesso inquadramento – posizioni di alto profilo, medesima anzianità di servizio, in settori ad alto contenuto tecnologico – ed è risultato che il costo per l’azienda di un ingegnere cinese è superiore del 30% a quello di un italiano».

Se poi il confronto si allarga a comprendere Francia, Germania e Stati Uniti, la forbice retributiva arriva fino al 50%. Un vantaggio competitivo che secondo il manager dovrebbe aiutare le aziende a indirizzare gli investimenti. Ma che è poco percepito, ammette («Non ci sono così tante aziende che portano la loro attività in Italia»); e che si stempera per un minore livello di produttività dovuto a problemi «culturali, di processi e di infrastrutture». Un’indagine comparata sulle buste paga degli ingegneri conferma che l’Italia potrebbe essere l’Eldorado delle aziende alle prese con scelte strategiche.

Dati di Page Personnel (società leader in Europa per la ricerca e la selezione di personale qualificato, che ha al suo interno una divisione dedicata al reperimento di profili ingegneristici) confermano che ingegneri qualificati con oltre sei anni di esperienza nelle grandi città cinesi – Shanghai e Pechino in testa – mettono in tasca da 36 a 50 mila euro l’anno. Uno «molto esperto» in Italia percepisce al massimo 37 mila euro (è il caso, per esempio, degli ingegneri di processo e di produzione, come si legge in un rapporto del Consiglio Nazionale Ingegneri).

Per la stessa posizione, in Francia e in Inghilterra si arriva a guadagnare anche più di 50mila euro l’anno. Un progettista con almeno tre anni di esperienza non supera nel Belpaese i 30 mila euro, mentre in Francia le imprese offrono, per una figura identica, anche 55 mila euro; in Inghilterra 45 mila. Diverso il discorso per i neolaureati: 19-25 mila euro l’anno in Italia; picchi di 40-45 mila in Inghilterra; ma non più di 10-13 mila euro in Cina. Francesca Contardi, ad di Page Personnel conferma: «A parità di competenze e di esperienza, gli ingegneri italiani hanno un costo più basso rispetto ai colleghi cinesi (secondo le ultime stime, di circa un dollaro). Direi che conviene investire in Italia, anche perché i nostri ingegneri sono sicuramente più competitivi in termini di retribuzione, ma sono soprattutto molto preparati».

Corsi di studio che conferiscono loro elevata flessibilità, preparazione di base tecnico-scientifica di buon livello: queste le carte in più dei laureati italiani, quelle che ne garantiscono l’«employability», per dirla con il lessico dei ranking internazionali. Uno dei più accreditati, il Qs World University Ranking colloca Politecnico di Torino e di Milano tra le prime cinquanta facoltà di Ingegneria del mondo; per alcune discipline, come ingegneria Civile e Meccanica, anche davanti a quelli di Shanghai e Pechino. «Se si considera la dimensione dei due mercati e facendo le dovute proporzioni, la leadership italiana è solida», è il commento di Nunzio Quacquarelli, direttore della società londinese che elabora i confronti. «Le facoltà di ingegneria sono tra le più innovative in Italia, ma il resto del mondo con cui l’Italia vuole e deve competere si muove a un passo decisamente più veloce». «Da noi manca il famoso Sistema Paese – sostiene l’analista – ed è per questo che purtroppo tante menti brillanti fuggono. Quelli che restano fanno davvero un lavoro egregio, viste le difficoltà con le quali si misurano».

E infatti, nonostante quella degli ingegneri sia una categoria di lavoratori «privilegiata» (in patria, a cinque anni dal titolo lavorano 96 professionisti su 100, contro l’87% dei laureati di altre discipline) sono anche tra i più pronti a far la valigia: il 50% accetterebbe un impiego all’estero, dice uno studio di Almalaurea. E noi perdiamo risorse preziose per il Paese».