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L’evoluzione delle barriere per il bordo laterale

La protezione su strada certa al livello testato

L’evoluzione delle barriere per il bordo laterale

La prova naturalmente va effettuata solo su alcuni paletti del dispositivo. Nel campo prove l’omogeneità dei terreni ne riduce il numero sui paletti che serviranno per riferimento ai confronti; su strada ne serve qualcuna in più, se i supporti non sono omogenei.

A prescindere dall’attrezzatura da usare (per la quale valgono i principi di facilità, velocità ed economicità di impiego), i punti fermi del confronto devono essere:

  1. esecuzione di tipo dinamico;
  2. ripetizione nei due casi, pista e strada, con gli stessi parametri (tecnica del confronto); la prova su pista è il riferimento R.

La prima necessità è generata dal fatto che il fenomeno da valutare è di tipo non statico e che le risposte dei terreni cambiano profondamente se i carichi sono lenti o veloci.

La misura poi deve rilevare non solo lo spostamento del paletto ma anche il tempo in cui esso avviene, perché ambedue concorrono al corretto funzionamento dell’insieme barriera-terreno. L’uso del confronto serve a ridurre l’influenza di eventuali diversità generate dal tipo di strutture da valutare e dell’urto che le interessa: esse possono essere trascurate se i parametri delle prove usati in pista ed in sito sono gli stessi.

I parametri che si è valutato dover essere mantenuti costanti sono:

  • massa e velocità dell’energia dell’urto;
  • l’altezza dal terreno del punto di urto.

Il criterio ritenuto valido è poi quello che rileva la curva di spostamento S nel tempo t e il momento in cui l’energia dell’urto si è completamente scaricata sul paletto; esso è evidenziato dall’inversione di movimento del paletto stesso.

La mancanza di questo ritorno, se presente nella prova di riferimento R, denota il fatto che il paletto non funziona come ha funzionato nella prova di convalida della barriera.

L’area sottesa dalla curva S-t e da questo tempo di inversione dello spostamento tR o ti, misura la capacità dissipativa Ce del terreno di infissione indicata come:

Quindi il confronto si fa tra i due valori, che non devono essere troppo diversi, sia in più che in meno, al valore di riferimento. Il criterio è stato verificato con una serie di crash test su barriere complete i cui paletti erano stati testati con il metodo descritto, definito sinteticamente Metodo Thor.

La metodologia, applicata in centinaia di applicazioni, ha permesso inoltre di arrivare a dei criteri di valutazione (in fase di brevetto) della efficacia dei terreni di montaggio preventiva a prove di crash complete; in pratica, si può valutare la probabilità numerica della efficacia della protezione che si sta progettando in base alle dissipazioni ottenute con semplici prove sui paletti.

Si è anche sviluppato il criterio di misura dell’azione frenante del paletto, l’azione cioè che si ricerca per ridurre il movimento di una barriera a muretto con il paletto che scava il terreno e non di piega sotto l’urto come spiegato nel seguito.

I sistemi di rinforzo dei terreni

Avendo messo a punto un criterio di verifica certo, visto che spesso i terreni di impianto non hanno le caratteristiche di quelli di prova per cui neppure si ha l’inversione di movimento (non si forma la cerniera plastica di deformazione del paletto), si sono ricercati sistemi di trasformazione dei terreni in sito che permettessero di riottenere i comportamenti del campo prove.

Una prima ricerca ha messo a punto la sostituzione del terreno nel contorno del paletto tramite gabbioni prefabbricati riempiti con materiale analogo per granulometria e costipamento a quello della pista di prova (si veda “S&A” 117 Maggio/Giugno 2016 e https://www.stradeeautostrade.it/segnaletica-e-sicurezza/la-sicurezza-passiva-dei-bordi-stradali/).

La soluzione, tecnicamente valida perché la quantità di terreno che interferisce con il paletto nel suo movimento dinamico non è molto elevata, presenta però dei costi elevati e delle modalità operative complesse, specialmente per impianti già costruiti.

Il metodo, ormai sviluppato nei dettagli e applicato su tratti autostradali significativi, è quello che utilizza delle barre di acciaio con una punta elicoidale che vengono avvitate nel terreno a fianco al paletto in opera e poi a lui collegate in modo che la sua struttura non venga alterata. Nell’urto dinamico di un incidente (o della prova di verifica ricordata) il paletto chiama a collaborare tutto il terreno che coinvolge la vite di ancoraggio.

Il progetto di dimensioni ed inclinazione viene messo a punto con le prove dinamiche ricordate e la sua validità è stata verificata anche con crash test totali di confronto tra impianti su terreno piatto e su terreno di bordo, rinforzato con eliche.

Le soluzioni a muretto con spazi di spostamento ridotti e certi

L’idea di fare a meno dei paletti in modo tradizionale è nata prima che si trovasse il sistema di rinforzo dei terreni appena descritto; anche questo tipo di soluzioni è stato accennato sul fascicolo n° 117 Maggio/Giugno 2016 (si veda anche https://www.stradeeautostrade.it/segnaletica-e-sicurezza/la-sicurezza-passiva-dei-bordi-stradali/) con lo schema di Spazio Zero 1 che ha superato i primi crash test effettuati sul vuoto.

Le soluzioni Spazio Zero SZ1 ed SZ3

L’idea di base, brevettata, è stata quella di usare i paletti inseriti in un ambiente che non varia nello spazio e nel tempo come il terreno del bordo strada; così essi governano il movimento di barriere continue a muretto (di forme diverse, dal New Jersey ai profili a pendenza unica) in modo sempre uguale.

