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La variante di Amatrice

Con una nuova variante, quasi tutta in viadotto, sarà presto possibile by-passare il centro storico di Amatrice liberandolo dal traffico che percorre la S.S. 260 Picente, strada che collega l’Aquila a Rieti e ad Ascoli Piceno

La variante di Amatrice

La necessità della variante di Amatrice

Il nucleo urbano di Amatrice si sviluppa lungo il tracciato della S.S. 260 Picente che a Nord, dopo soli 4 km, si allaccia alla Salaria garantendo i collegamenti verso Roma e verso Ascoli.

Superato il centro storico e procedendo verso Sud, la Picente raggiunge – con andamento molto tortuoso – il passo di Montereale oltrepassando il confine tra il Lazio e l’Abruzzo per poi attraversare le gole di Cagnano Amiterno e seguire il corso del fiume Aterno fino all’intersezione con la S.S. 80 del Gran Sasso d’Italia.

L’attuale tracciato della S.S. 260 ricalca in parte Corso Umberto I, via principale del nucleo storico dove la ricostruzione post-sisma è solo agli inizi. Per attraversare Amatrice, la Picente si arrampica con un tornante sul versante Ovest, piuttosto acclive, taglia in due l’edificato residenziale per poi uscire a Sud e proseguire verso l’Aquila.

La necessità di prevedere una variante che by-passasse il centro è parsa subito evidente onde evitare che il traffico interregionale fosse costretto ad attraversare l’abitato con un tracciato angusto in adiacenza ad edifici in muratura ancora in buona parte da ricostruire.

Chiaramente la variante si inserisce all’interno di un progetto di potenziamento dell’intera statale che rappresenta la principale, per non dire unica, via di comunicazione per Amatrice anche in considerazione del fatto che l’orografia piuttosto aspra non permette facili collegamenti alternativi su ferro.

Il potenziamento della S.S. 260 Picente è per altro a buon punto con più di metà del tracciato già adeguato o in fase di adeguamento.

Alternative alla variante di Amatrice
1. Le alternative di tracciato studiate per la variante di Amatrice

L’impatto delle opere d’arte

La scelta del tracciato da adottare per la variante di Amatrice è stato un processo laborioso e non privo di contrasti come spesso avviene quando si deve progettare una nuova infrastruttura lineare nel nostro Paese, così bello e così fittamente antropizzato.

La progettazione della variante di Amatrice contiene infatti quasi tutti gli elementi che hanno alimentato la discussione degli ultimi decenni sugli impatti che le infrastrutture lineari hanno sul territorio.

Quando negli anni Novanta, sotto il Governo Prodi, fu dato pieno titolo all’istituto della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), la progettazione delle infrastrutture lineari ha avuto un salto qualitativo e quantitativo enorme.

Si ricorda infatti che la VIA nazionale viene introdotta in Italia sulla base di Norme transitorie che traggono origine da quanto definito dall’art. 6 della Legge 394/86 istitutiva del Ministero dell’Ambiente e conformemente alla Direttiva del Consiglio della Comunità Europea n° 85/337 del 1985 modificata ed integrata dalla Direttiva CEE 97/11.

Nei decenni precedenti, quelli del Dopoguerra, se si voleva andare da A a B si sceglieva generalmente la soluzione più economica tra quelle fattibili, dove purtroppo, nel concetto di economicità, entrava anche il profitto di Impresa che, da un lato aveva spesso un effetto peggiorativo sulla soluzione adottata ma dall’altro accelerava sensibilmente il processo se è vero che in pochi anni è stata costruita la rete stradale e autostradale attuale.

Con l’istituto della VIA, a giudicare la bontà di un tracciato sono state chiamate nuove figure professionali con differenti competenze e poteri. Si tratta di Architetti, Archeologi, Biologi ed altri Esperti di scienze naturali il cui coinvolgimento, arricchendo il processo decisionale, ha a volte causato rallentamenti nell’iter autorizzativo ed ha spesso condotto ad una deriva che, in maniera provocatoria, definiremo “gallerista”, alquanto opinabile a parere di chi scrive.

