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Dal digitale alle infrastrutture, trasformazione post covid: la sfida dell’economia italiana

(come riportato da Luisa Grion su La Repubblica)

Un quadro sulle prospettive dei settori lo fornisce anche il rapporto Sace sulle esportazioni, che vede criticità soprattutto nei settori dei beni intermedi (metallo, gomma, plastica) e di consumo: l’export della moda, per esempio, riprenderà lentamente solo 2021.

I più ottimisti sperano in una ripresa a “V”, rapida risalita dopo una discesa ardita, molti temono invece una ripresa a “K”, veloce per alcuni settori e classi sociali ma più lenta e incerta per tutti gli altri. Comunque sia, sul fatto che l’Italia dopo i bui mesi del lockdown stia reagendo alla profonda crisi da Covit – sperando che il peggio sia passato – sono tutti d’accordo.

La ripartenza è iniziata: lo dicono le previsioni sul Pil e sull’ export e qualche timido segnale dal mondo del lavoro. C’è una partita da giocare, storiche carenze da recuperare (dal digitale alle infrastrutture) e riforme ormai non più rinviabili (a partire da quella del fisco). Ma ci sono anche le risorse necessarie a dare lo scossone e il clima è da “ora o mai più”.  La pandemia ha sconvolto il sistema produttivo, ma nei prossimi mesi arriveranno poderose iniezioni di denaro dall’Europa e bisognerà decidere come usarle e come giocare la carta di quella che sembra un’opportunità irripetibile.

Dopo il crollo verticale di marzo e aprile, a maggio è arrivato l’inevitabile rimbalzo: la produzione industriale, ha fatto notare l’Istat, ha iniziato a dare netti segnali di risveglio. A luglio si è aggiunta la ripresa delle esportazioni, della manifattura e l’aumento delle ore lavorate.  Poche cose rispetto al crollo senza precedenti registrato dal Pil nella fase centrale del lockdown (-12,8% nel secondo trimestre 2020 rispetto al primo), ma quanto basta per spingere il ministro dell’Economia a certificare la ripartenza. Roberto Gualtieri prevedendo che gli effetti della spinta continueranno nei prossimi mesi, considera che il 2020 possa chiudersi con un Pil in recupero, vicino al -8%. E assicura che da lì si potrà ripartire per inseguire il rilancio del Paese grazie alle riforme e ai piani finanziati con il Recovery Fund europeo.

A confortare gli “ottimisti” c’è stato l’aumento delle entrate fiscali di agosto (+9% rispetto all’anno prima), e il fatto che l’industria italiana – pur con le differenze  settoriali – ha dimostrato una sorprendente capacità di adattamento: a maggio il balzo della produzione industriale sul mese precedente è stato del 41,6%, un risultato “eccezionale”  (l’Istat avverte che il picco va letto assieme alla caduta verticale dei mesi precedenti), ma confermato anche a giugno e luglio (+7,4% sul mese precedente, mentre rispetto allo stesso mese del 2019 si resta in area negativa  a -8%.)  

Più lenta e difficile la risalita nei consumi: rispetto al 2019, specifica Confcommercio, restano inchiodati al -8,7%, ma a fronte di una drammatica situazione dei servizi (-23,3%) c’è il ritorno alla quasi normalità nella vendita de beni (0,5%). Segnali dal mondo del lavoro: la crisi da Covid ha falciato in Italia 500 mila posti e la disoccupazione giovanile è tornata oltre la soglia del 30 %, ma a luglio, dati Istat, c’è stato un salto attivo di 85 mila occupati. Molte donne, molti precari, quasi tutti over 35: difficile capire se siamo davanti all’uscita dal tunnel.

Un insieme di indizi che seppur fragile ha in parte convinto anche l’Ocse: l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, credendo al recupero, ha infatti “migliorato” le stime sulla contrazione

del Pil in Italia, passando dal -11,3 % di giugno all’attuale -10,5%.

