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Intervista a Carlo Ratti. Fondatore dello studio CRA, a Torino e New York, dirige il Senseable City Lab al MIT di Boston

(come riportato su Le Strade dell’Informazione)

“Credo molto nell’utilizzo dei dati per rendere più efficiente l’uso delle infrastrutture esistenti”

Quale è la sua definizione di mobilità sostenibile? 

Comincerei con il distinguere tra sostenibilità ambientale e sociale. Per quanto riguarda la prima, credo molto nell’utilizzo dei dati per rendere più efficiente l’uso delle infrastrutture esistenti. Si tratta di un fenomeno di portata più ampia: oggi Internet sta entrando nello spazio fisico e si sta trasformando nel cosiddetto “Internet of Things”, l’Internet delle cose – introducendo nuovi modi di interpretare, progettare e vivere la città. Molti sintetizzano questo fenomeno con la formula “smart city”, anche se io preferisco parlare di “senseable city” con un duplice significato di città intelligente e capace di sentire. Per quanto riguarda la sostenibilità sociale, credo che sia fondamentale fare in modo che le opportunità di spostamento siano distribuite equamente nelle nostre città.

Dal suo osservatorio privilegiato del MIT di Boston, ci può descrivere le differenze fra lo sviluppo della mobilità sostenibile negli Stati Uniti e in Italia?  

In Italia – e in Europa in generale – l’innovazione in questo campo è spesso guidata da soggetti pubblici. In USA è l’inverso: il mondo delle start-up e del venture capital stanno contribuendo in maniera significativa alla definizione di nuovi modelli di mobilità sostenibile. Si tratta di qualcosa che stiamo vivendo anche in prima persona: la nostra prima start-up negli Stati Uniti – Superpedestrian – è ora un leader mondiale nel campo della micro-mobilità. Usiamo algoritmi innovativi di Intelligenza Artificiale per rendere più sicure e gestire meglio le flotte di monopattini, che sono presenti in molte città del mondo, tra cui Torino, Roma e Palermo in Italia, con il brand LINK.

Come può la tecnologia rendere più sostenibili la gestione e la manutenzione delle infrastrutture viarie? 

Credo che i dati siano fondamentali. Ci permettono non solo di monitorare la congestione sulle nostre strade, ma anche lo stato di salute delle infrastrutture. Carlo Ratti Associati, insieme ad ANAS, ha sviluppato uno “smart pole” – palo di rilevamento intelligente, sul quale è posizionato un drone a controllo remoto. Il sistema – che potremmo chiamare Internet of Roads – permette non solo di monitorare costantemente lo stato dell’infrastruttura viaria ma anche di inviare informazioni in tempo reale sia ai conducenti delle automobili odierne, sia un domani ai veicoli a guida autonoma. Le prime unità sono oggi in corso di prototipazione a Cortina d’Ampezzo.

Un altro esempio è il progetto Good Vibrations, sviluppato dal MIT Senseable City Lab sempre insieme ad ANAS. Si tratta di usare le vibrazioni registrate dai nostri smartphone (ormai tutti dotati di accelerometri e giroscopi) per riuscire a caratterizzare le vibrazioni di ponti e viadotti, e di conseguenza la loro “salute strutturale”. Un modo semplice insomma in cui usare dati condivisi per rendere più sicure le nostre infrastrutture. 

Il 2030 è il termine ultimo per mettere a sistema le nuove strategie per la mobilità. Riusciremo a centrare tutti gli obiettivi prefissati entro tale data? 

Il mondo della mobilità è oggi in grande fermento e offre enormi possibilità di cambiamento dati, micro-mobilità, elettrificazione, automazione, ecc. Sta a noi riuscire a cogliere queste opportunità.

La pandemia ha imposto nuovi stili di vita e di lavoro. Lo smart working ha ridefinito la mobilità all’interno dei centri urbani attenuando la pressione del traffico e delle emissioni. Secondo Lei questi cambiamenti rimarranno anche al termine dell’emergenza epidemiologica o si ritornerà ai modelli di vita precedenti? 

Credo che torneremo nei nostri uffici, almeno per una parte della settimana. Lavorare solo in remoto rischia di minare le nostre reti sociali. Esse sono composte infatti da due tipi di relazioni: “legami deboli” tra conoscenti casuali e “legami forti” tra familiari o amici i quali loro volta sono tra loro amici. Sebbene i legami forti siano importanti per il nostro benessere personale, i legami deboli ci espongono a un più ampio ventaglio di persone e di idee, aiutandoci a mettere in discussione i nostri preconcetti e stimolando la nostra creatività. Purtroppo, sulla base delle nostre ricerche al MIT, i legami deboli sembrano essere indeboliti dal mero lavoro in remoto.

Da questo punto di vista credo quindi che il pendolarismo aumenterà alla fine della pandemia. Tuttavia, la flessibilità lavorativa che abbiamo imparato ad apprezzare nei mesi del COVID-19 ci presenta un’opportunità unica: riprogrammare le nostre agende personali, evitando al contempo il sovraccarico delle infrastrutture cittadine. Negli ultimi mesi, molti di noi hanno iniziato a spostarsi in modo scaglionato, andando in ufficio in giorni e momenti alterni – una pratica che ci permette di distribuire meglio i flussi di traffico.

La speranza è quella che, anche dopo la fine della pandemia, ciascuno di noi possa mantenere questa flessibilità. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se, nel nostro gruppo di lavoro, un collega iniziasse la giornata via Zoom, arrivando in ufficio soltanto a mezzogiorno, mentre un altro, presente alla scrivania già dalle 9 del mattino, si mettesse sulla via di casa nel primo pomeriggio, continuando poi a lavorare in remoto. L’ora di punta di fantozziana memoria scomparirebbe. 

La mortalità da Covid – 19 è stata più alta nelle aree con un maggior inquinamento o comunque sottoposte ad uno stress notevole in termini di traffico. Secondo lei una mobilità più sostenibile può contribuire a ridurre il rischio di pandemie nel futuro? 

Vero, come dimostrano le ricerche della mia collega di Harvard Francesca Dominici, la mortalità dovuta al Covid-19 è massima negli ambienti urbani inquinati. Una mobilità più sostenibile vuol dire quindi non ridurre il rischio di pandemie future, ma poterle gestire con maggior resilienza.

Digitalizzazione e condivisione dei dati per ridurre le inefficienze della mobilità tradizionale. Il futuro secondo Lei ci porta a percorrere smart road con auto driverless? 

Smart road e auto senza guidatore saranno tasselli importanti. Ma non dimentichiamo la mobilità attiva o la micro-mobilita’, il tutto tenuto insieme dai dati in tempo reale. Per questo mi piace pensare in futuro ad un possibile “moving web”, ossia uno scenario in cui grazie a piattaforme digitali i cittadini possano accedere a diverse opzioni di trasporto. Immaginiamo una sola app in grado di tracciare tutte le opzioni per la mobilità che consenta ad una persona di prenotare quella più ottimale: a seconda delle esigenze potrebbe prendere un Uber, o salire in tempo su una gondola e proseguire con uno scooter fino a destinazione.