La “deriva gallerista” parte dal presupposto che, a prescindere, “l’infrastruttura è impattante e deturpa il territorio per cui è meglio nasconderla in galleria”. Dato che il territorio italiano è per lo più montuoso o collinare, non potendo adagiare un tracciato stradale sull’orografia esistente, si deve spesso scegliere tra viadotto o galleria e quest’ultima è sembrata, per anni, la scelta migliore.

Le gallerie sono però molto onerose, tanto in fase di costruzione quanto in fase di gestione e, pur riducendo l’impatto acustico e paesaggistico, non riducono l’inquinamento atmosferico né il disturbo all’equilibrio idrogeologico del territorio. Certo, il tracciato in galleria non si vede: quindi se il criterio è “occhio non vede, cuore non duole” allora la galleria è meno impattante di un viadotto.

Il punto è che occorre rivalutare le infrastrutture lineari considerandole come un arricchimento del territorio. Si pensi agli acquedotti Romani: chi si sognerebbe di dire che “vanno rimossi in quanto, non solo deturpano il paesaggio, ma non sono neanche più in funzione!”.

Occorre recuperare un rapporto meno conflittuale con il progresso tecnologico e avere maggiore fiducia nella capacità di progettare e realizzare opere d’arte che arricchiscano il contesto testimoniando l’ingegno e la ricerca del bello, elementi imprescindibili del fare umano.

Quanti bei ponti e viadotti sono stati costruiti in giro per il mondo e quanti di questi sono divenuti elementi distintivi di una città, di un territorio o di un intero Paese. Pochi in Italia purtroppo e questo è oltremodo grave dato che gli italiani sono considerati gli inventori della scienza e tecnica del costruire.

L’inserimento del tracciato
2. L’inserimento del tracciato

Le alternative di tracciato

Teoricamente, anche nel caso della variante di Amatrice si sarebbe potuto scegliere un tracciato interamente in galleria entrando nel rilievo montuoso prospiciente il nucleo urbano e realizzando un tunnel di oltre 1 km a doppio senso di marcia.

Nello specifico, la soluzione è parsa subito impercorribile: i costi sarebbero stati enormi in quanto realizzare una galleria parietale a doppio senso di marcia di quella lunghezza sarebbe stata una follia. Amatrice risulta arroccata su un rilievo dalle pendici molto acclivi, di altezza tutto sommato contenuta, (una cinquantina di metri circa) su cui non è possibile poggiarsi.

La soluzione progettuale propone quindi di by-passare il nucleo urbano con un viadotto di fondovalle. Lato Sud-Ovest, la città è lambita dal torrente Castellano, un piccolo corso d’acqua la cui incisione contribuisce a conferirle l’immagine di città fortificata. Il Castellano in questo tratto si guada facilmente a piedi.

Lungo il suo corso è presente un’opera di captazione in calcestruzzo, un invaso molto più piccolo di quello sul vicino Scandarello. I due corsi d’acqua si uniscono a valle di Amatrice e, proseguendo verso Nord confluiscono nel Tronto.

Deciso che il tracciato sarebbe stato per lo più in viadotto si è iniziato a discutere di geometrie d’asse. Evidentemente, più la geometria d’asse è rigida più l’infrastruttura diventa onerosa e impattante. La geometria diventa rigidissima nell’alta velocità ferroviaria, l’unica è tirare dritto in galleria ottimizzando al massimo le distanze.

Fortunatamente però le strade non servono solo ad andare da A a B nel più breve tempo possibile ma hanno la funzione di “cucire” e antropizzare il territorio. Si può quindi accettare qualche curva ed anche qualche ripensamento per una fermata imprevista che ci permetta di scoprire il territorio.