All’interno di una ripartenza che Confindustria definisce “tormentata”, ci sono settori che più degli altri stentano a riprendersi: il turismo con la crisi ha perso 100 miliardi e si stima che per tornare ai risultati pre-Covid ci vorranno almeno tre anni. Confcommercio, che pur attende un rimbalzo del Pil nel terzo trimestre del 10%, è convinta che il passo avanti “non salverà molte imprese del terziario dalla chiusura” e sottolinea come, ad agosto, la situazione sia rimasta drammatica nei servizi ricreativi (-61,6%), negli alberghi (-35%) e pubblici esercizi (-26%).

Un quadro sulle prospettive dei settori lo fornisce anche il rapporto Sace sulle esportazioni, che vede criticità soprattutto nei settori dei beni intermedi (metallo, gomma, plastica) e di consumo: l’export della moda, per esempio, riprenderà lentamente solo 2021; un po’ meglio stanno andando i mobili e l’arredo trascinati, in Italia come all’estero, dall’effetto smartworking. Resteranno in ombra, almeno per tutto il 2020, anche i mezzi di trasporto (soprattutto il segmento automotive, in difficoltà già dallo scorso anno, ma con qualche spiraglio positivo per i veicoli più green), la meccanica strumentale e gli apparecchi elettrici, per via dei ritardi e delle cautele nelle scelte di famiglie e imprese in un contesto che resta molto incerto. L’export agricolo e alimentare ha invece meglio retto il colpo: la produzione non ha subito drastici arresti durante il lockdown e la domanda di alimenti e bevande realizzata nei canali della distribuzione, organizzata e non , è rimasta sostenuta.

Gli 85 mila occupati in più certificati dall’Istat non sono la rondine che fa primavera. La ripartenza chiede reddito e occupazione e su questi fronti il passo avanti non c’è stato. Pesa il nodo contratti: in Italia ci sono 10 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo (sanità privata in primis, ferma da 12 anni).  Il blocco dei licenziamenti, che scade a metà novembre ed è stato uno dei maggiori punti di scontro fra Confindustria e governo, e la cassa integrazione Covid hanno finora contenuto l’impatto della crisi sull’occupazione, ma la pandemia ha fatto strage di posti nella gig-economy riportando la disoccupazione giovanile oltre il 30 %. Al ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal risulta che tra aprile e giugno sono spariti un milione di rapporti di lavoro a termine rispetto all’anno prima.  

Il decreto agosto ha affrontato l’emergenza, per quanto riguarda il Sud, con sgravi contributivi sul costo del lavoro del 30% finanziati fino alla fine dell’anno, ma il governo punta a riconfermarli per altri nove anni utilizzando i fondi europei.  Il cantiere della legge di Bilancio già prevede un taglio delle tasse sul lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale) e l’assegno unico per le famiglie, che rivoluziona tutto il sistema a sostegno dei nuclei familiari.

La vera partita per definire la ripresa si gioca però sul Recovery Fund, ovvero sul pacchetto di aiuti per stimolare l’economia varato dal Consiglio europeo: 750 miliardi in tutto di cui 209 destinati all’Italia. Fondi accessibili se destinati “aumentare il potenziale economico, creare occupazione e rafforzare la resilienza” puntando sul verde, sul digitale e sulla realizzazione delle riforme che la Ue ha raccomandato ai singoli Paesi (per l’Italia in primis fisco, giustizia, pubblica amministrazione e contrasto al lavoro sommerso) precisa Bruxelles nelle sue linee guida. I piani nazionali per accedere ai fondi europei potranno essere pre-negoziati a partire dal 15 ottobre per poi essere formalmente presentati dal primo gennaio al 30 aprile 2021 per l’approvazione finale della Ue. E’ una partita importantissima per l’Italia che nel biennio 2021-2022 potrà incassare 44 miliardi a fondo perduto. Altri 20 miliardi arriveranno nel 2023, i restanti fondi in prestiti da rimborsare  saranno attivati con l’approvazione dei progetti nazionali.

Bruxelles chiede di massimizzare la spinta all’economia mettendo sul tavolo pochi importanti progetti, ma sul tavolo del Tesoro e di Palazzo Chigi sono già arrivate 500 proposte: c’è il piano scuola, l’alta velocità, la digitalizzazione spinte, ma anche un anche una miriade di richieste che, se realizzate, gonfierebbero la spesa oltre i 700 miliardi. La ripartenza è strettamente legata a quei piani e a quelle scelte.

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