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Anche l’auto più verde inquina, e tanto. Finché non si troverà un’alternativa… alla ruota

(come riportato da Federico Del Prete su Business Insider Italia)

Il particolato nocivo proveniente dall’usura di pneumatici è maggiore di quello prodotto dai gas di scarico delle auto.

L’età contemporanea – sarebbe ormai meglio dire: l’eterno presente – tende sempre più a confondere certezze e opinioni ereditate dal passato, grazie al magma di informazioni nel quale siamo immersi ogni giorno. Del resto, qualsiasi convinzione può essere messa in discussione, se vista alla luce di nuove consapevolezze: e non si può certo dire che la scienza non faccia incredibili progressi, giorno dopo giorno.

Prendiamo una delle invenzioni più rivoluzionarie della storia dell’umanità: la ruota. Gira ormai da oltre quattromila anni, ed è il simbolo del dominio dell’uomo sul tempo e sullo spazio. Ha dato uno straordinario impulso all’economia, favorendo la diffusione del commercio e le esplorazioni, perfino quelle condotte oltre i confini terrestri.

Può una tale benefica innovazione avere effetti negativi? Alla luce dell’attuale emergenza ambientale, sì.

 Quando un temporale finisce di abbattersi sulle coste californiane della Bay Area, può capitare di vedere strani individui con serbatoi e contenitori immergere lunghe sonde nei canali di deflusso verso l’oceano dell’acqua piovana riversatasi sul territorio. Sono i ricercatori del SFEI (San Francisco Estuary Institute) che accumulano dati sulle possibili cause di una inquietante e massiccia moria di salmoni argentati rilevata in tutta la costa pacifica di Nord-Ovest.

Analizzando l’acqua piovana durante il deflusso nella baia, l’equipe del SFEI ha rilevato la presenza di Chinone 6PPD, una sostanza tossica molto probabilmente responsabile della morte della gran parte dei salmoni argentati della costa, il 90% della popolazione di questa specie soltanto nello Stretto di Puget, il braccio di mare di fronte a Seattle, nel confinante stato di Washington.

La notizia non è questa: da decenni, se non da secoli, l’uomo sversa in mare le peggiori tracce di sé stesso, facendo perdere valore a interi settori dell’economia. La California è lo stato con il maggior reddito da pesca USA, con oltre $ 20 miliardi di vendite e oltre 100.000 addetti. Il salmone argentato, ora seriamente minacciato, pesava oltre 10.000 t /anno nel conto del pescato della costa pacifica. Anche per la siccità dovuta al riscaldamento globale, la pesca del salmone più in generale fa registrare un sensibile calo. Per ciò che riguarda il valore del salmone commerciale, si è passati dai $244 Mln. del 2013 a poco più di $ 88 Mln. nel 2015.

La vera notizia è il “veicolo” che ha portato il Chinone 6PPD fin nelle acque abitate dai salmoni. Quando un temporale lava le strade, le acque vicino alla costa si riempiono di sostanze chimiche. I salmoni, che com’è noto si avvicinano alla costa per risalire i torrenti e deporre le uova, sono morti in massa. I salmoni argentati sono grandi e colorati, ed è facile accorgersi quando stanno agonizzando. Per ciò che riguarda altre specie, come il salmone chinook e la trota iridea, no.

In un suo studio, lo SFEI aveva rilevato che almeno la metà dei 7,2 trilioni di microplastiche che ogni anno si riversano in quella parte dell’oceano provengono dall’usura degli pneumatici e dell’asfalto. Nelle analisi seguite alla moria dei salmoni, una tecnica di osservazione mediante microscopio elettronico ha permesso di riconoscere una “scioccante” quantità di elementi a forma di sigaro di circa un decimo di millimetro di spessore, di cui è stata accertata l’origine: frammenti microscopici di pneumatici dei veicoli, misti ad asfalto.

Il Chinone 6PPD è un antiossidante, inserito nella mescola degli pneumatici per evitare il precoce decadimento delle prestazioni degli pneumatici, dovuto all’ozono. I frammenti di copertone sono più densi dell’acqua, e nel corso delle forti piogge che spazzano le strade si depositano sui fondali sotto-costa, dove arrivano nello stomaco delle specie animali come salmoni e ostriche. Un tempo gli pneumatici erano fatti per la maggior parte di gomma naturale, gradualmente sostituita da polimeri plastici, fino al 60% del totale. Le sostanze chimiche contenute nei frammenti, come il Chinone 6PPD, si disperdono nell’acqua, arrivando così negli organismi marini.

Lo studio dei frammenti di pneumatici nelle acque reflue è cosa relativamente recente, e non esiste quindi ancora un protocollo di verifica stabilito, né per il loro riconoscimento, né per la loro definizione, o misurazione. Nonostante il progresso tecnologico fatto dagli pneumatici, qualcosa non è mai fatalmente cambiato: i copertoni sono progettati e costruiti secondo il principio della loro usura. La tenuta di strada, l’accelerazione, la frenata di un veicolo dipendono esattamente dal fatto che un certo numero di frammenti di battistrada sia costantemente perso per la via. Funzionano soltanto così.