Nel caso di Amatrice, per poter seguire la valle del Castellano senza impattare eccessivamente le pendici in destra e sinistra, sono state studiate quattro soluzioni alternative. La prima è quella dello studio di perfettibilità, e presenta il tracciato che più si discosta da Amatrice ovvero quello che più impatta sul versante prospiciente la città in sponda sinistra del Castellano.

Il progetto prevede una galleria artificiale e viadotti piuttosto alti, molto visibili da Amatrice. Si evidenzia che viadotti con altezze superiori a 35 m sono di difficile realizzazione in un territorio per nulla antropizzato.

Il tracciato planimetrico è invece molto fluido in quanto sollevandosi dal fondo valle si svincola dall’orografia puntuale camminando quasi interamente in sponda sinistra del Castellano.

La seconda alternativa propone un tracciato che si avvicina ad Amatrice e si abbassa seguendo più da vicino la valle del Castellano. La terza soluzione è caratterizzata da una serie di curve che permettono di seguire il Castellano dapprima in sponda destra, su un pratone ai piedi dell’entrata di Amatrice (lato Rieti), poi in sponda sinistra per evitare la gola sotto l’ospedale e quindi di nuovo in sponda destra allineandosi con una strada sterrata che serve da accesso carrabile al pianoro dove è presente l’opera di presa del Castellano.

La quarta alternativa ricalca invece la sede attuale della S.S. 260 fino al tornante dell’ospedale da dove tira dritto sovrapponendosi di fatto ai tracciati 2 e 3 precedentemente descritti. Quest’ultima soluzione ha il vantaggio di utilizzare la sede esistente e quindi di limitare i nuovi interventi a una lunghezza pari a circa la metà delle soluzioni precedenti.

Lo svantaggio fortissimo è pero quello che il punto individuato per sfioccare dalla sede esistente, ovvero il tornante dell’ospedale, è molto sfavorevole in quanto non permette di inserire uno svincolo senza opere costose e molto impattanti. In quel punto dovrebbe infatti essere inserito lo svincolo per il traffico da e per Amatrice rispetto a quello di lunga percorrenza che prosegue sulla S.S. 260.

Il ponte ad arco
3. Il ponte ad arco in muratura sotto l’ospedale di Amatrice

Il tracciato prescelto

La soluzione prescelta è quella dell’alternativa 3, composta da due rotatorie di estremità, tre viadotti e due piccoli tratti in rilevato a mezzacosta.

Questa soluzione permette di avere una livelletta che sale dall’allaccio lato Rieti a quello lato l’Aquila con il primo e ultimo tratto a pendenza pari a circa il 4% intermezzati da un tratto centrale quasi pianeggiante per una pendenza media inferiore al 2%. L’andamento planimetrico e altimetrico è stato studiato in modo tale da minimizzare l’impatto dei due piccoli tratti disposti in mezzacosta.

Il primo, in sponda sinistra del Castellano, è su un versante acclive prospiciente Amatrice in una zona in cui la valle è molto stretta. Si è di fronte al costone su cui sorge l’ospedale (sponda destra) dove non è risultato possibile passare a causa dell’estrema pendenza e delle numerose interferenze riscontrate.

Fondamentale è risultato definire la giusta quota d’imposta del tracciato in rilevato in modo da minimizzare l’impatto bilanciando il taglio a monte – in destra direzione l’Aquila – con il muro di valle. Il secondo tratto in rilevato si incontra in sponda destra dopo un ulteriore attraversamento del Castellano, in corrispondenza di uno sporgente del versante Sud-Ovest di Amatrice.

Le carte geologiche indicano questa parte del versante come potenzialmente instabile anche se oggi non sono presenti movimenti in atto; peraltro, il tracciato lambisce solo marginalmente quest’area, nella quale il rilevato è stato studiato in modo da stabilizzare il pendio e scongiurare l’innesto di eventuali fenomeni gravitativi, mediante l’adozione di fondazioni profonde e pozzi per le due spalle di arrivo del secondo viadotto e partenza del terzo.

