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Verso la svolta della fusione nucleare: il mondo attende l’annuncio dagli Usa

Dopo i rumours di ieri che vedono vicina la produzione di energia illimitata e senza scorie radioattive, la comunità scientifica aspetta la conferma ufficiale della sperimentazione

Il 2022 si chiude con la notizia dell’anno e, forse, del decennio: è stata realizzata per la prima volta nella storia la fusione nucleare che permetterà di generare più energia necessaria rispetto a quella usata per innescarla. 

Stando al Washington Post si tratta di una pietra miliare nella decennale e costosa ricerca per sviluppare una tecnologia che fornisca energia illimitata e niente scorie radioattive, con molte meno risorse di quelle necessarie per sfruttare l’energia solare ed eolica.

L’annuncio ufficiale è atteso per oggi mentre il mondo della comunità scientifica attende i risultati ufficiali dello studio effettuato dalla National Ignition Facility, una installazione di ricerca ospitata nei Lawrence Livermore National Laboratory, in California, e che studia la fusione a confinamento inerziale utilizzando i laser. 

 Fusione vs Fissione 

L’attesissimo annuncio da parte dell’amministrazione Biden non solo aprirà la strada verso una “energia pulita e illimitata” ma potrebbe mettere fine all’antica diatriba dell’uso del nucleare tramite fusione o fissione. 

In estrema sintesi, la fusione nucleare punta ad ottenere una produzione di energia che imita le reazioni che avvengono nel cuore delle stelle. Ed è per questo considerata più ecologica rispetto alla fissione nucleare perché genera quantità minori di radiazioni e scorie più facili da gestire.

La scienza della fusione nucleare si basa sullo schiacciare due atomi insieme a velocità incredibilmente elevate per poi trasformare l’energia di quella reazione in una elettricità in grado di alimentare case e uffici senza emettere carbonio nell’aria o scaricare rifiuti radioattivi nell’ambiente. Una scoperta che potrebbe mandare in cantina le centrali a fissione che producono scorie radioattive altamente pericolose e da tenere sotto controllo.

Da un lato i giganteschi reattori dalla caratteristica forma che ricorda una ciambella, dall’altro le strutture più agili che utilizzano dei potenti fasci laser: sono le due strade che da decenni stanno procedendo di pari passo per riuscire a produrre energia imitando il processo che avviene nel cuore delle stelle. 

Come funziona la fusione a confinamento inerziale 

La spiegazione arriva dal professor Atzeni, docente dell’Università di Roma La Sapienza, esperto di fusione nucleare: “Sfrutta potenti laser che fanno convergere più fasci simultaneamente su piccolo bersaglio, riscaldandolo e comprimendolo, fino a ottenere la reazione di fusione”. È molto diversa dalla fusione a confinamento inerziale, nella quale grandi magneti superconduttori controllano il plasma all’interno di strutture toroidali. 

Il risultato americano “è stato ottenuto la settimana scorsa e ha generato circa 25 megajoule di energia utilizzando un impulso laser di poco più di 20 megajoule. Dal punto di vista della fisica è un risultato importante perché – osserva – per la prima volta è stata ottenuta più energia di quella spesa per ottenere la reazione”. 

Inoltre si tratta di una tecnologia meno complessa rispetto a quella dei grandi reattori a confinamento magnetico: “L’apparato sperimentale è un recipiente sferico dal diametro di circa dieci metri nel quale sono convogliati i fasci laser che punto al centro, dove si trova il bersaglio”, ossia “una microsfera da circa un millimetro di diametro con un guscio al cui interno si trovano deuterio e trizio alla temperatura di meno 250 gradi”. Quando i laser bombardano la sferetta, il guscio viene distrutto e genera il plasma che, comprimendo i due elementi innesca la reazione di fusione, mentre la temperatura sale a oltre 60milioni di gradi. 

“L’interesse della tecnologia laser per la fusione è nato non molto tempo dopo l’invenzione del laser, che risale al 1960. Le possibili applicazioni alla fusione sono state studiate teoricamente e poi indagate con strumenti modesti. Alcuni Paesi, come Stati Uniti, Francia e Cina hanno proseguito lungo questa strada; altri, come Unione Europea, Italia e Germania hanno seguito la via del confinamento magnetico”, dice ancora Atzeni che ricorda: “La decisione di Unione Europea e Italia risale alla metà degli anni ’70, tuttavia – prosegue – la scuola italiana di fisica ha dato contributi importanti. A metà degli anni ’90, per esempio, alcuni fisici italiani, come Carlo Rubbia e Nicola Cabibbo, avevano esercitato pressioni perché in Italia e Europa ci si occupasse di più di fusione con il laser”.      

