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Le associazioni ambientaliste italiane bocciano il Ponte sullo Stretto: Utilità dell’opera mai dimostrata

Le associazioni ambientaliste italiane sono pubblicamente contrarie al progetto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina parlando nell’audizione alla commissione Ambiente della Camera sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 35 del 2023 dove si stabilisce la costruzione dell’infrastruttura.

Walter Fratto di Italia Nostra dice «A opera finita dovremmo attraversarlo in 15 minuti», ma «sbarcati in Calabria ci si troverebbe di fronte a una realtà amara, sia su gomma che su rotaie», tra binario unico e imbuti trasportistici.

La regione, sottolinea l’esponente di Italia Nostra, sconta un forte «ritardo nell’adeguamento infrastrutturale», sintomo di «abbandono dello Stato». Calabria e Sicilia «sono considerate solo come svincolo autostradale per merci e passeggeri». Per l’associazione sarebbe più urgente «mettere al passo le regioni con le altre d’Italia. Ci accontenteremmo di autostrade e ferrovie moderne sulla tirrenica e sulla ionica».

Stefano Lenzi del Wwf dichiara «Il ponte è un’opera dagli elevatissimi e insostenibili costi ambientali», che «non regge da un punto di vista economico-finanziario». «Tutta l’area dello Stretto di Messina è compresa in zone protette», tutelate dalla Direttiva comunitaria Habitat. Questa circostanza «fu una delle cause della minacciata procedura di infrazione nel 2005 del progetto preliminare del 2003».

Francesco Ferrante di Kyoto Club afferma «Non riusciamo a capire il senso del ponte dal punto di vista trasportistico, non è una priorità del Paese e la troviamo un’opera dannosa e inutile». Per l’organizzazione non profit, prosegue Ferrante «molto più logico investire su nuove tecnologie che consentano una riduzione dei tempi di percorrenza dello Stretto, che già oggi 20-30 minuti.

Il ponte consentirebbe un risparmio assai limitato sul tempo». Inoltre, «quando si dice che l’investimento sarebbe di privati non è esattamente così»: si tratterebbe di «soldi pubblici dei contribuenti che noi preferiremmo venissero spesi in opere più utili alla transizione in cui siamo immersi e che andrebbe affrontata nella maniera più responsabile possibile».

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