Per inserire con la giusta livelletta il tracciato nel corridoio costituito dalla valle del torrente Castellano, è stato necessario adottare raggi di curvatura relativamente contenuti (200 m e 250 m) e una velocità di progetto di poco inferiore ai 90 km/ora.

La variante risulta comunque molto più fluida e veloce dei tratti adiacenti della S.S. 260, sia nella configurazione attuale, dove vi sono curve di raggio ridottissimo e velocità di progetto pari a circa 40 km/ora, sia nella geometria che si potrà ottenere con i lavori di adeguamento già previsti ed in parte progettati (lato Rieti).

A questo proposito occorre evidenziare che i futuri sistemi di mobilità richiederanno una rivisitazione della Normativa stradale, soprattutto nella parte geometrica, dato che i veicoli elettrici risultano molto più agili e possono accelerare e decelerare facilmente senza inefficienze.

Alcuni sistemi di controllo automatico di guida permettono già di guadagnare molto in sicurezza a parità di velocità, geometria e larghezza di piattaforma. Le progettazioni in corso devono essere pensate per i nuovi scenari di mobilità che saranno prevalentemente elettrici.

  • Rendering di pila e impalcato
    4A Rendering di pila e impalcato
    4A. Rendering di pila e impalcato
  • Sezioni di pila e impalcato
    4B Sezioni di pila e impalcato
    4B. Sezioni di pila e impalcato

I viadotti della variante

La soluzione di risalire la valle del Castellano impostando il tracciato infrastrutturale a quote più basse possibili, restando sostanzialmente fuori dalla visuale del centro abitato di Amatrice, schermati dalla vegetazione d’alto fusto è sembrata subito molto più attraente di quelle che prevedevano di interessare il versante prospiciente, molto più esposto alla vista e con importanti tagli di versante e di vegetazione.

In effetti, c’è già un ponte nella valle del Castellano sotto Amatrice; si tratta di un bel ponte ad arco in muratura che serve oggi un percorso pedonale per chi da Amatrice voglia scendere in questa valle e quindi risalire il piccolo corso d’acqua verso il Villaggio dello Scoiattolo e il nuovo ponte Tre Occhi.

L’idea per i nuovi viadotti della variante è venuta proprio osservando quest’opera, perfettamente integrata nella valle e pressoché invisibile da Amatrice. Restando con una altezza sotto i 25 m, i nuovi viadotti saranno fuori dalla visuale dei principali punti panoramici e si integreranno rapidamente alla vegetazione circostante d’alto fusto.

La visibilità dell’opera sarà tutta dal basso ovvero interesserà quegli utenti che usano la valle del Castellano sostanzialmente per scopi ricreativi quali per escursioni e passeggiate in quanto, nel tratto in esame, non esiste viabilità carrabile.

Il tracciato prescelto permette quindi di dividere la variante in tre viadotti. Questa è una soluzione piuttosto conveniente dal punto di vista strutturale ed antisismico. Nonostante dal punto di vista manutentivo sia auspicabile avere travi continue il più lunghe possibile con il minor numero di giunti, in zona sismica strutture troppo lunghe e con altezze di pila differenti complicano la scelta del sistema di isolamento e regolarizzazione.

Nel caso della variante di Amatrice si hanno in definitiva i tre viadotti seguenti:

  • Rinascimento I – sviluppo complessivo di 380 m suddiviso in otto campate di luce massima pari a 55 m e altezza massima delle pile di 20 m;
  • Rinascimento II – sviluppo complessivo di 510 m suddiviso in nove campate di luce massima pari a 70 m e altezza massima delle pile di 23 m;
  • Rinascita – sviluppo complessivo di 185 m suddiviso in quattro campate di lunghezza massima pari a 55 m e altezza massima delle pile di 19 m.

Tutti e tre sono composti da un’unica trave continua a struttura mista isolata con elastomeri ad alto smorzamento, economici e affidabili, capaci di assorbire facilmente con la loro altezza le escursioni termiche dell’impalcato.