In SZ1 i paletti sono inseriti in cavità praticate nel corpo di una trave-supporto in c.a. che viene semplicemente appoggiata sul bordo del rilevato stradale; le prove di convalida sono state fatte sul vuoto, come nella realtà.

In questo modo tra prova e impiego le differenze sono azzerate; lo Spazio Zero è quello necessario al di là dell’appoggio e la risposta non dipende dal terreno: le prime applicazioni hanno mostrato la sua affidabilità.

Questa soluzione ha avuto altri sviluppi alla ricerca di riduzione dei costi e anche di soluzione di problemi specifici e di nuovi criteri di funzionamento.  Il modello SZ3 sviluppato per Autostrade per l’Italia è un esempio di questo nuovo approccio, anch’esso giunto all’applicazione operativa su due autostrade.

Il nuovo criterio è quello della mobilità veramente nulla o molto contenuta in pochi centimetri e l’arresto facilitato per vetture e veicoli merci tramite un letto d’arresto particolare.

La barriera è un monolite costituito dal muretto di contenimento a pendenza unica come SZ1 con alla base un “vassoio” a lui solidale riempito di ghiaietto grosso 15/25 in cui affonda la ruota del veicolo in svio. Il vassoio è interrotto da setti in c.a. affioranti dalla ghiaia ed inclinati rispetto alla direzione di marcia; la loro funzione è quella di far saltare e ricadere nel letto le ruote dei veicoli leggeri e veloci frenandole.

L’azione è necessaria perché altrimenti esse potrebbero “galleggiare” sulla ghiaia e non essere abbastanza frenate; l’inclinazione è a favore del rinvio in strada.

Questa barriera richiede una regolazione idraulica accurata, ma protegge il bordo strada dall’erosione che è uno dei problemi delle soluzioni NP data la difficoltà di gestione del bordo in terra. Richiede uno spazio di appoggio minimo di 50 cm ma la sua larghezza totale è di 120.

Ha quindi dato luogo a un’ulteriore evoluzione di minor larghezza, sempre poco spostabile, per la protezione degli ostacoli laterali molto vicini al bordo strada. Su di essi spesso può impattare un veicolo che sia pure stato trattenuto da una barriera tradizionale, che però si è notevolmente spostata. 

Le soluzioni a muretto per la protezione di ostacoli vicini al bordo strada: SZ4

Si tratta della SZ4, sviluppata sempre per Autostrade, che riprende i criteri di funzionamento di SZ1 con paletti non inseriti nel terreno, ma su supporti che partecipano alla resistenza all’urto con la loro massa spostata da detti paletti; questi supporti sono suddivisi in due solette di larghezza ridotta a 80 cm.

Esse, oltre a contrastare il movimento dei paletti, servono anche per portare il piano di appoggio in basso rispetto al piano strada, in modo da avere la larghezza necessaria a contenerli completamente. Il supporto quindi occupa meno spazio di SZ3 e lo spostamento della barriera a forma NJ, che contiene parte dei paletti, è prima autonomo sulla base e poi coinvolge il suo basamento.

Le uniche forze agenti sono gli attriti da vincere e le masse da spostare. Il risultato è la protezione sicura dalla fuoriuscita e dall’urto anche contro un ostacolo vicino al bordo come la pila di un cavalcavia o un portale di segnaletica.

SZ4 ha una maggior facilità di trasporto e montaggio perché suddivisa in tre parti più maneggevoli; nessun paletto è infisso nel terreno.

Per tutte le barriere SZ è progettata una specifica regolazioni idraulica per lo smaltimento delle acque di pioggia: tutte permettono agevolmente le rotazioni per proteggere i tratti in curva e sono verificate, in Classe H2, sul vuoto di un vero rilevato e non in piano. 

Le soluzioni a muretto classiche ma a spostamento frenato

Una linea parallela di sviluppo con costi ridotti è poi quella dell’uso di muretti tradizionali, sia a sezione NJ che ET100, con paletti frenanti.

In questo caso al paletto non si richiede l’azione resistente con conseguente formazione di cerniera plastica, ma solo l’azione frenante (anch’essa brevettata) e verificabile con gli stessi metodi descritti nel paragrafo “Disporre di un criterio di valutazione dei terreni” usati per i paletti delle barriere a nastro.

Nel caso specifico però, sempre con il confronto, le altezze di urto sono le più basse possibili, rasenti al terreno e la valutazione avviene con il tempo predefinito tR rilevato nei crash di convalida. 

Conclusioni

Oggi quindi siamo in grado di proteggere il bordo strada, e anche lo spartitraffico, con una serie di soluzioni la cui funzionalità, accertata con le prove di crash test, verrà sicuramente ottenuta nell’applicazione sulla strada. Le soluzioni sono molteplici e si può:

  • fare a meno delle barriere ricorrendo alla trincea artificiale;
  • rendere certe le protezioni esistenti NP a nastri e paletti;
  • progettare nuove NP che si comportano come nei campi prova;
  • usare soluzioni a muretto che non dipendono dal terreno e si spostano di pochi centimetri;
  • usare soluzioni a muretto tradizionali, ma con spostamenti ridotti.

Per resistere sul bordo strada con i carichi elevati e con i movimenti voluti occorrono protezioni naturalmente più costose della semplice barriera NP, con paletti più o meno infittiti.

Il maggior costo è però giustificato dal risultato. Il prossimo traguardo? Ridurre le conseguenze degli urti su trasportati in modo certificabile non abbastanza studiato ad oggi e non verificabile con precisione dagli indicatori di norma.