Uno studio olandese del 2017 diffuso dal The National Center for Biotechnology statunitense ha stabilito che l’usura degli pneumatici contribuisce in modo significativo al totale delle microplastiche che disperdiamo nell’ambiente, fino al 10% di quelle che finiscono poi negli oceani. Ciascuno di noi lascia letteralmente per strada da poco più di due etti a quasi cinque chili di rifiuti gommosi l’anno (0.23 – 4.7 kg), per una media globale di 0,81 kg/anno. Lo studio ha accertato la presenza dei frammenti di pneumatico nella catena alimentare umana, concludendo che sono necessarie ulteriori ricerche per accertare rischi per la nostra salute derivanti da questa contaminazione.

Questa sottile forma di inquinamento – dei suoli, delle acque, dell’aria – è ormai una preoccupazione globale. La realtà dei fatti pone grosse ipoteche sul futuro “verde” dell’automobile: il motore potrà essere anche a “zero” emissioni, ma l’automobile del Ventunesimo Secolo non potrà mai esserlo, almeno finché non inizi a… volare.

Secondo una stima del nostro Ministero dell’Ambiente (Mattm 2012) seguita alle prime procedure di infrazione UE per il superamento dei limiti di PM nell’atmosfera, il contributo su base nazionale delle emissioni da abrasione (pneumatici, freni, asfalto) è del 4,6% per il PM10, pari al 28% delle emissioni dei trasporti su strada (cioè di tutti i veicoli); il 3% e 17% per il PM2.5, rispettivamente. Parliamo di primario, cioè quello emesso direttamente in fase di utilizzo dei veicoli; c’è poi il secondario, ovvero quando il primario diventa precursore di altre emissioni inquinanti, e il risollevamento, ovvero quanto del PM già depositato sul manto stradale torna in aria al passaggio di altri veicoli.

Il Mattm precisa che la quantità di frammenti dispersi nell’aria per abrasione “diviene via via percentualmente più rilevante man mano si riduce l’emissione dal tubo di scappamento introducendo nuove tecnologie motoristiche.” Vale a dire che ben presto, con l’affermazione delle automobili elettriche, in genere più pesanti di un’auto a combustione interna, la quota di emissioni legata all’abrasione aumenterà.

Già adesso è notevole: secondo Emission Analyitcs, azienda indipendente per l’analisi delle emissioni veicolari “real-world”, vale a dire effettive, misurate cioè a livello strada e non in laboratorio, le emissioni NEE (Non-exhaust Emissions, che non provengono cioè dal tubo di scarico) sono pari al 60% per il PM2,5 e del 73% per il PM10 sul totale. Un test di Emissions Analytics ha verificato che un’automobile tre volumi media, con pneumatici nuovi e gonfiati alla pressione corretta, perde 5,8 grammi di pneumatico per chilometro.

Lo pneumatico è stato definito un ibrido “mostruoso” dagli specialisti di rifiuti: c’è dentro gomma naturale – la produzione di pneumatici è stata ed è una delle cause storiche di deforestazione globale – gomma sintetica (dal 20% al 60%), zolfo, zinco, silicio, carbonio, acciaio, cadmio, piombo, idrocarburi policiclici aromatici e altro, come ben sanno i salmoni della California.

Per fare un singolo pneumatico di automobile ci vogliono quasi trenta litri di petrolio, per uno da camion più di ottanta. Questa complessità li rende anche difficili da riciclare. Se ne producono circa un miliardo l’anno in tutto il mondo.

Una delle soluzioni adottate, una volta frantumati, è quella di riutilizzarli per ripavimentare le strade: sono notevoli i benefici in quanto a riduzione del rumore e maggiore resistenza della carreggiata, per non parlare dello stimolo all’economia circolare. Tornando ai nostri salmoni, dallo SFEI sorgono però dubbi sul fatto che sia una buona idea utilizzare il cosiddetto “polverino” (pneumatico macinato < 0,8 mm.) per additivare l’asfalto. Le sostanze chimiche e i metalli pesanti contenuti nel polverino potrebbero passare nel ciclo delle acque, tornando così a chi aveva pensato di liberarsene.

Il progresso della scienza porta innovazioni tecnologiche necessarie, ma anche maggiori consapevolezze sul nostro ruolo nella crisi ambientale in atto. Dalla Mesopotamia del V° Millennio a. C. a oggi, la storia della ruota insegna che ogni nostra scelta, perfino la più naturale e legittima, porta con sé effetti raramente stabili nel tempo, in quanto a efficienza.

La ruota, simbolo millenario del dominio dell’uomo sul tempo e sullo spazio e motore di economia, nel mondo contemporaneo rischia di scadere a icona della pericolosa trascuratezza con la quale concepiamo il nostro rapporto con la natura. Quello della sostenibilità di una semplice ruota è un monito a riflettere sulle soluzioni più agevoli, apparentemente positive, che la crescita economica chiede ai suoi stessi beneficiari.