Si ricorda infatti che su un viadotto di 300 m una variazione termica di 20 °C da 6 cm, quindi circa 3 cm sugli appoggi alle due estremità (spalle) a fronte di una altezza di questi elastomeri armati che tipicamente è sempre superiore ai 15 cm che sono necessari ad ottenere l’effetto di isolamento voluto.

L’impalcato è il classico bi-trave con rompitratta centrale che per le piattaforme tipo C2 permette di avere campi di soletta e sbalzi molto proporzionati e facilmente realizzabili mediante l’ausilio di predalles metalliche tralicciate in direzione trasversale.

Nella scelta delle luci dei viadotti c’era una convergenza tra criteri tecnico-economici e architettonici. Si dimostra infatti che i ponti a travata trovano l’ottimo architettonico che è poi un minimo di ingombro visivo quando le luci sono comprese tra 2,5 e 3,5 volte l’altezza del viadotto stesso.

Con luci più piccole le pile schermano, con luci più grandi la travata diventa inutilmente ingombrante rispetto alle pile. Dato che la soluzione bi-trave a struttura mista è molto economica e speditiva sotto gli 80 m circa, meglio 60 se in curva, ecco che i due criteri convergevano dato che i viadotti hanno una altezza pari o poco superiore ai 20 m.

Anche per le pile in calcestruzzo la scelta è stata praticamente obbligata. Sotto i 25-30 m, infatti, le soluzioni piene sono decisamente più belle e concorrenziali rispetto a quelle cave che sono inutilmente onerose e non giustificate dalle dimensioni di sezione richiesta (un decimo dell’altezza per dare un ordine di grandezza). C’è poi da dire che le sezioni piene, se non sono troppo pesanti hanno un ottimo comportamento antisismico: basta prevedere un buon confinamento cosa che è sempre possibile con le sezioni piene.

Per quanto riguarda la forma, con un bi-trave in zona sismica sono sempre consigliabili pile a giglio dove si cerca di ridurre ingombro e pesi della parte sommitale ovvero sono da evitare come la peste quegli orridi pulvini prismatici pieni di cui purtroppo abbiamo appestato il Belpaese.

Dato che si parla di strada in zona sismica viene d’obbligo il paragone con cerchi mozzi e freni di una automobile. È noto che risparmiare sul peso di queste componenti è fondamentale perché sono masse non isolate, dato che stanno prima degli ammortizzatori. Lo stesso vale per i pulvini: inutile isolare gli impalcati se poi facciamo pulvini da oltre 50 m3.

Chiaramente le pile sono l’elemento che contraddistingue un ponte a travata e se si vuol fare un bel ponte è necessario spendere qualche soldo in più per fare delle belle pile. Chi domani cammina su per la valle del Castellano, ovvero chi guarda alla variante da quei pochi punti dove la stessa sarà visibile, non potrà non soffermarsi sulla qualità delle pile. Il disegno proposto per la variante di Amatrice è stato sviluppato dallo studio Vespier Architects, diretto dall’Arch. Danilo Vespier, che ha saputo trovare l’equilibrio tra efficienza strutturale ed eleganza del segno.

Certo anche la travata ha una sua importanza ma il guadagno estetico che si ha con un cassone chiuso è molto modesto mentre l’aumento di costo è piuttosto significativo. Chi guarda infatti il viadotto da lontano in prospetto coglie solo la siluetta della travata, che deve ovviamente essere snella e slanciata.

Da questo punto di vista dà molto slancio avere l’altezza variabile della travata quindi ridurre lo spessore in mezzeria e aumentarlo sulle pile cosa che per altro è funzionale allo schema statico di trave continua.

Chi invece cammina nella valle, sotto il viadotto, non dà alcuna importanza al fatto che l’impalcato sia chiuso o aperto: da questo punto di vista l’opinione che i cassoni chiusi siano più belli delle travi aperte è molto opinabile.

