L’Italia dopo le dimissioni di Mario Draghi sta rischiando di compromettere gli obiettivi del Pnrr, sui 45 obiettivi previsti nel mese di giugno e sui prossimi 55 da raggiungere entro fine 2022.
Ci sarà un confronto tra la Ue e la macchina legislativa e amministrativa italiana, ai partiti servirà tempo per mettere a fuoco gli enormi rischi che stiamo correndo, ci sono in ballo 46 miliardi della prossima tranche.
C’è la possibilità di fallire gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza del prossimo dicembre e di perdere non solo i 46 miliardi in ballo da qui a fine anno (24,2 miliardi della rata legata agli obiettivi del 30 giugno e 21,8 miliardi della rata legata agli obiettivi del 31 dicembre 2022) ma l’intero Piano da 191,6 miliardi.
Il governo è dimissionario perciò diventa impossibile approvare nei tempi previsti alcune riforme in Parlamento, prima fra tutte quella sulla concorrenza. A fine legislatura i disegni di legge non approvati decadono e con la nuova legislatura, che diventerà operativa non prima di metà novembre, si ricomincia tutto da capo. Ci sarà da fare anche la legge di bilancio. La possibilità di raggiungere tutti gli obiettivi di fine anno del Pnrr sono irraggiungibili.
Bruxelles ha già fatto sapere che proprio sulle riforme fondamentali della concorrenza e della giustizia sarà intransigente. Riforma della giustizia in tre riforme su processo penale, processo civile e contenzioso tributario. Sui primi due il passaggio parlamentare c’è già stato, ma bisogna approvare i decreti attuativi della delega. Come, per altro, è fissato anche per la concorrenza (dopo che sarà stata approvata la legge).
La prima partita con Bruxelles riguarda la tranche di 24.2 milioni legata al raggiungimento degli obiettivi del 30 giugno. Il governo ha trasmesso alla commissione Ue nei tempi previsti tutti i dossier dei 45 obiettivi previsti ed è convinto che sia tutto in regola.
Per la partita di dicembre, oltre alle riforme principali su cui Bruxelles ha gli occhi puntati, si tratta di portare a casa 55 obiettivi, legati in gran parte all’approvazione di deleghe legislative o atti amministrativi complessi, è quindi impensabile che con un governo dimissionario i ministeri lavorino a pieno regime. Prima che i ministeri possano tornare a pieno regime passeranno mesi. Come accoglierà la Ue questo inevitabile rallentamento italiano?