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Il Punto di Vista del Prof. Giuseppe Matildi sul viadotto Polcevera

Alcuni insegnamenti da Genova

Il Punto di Vista del Prof. Giuseppe Matildi sul viadotto Polcevera

Vi invitiamo a leggere i Punti di Vista di altri illustri Esperti della materia

La tragedia di Genova ci impone non poche riflessioni. Come tanti Ingegneri che progettano ponti da decenni, nei giorni successivi al disastro sono stato chiamato da molti giornali per essere intervistato, ma ho preferito tacere perché ritengo che in molti interventi vi fosse più voglia di protagonismo che desiderio di chiarezza: sentire parlare del viadotto Polcevera in termini superficiali e di “fallimento ingegneristico” è stato triste, prima che errato.

Rispondo oggi, con piacere, all’invito di “Strade & Autostrade” perché è una sede tecnica rivolta a colleghi. Non credo che l’opera trascinasse in sé da 50 anni, inconsapevole, errori progettuali come qualcuno ha affermato e come, forse, si cercherà ancora di dimostrare per salvare qualche responsabile odierno; non posso neppure dire che fosse prevista per carichi minori e flussi meno intensi.

Tutti i Progettisti di ponti sanno che l’entità dei carichi mobili di progetto dei ponti dal 1962 a oggi non è aumentata, in termini assoluti, e che le verifiche a fatica nei ponti – cioè lo studio del numero di passaggi di mezzi – sono una prassi recente (compaiono nella Norma del 1980 e solo nell’ultimo ventennio sono diventate comuni) e limitata ancora oggi quasi sempre alle sole opere metalliche.

Giustamente si è parlato di invecchiamento delle strutture ma mi ricollego a quanto appena scritto; tra gli anni Trenta e gli anni Settanta, il calcestruzzo era per tutti un materiale eterno, che veniva definito “pietra artificiale”, con l’illusione che in 28 giorni si potesse ricreare quella solidità di legami chimici che la natura crea nella pietra in milioni di anni. Nessuno pensava a tutti quei fenomeni di degrado che conosciamo oggi e decretano una vita reale dei getti di solo decine di anni.

Ho letto, però, che qualcuno parla ancora di un’opera giovane per il Polcevera dopo 50 anni, adducendo che il calcestruzzo possa durare due secoli. Non può essere vero per i calcestruzzi del Dopoguerra e dubito lo sia anche per quelli contemporanei, che pure beneficiano di una cura chimica e tecnologica incomparabilmente più evoluta.