I viadotti della variante di Amatrice
5. I viadotti della variante di Amatrice

Aspetti strutturali e manutentivi

I viadotti con impalcato a struttura mista stanno riscuotendo grande favore da parte di ANAS e degli altri Enti gestori in quanto sono robusti, relativamente facili da costruire e con una manutenzione relativamente contenuta.

La robustezza di queste opere è dovuta allo schema statico e ai materiali. La trave continua è una struttura molto efficiente in quanto ha dei momenti flettenti molto più contenuti dello schema in semplice appoggio.

In effetti la maggiore efficienza teorica dello schema a trave continua rispetto a quella in semplice appoggio non è nel rapporto dei momenti massimi, quindi 12/8 = 1,5, bensì nel rapporto delle aree dei momenti flettenti che si dimostra essere pari a ben 2,6.

Lo schema a trave continua permette inoltre di avere una riserva di resistenza in quanto i momenti possono essere ridistribuiti tra appoggio e mezzeria prima che l’eventuale collasso di queste sezioni portino a un cinematismo di crollo. Si consideri che nella pratica professionale corrente questa riserva non è fattorizzata in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, si dimensionano queste strutture con calcolo elastico lineare ignorando questa possibilità di ridistribuzione.

In una travata di questo tipo, quand’anche la sezione di pila perdesse di rigidezza per imbozzamento o sbandamento della carpenteria metallica, la travata resterebbe ancora in piedi grazie alla resistenza della sezione di mezzeria che è sollecitata da momenti positivi con soletta in calcestruzzo compressa e carpenteria metallica tesa. Se viceversa si raggiungesse la capacità ultima in mezzeria ulteriori incrementi di carico possono essere portati dalle sezioni di pila.

La facilità di costruzione è dovuta al fatto che mentre si realizzano le sottostrutture, tipicamente in calcestruzzo armato, si può realizzare la carpenteria in officina e quindi la si può montare in opera sia per sollevamento che per spinta. La carpenteria metallica è notoriamente leggera, tenace e duttile, tutte proprietà che tornano utili nelle fasi di costruzione.

In queste fasi si devono movimentare elementi che in acciaio pesano una frazione di quanto peserebbero in calcestruzzo e che possono essere soggetti a sollecitazioni transitorie molto differenti da quelle definitive di esercizio. Il montaggio è poi sempre soggetto a imprevisti e necessità di “aggiustamenti”.

Gli elementi in carpenteria metallica possono essere violentati senza troppe proteste e senza danni permanenti: la carpenteria metallica è duttile, accetta queste malversazioni. La manutenzione contenuta di queste opere discende sostanzialmente dalla mancanza di giunti. Si è visto che il 70% dei danni dei nostri viadotti dipenda dai giunti. Gli impalcati a struttura mista si prestano ad essere realizzati senza giunti anche per lunghezze considerevoli, facilmente superiori al chilometro.

Il restante 30% dei fenomeni di ammaloramento sui nostri viadotti dipende invece dall’infiltrazione delle acque di piattaforma e dei sali antigelo dentro la soletta in calcestruzzo. Questo fenomeno si deve scongiurare con tre accorgimenti che purtroppo non sono ancora entrati a pieno titolo nella pratica costruttiva corrente.

Il primo accorgimento è quello di usare per la soletta calcestruzzi additivati che abbiano una bassa permeabilità. Oggi è possibile ottenere calcestruzzi che hanno una permeabilità che è circa la metà di quelli correnti ricorrendo a dei semplicissimi additivi. Il secondo è quello di utilizzare armature zincate, soprattutto in zona di momenti negativi – sulle pile, là dove la soletta è tesa e quindi più prona a fessurarsi e quindi a far infiltrare gli agenti esterni.

