(Come riportato in una nota di Andrea Greco – La Repubblica)
Intervista al premio Nobel: “I limiti imposti dal Patto di Stabilità non hanno senso. Importa solo che l’Ue cresca, anche usando la spesa pubblica come sta facendo”.
Joseph Stiglitz, tra i massimi economisti Usa e premio Nobel, dà ragione a chi, come il commissario Paolo Gentiloni e il ministro francese Bruno Le Maire, ritiene che il patto di stabilità europeo vada cambiato, perché privo di basi tecniche e troppo angusto rispetto alla fase che il mondo attraversa.
«Quei parametri, intendo i rapporti del 3% di deficit sul Pil e del 60% di debito sul Pil, credo siano stati un grave errore per Europa. Molti economisti l’avevano capito 10 anni fa, quando individuarono la ‘golden rule’, che esclude dal deficit gli investimenti.
Dal punto di vista economico, il Patto di Maastricht è sempre stato senza fondamento: sono numeri sbucati dal nulla; non è che se un Paese supera quelle soglie accade qualcosa. Per gli economisti la questione è più come spendi il denaro, e come gestisci il tuo livello di debito. Se, come l’Europa sembra voler fare, lo spendi investendo nella transizione verde, la tua produttività aumenterà, e potresti evitare il disastro che accadrebbe se non li spendessi. Per questo penso che dire addio ai vincoli di Maastricht sarebbe opportuno».
Non c’è pericolo che i mercati rispondano con nuovi allargamenti degli spread, e che l’Italia traballi?
«Penso che in questa ipotesi la Bce, che sta comprando titoli di Stato per miliardi, saprebbe gestire facilmente la turbolenza. Il fatto è che i mercati tendono a preoccuparsi più dei prezzi dei bond, che non del benessere della gente. Economisti e politici devono invece trovare l’equilibrio nei due fattori. Per questo ora è così importante avere una forte crescita economica, che consenta più flessibilità su Maastricht: e se cresce il Pil al denominatore, nel tempo finirà per ridurre i livelli di deficit e debito a esso parametrati. Oggi in Europa i rischi del “non spendere” mi sembrano molto più alti che non quelli di un grande e virtuoso piano di spesa».
Non teme nuove critiche dal Nord Europa, dove la visione di un’Italia lassista è diffusa?
«Intanto lasciamo passare le elezioni politiche in Germania! Battute a parte, lasciarsi alle spalle Maastricht non significa assenza di regole, né che i Paesi non debbano gestire il deficit e il debito. Solo devono farlo in una prospettiva diversa, curando la sostenibilità di lungo termine. Oggi ci sono condizioni molto favorevoli per emettere titoli a 30 anni con tassi all’1% e usarli per i buoni investimenti, spostando in avanti le scadenze anche come forma di copertura per le nuove generazioni. Il patto di stabilità ha poi altri due aspetti semplicistici e fuorvianti».
Quali?
«Intanto si basa sul debito lordo, che comprende quello in capo agli Stati, mentre il focus dovrebbe essere sul debito netto. In Giappone, per esempio, il debito è al 220% del Pil, ma la banca centrale locale ne detiene una larga fetta. Se per ipotesi il governo di Tokyo decidesse uno stralcio del debito, non ci sarebbero grandi effetti: come passare soldi da una tasca all’altra. Il secondo aspetto distorsivo riguarda la moneta. Paesi come Usa e Giappone non falliranno mai, perché il loro debito è emesso in una valuta che possono decidere di stampare. L’Europa è complicata, ha la valuta unica ma il debito su base nazionale. E anche in questo senso il Next Generation Eu, come ‘debito europeo’, è un grande passo nella giusta direzione. Concordo con quanto ha detto Bruno Le Maire nel Forum, l’Europa oggi sembra avere imparato la lezione di ciò che non ha saputo fare 10 anni fa».
Come rientrerà l’Europa da un debito mediamente al 100% del Pil?
«Intanto si deve guardare il debito netto, molto più basso. Gli Usa, nel Dopoguerra, avevano il 135% di debito netto sul Pil, senza aver potuto scegliere se e come spendere quei soldi. Ma negli anni successivi i governi, tra l’altro repubblicani, fecero molti programmi di spesa, e l’economia crebbe abbastanza per riportare il debito al 45% del Pil. Ricorda un po’ l’agenda dell’Europa oggi: usare il Recovery Plan per ampliare il denominatore del Pil».
L’ottimismo che si respira, specie in Italia, è per lei giustificato?
«C’è in effetti molto ottimismo, legato alla presenza di persone competenti nel governo italiano, e ai 222 miliardi di fondi Ue in arrivo, che dovrebbero davvero stimolare un forte recupero».
E se poi dopo Draghi tornasse un governo politico pasticcione?
«Spero che le buone pratiche del governo possano segnare la strada da seguire. Negli Usa abbiamo eletto Donald Trump, un distruttore della democrazia. Ma in democrazia devi pensare che alla fine la gente possa fare la cosa giusta, tra momenti brutti e momenti belli: e ora che ce n’è uno bello si deve raddrizzare l’economia».