Certamente, rileva, “è economicamente difficile produrre energia da fusione” e la strada è ancora lunga sia per il confinamento magnetico sia per quello inerziale. Per quest’ultimo, per esempio, bisogna ancora lavorare sulla quantità di energia rilasciata da ciascun fascio laser, sul rendimento e sulla frequenza”.

Ogni Paese ha fatto la sua scelta e, forse, l’UE forse sconterà la propria  

C’è chi, come l’Unione Europea, ha puntato sui reattori a confinamento magnetico come Iter, frutto di un vasto progetto internazionale e di investimenti altrettanto importanti e in fase di costruzione nel Sud della Francia. 

Gli Stati Uniti hanno invece puntato sulla tecnologia del confinamento inerziale che utilizza i laser, con la struttura National Ignition Facility presso il Lawrence Livermore National Laboratory, la stessa che ha ottenuto il risultato che il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si prepara ad annunciare oggi. 

Il risultato sulla fusione nucleare ottenuto dagli Stati Uniti è arrivato seguendo una via diversa da quella privilegiata dall’Europa, sostenuta negli anni ’90 da alcuni fisici italiani ma con scarso successo.

Nel febbraio scorso il confinamento magnetico ha segnato un punto a suo favore con Jet (Joint European Torus), il pioniere dei reattori sperimentali che ha generato energia pari a 59milioni di joule (l’equivalente di 11 megawatt) per 5 secondi: un risultato straordinario, considerando che fino a quel momento la produzione di energia da fusione nucleare era durata appena poche frazioni di secondo. La macchina aveva ottenuto il primo risultato importante 25 anni fa e nel tempo è stata modificata fino a renderla una versione in miniatura di Iter. 

Nell’Unione Europea è il consorzio EuroFusion a indirizzare la ricerca sulla fusione, con una preponderanza di progetti relativi al confinamento magnetico, come Iter e Demo (Demonstration FusionPower Reactor), la prima centrale a fusione che potrebbe esser e realizzata in 30 anni; ci sono anche progetti sul confinamento inerziale, il cui finanziamento complessivo non arriva però al milione di euro. Sono molti anche i Paesi che, pur privilegiando una delle due tecnologie, hanno scelto di lasciare uno spiraglio aperto all’altra, osserva Fabrizio Consoli, responsabile del laser perla fusione Abc dell’Enea. “Accade, per esempio, in Francia: nel Paese che ospita il reattore Iter esiste anche un grandissimo impianto chiamato Laser Mega Joule, impianti simili si trovano in Giappone, Cina e in Russia, ma – aggiunge – si contano sulla punta dele dita”.   

Anche l’Italia ha fatto le sue scelte sulla fusione nucleare, per esempio ospitando il grande polo scientifico e tecnologico per la ricerca sulla fusione nucleare Dtt (Divertor TokamakTest), da 500 milioni di euro, la cui realizzazione è prevista presso il centro di ricerca dell’Enea a Frascati. È ancora l’Enea, però, ad avere avuto un ruolo pionieristico nella ricerca sui laser per la fusione nucleare, dando vita negli anni ’80 alla realizzazione dell’impianto Abc, ancora attivo.

Ma è anche vero che, alla luce della scoperta, il nostro Paese assieme a tutta la comunità europea, sconta una scelta forse miope avvenuta anni fa. Secondo il professor Atzeni: “Certo è che questo annuncio rappresenta uno smacco per le scelte fatte dall’Unione Europea che invece ha deciso di puntare sul confinamento magnetico. Ricordo di aver partecipato a meeting dello European science and technology assembly (costituita dal Parlamento Europeo) a Bruxelles e ad Oxford in cui fisici di primo livello come Carlo Rubbia e Nicola Cabibbo oltre a colleghi internazionali avevano raccomandato di sostenere questo percorso alternativo alla fusione nucleare che, però, è rimasto lettera morta”.