Il terzo è quello relativo alla qualità delle impermeabilizzazioni di estradosso. Come noto, il passaggio dalle cappe bituminose/asfaltiche applicate a caldo nei primi decenni del Dopoguerra alle impermeabilizzazioni prefabbricate a teli è stato un falso progresso. Se questi teli non sono applicati in maniera molto attenta e rigorosa, l’acqua si infiltra sotto e viene totalmente a mancare l’effetto di impermeabilizzazione.

Le guaine liquide introdotte nell’ultimo decennio, che aderiscono al substrato in calcestruzzo e formano una protezione continua, sono più efficaci ma hanno lo svantaggio che non vi si può passare sopra con i mezzi di cantiere e richiedono quindi una organizzazione dei lavori molto più rigida di quanto siamo abituati in Italia, oltre al fatto di essere ancora molto più costose rispetto ai teli prefabbricati.

In definitiva, si possono utilizzare entrambe le soluzioni a patto che i lavori siano effettuati a regola d’arte. Per i teli prefabbricati è necessario utilizzare elementi di elevato spessore e tenacità che prevedano un estradosso robusto che resista a tutte le attività di cantiere che ragionevolmente intercorronotra la loro posa in opera e quella della pavimentazione. 

  • Il ponte degli Arci a Tivoli
    6A Il ponte degli Arci a Tivoli
    6A. Il ponte degli Arci a Tivoli
  • Il ponte degli Arci a Tivoli
    6B Il ponte degli Arci a Tivoli
    6B. Il ponte degli Arci a Tivoli

Conclusioni

La nuova variante di Amatrice rappresenta una grande opportunità di rinascita per questo territorio e la sua città simbolo che sono stati pesantemente danneggiati dal terremoto del 2016. La rinascita non può che partire da un rinnovato interesse per la fruizione di questa parte d’Italia che è tanto bella quanto morfologicamente aspra e mal collegata.

L’ANAS e il Commissario governativo – l’Ing. Fulvio Soccodato – stanno investendo molte risorse nel potenziamento della Salaria e della Picente che sono le principali arterie stradali a servizio di queste aree. L’ammodernamento consiste sostanzialmente nel migliorare geometria e piattaforma dei tracciati esistenti con allargamenti in sede e varianti dove necessario.

La causa principale del dover ricorrere a varianti è la geometria d’asse troppo tortuosa ma anche, come nel caso di Antrodoco e Amatrice, la necessità di by-passare i centri abitati ovvero liberare gli stessi dal traffico pesante di media e lunga percorrenza. Queste varianti il più delle volte devono quindi affrancarsi dalle asperità morfologiche con tracciati in galleria o viadotto.

La variante di Amatrice è quasi completamente in viadotto perché nella fattispecie era la soluzione più adatta e ragionevole ma le soluzioni proposte per i viadotti della variante di Amatrice potranno essere utilizzate in molte situazioni simili dove una bella opera d’arte all’aperto è da preferirsi a una galleria a unico fornice, molto più costosa nella costruzione e nell’esercizio ma soprattutto con un piacere di guida e una sicurezza intrinseca minore rispetto a quelle di un tracciato all’aperto. 

Ringraziamenti

Al successo di questa prima fase di progettazione hanno contribuito in maniera determinante la struttura commissariale dell’Ing. Fulvio Soccodato, in particolare grazie agli interventi dell’Arch. Giulia Ceribelli. L’ANAS Compartimento del Lazio, diretta dall’Ing. Marco Moladori, ha coordinato con estrema efficacia tutta la progettazione, approvazione e concretizzazione dell’appalto con la sua squadra supervisionata dal RUP, l’Ing. Antonio Aurelj, l’Ing. Paolo Nardocci e dal DEC, Ing. Federica Di Pompeo.

Ultimi ma non per l’importanza, si ringrazia tutta la squadra di Professionisti del raggruppamento di Imprese Integra Srl, VAMS Ingegneria Srl, React Studio Srl e Arethusa Srl che, per merito di una fitta e piacevole collaborazione, hanno tagliato questo traguardo.

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