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Route 66, guidare attraverso la storia d’America

(come riportato da A.F. su Le Strade dell’Informazione)

Un viaggio lungo la mitica autostrada racconta una storia di trasporto, cultura, cambiamento e tradizione americana

La Route 66 è una lingua d’asfalto di oltre 3.000 chilometri, un’autostrada immensa. Oggi puoi guidare da Chicago a Los Angeles in meno di un giorno e mezzo se ti fermi solo per rifornimenti e “fast food”, ed è più veloce attraversare il Colorado rispetto al tradizionale percorso attraverso Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico e Arizona.

Tuttavia, nel 1926, quando le strade sterrate e di cemento esistenti furono messe insieme per creare una delle prime autostrade nazionali d’America, ci voleva anche più di una settimana per coprire la distanza. Quelle strade originali furono raddrizzate e ampliate. Nel 1985 la Route 66 fu finalmente migliorata e sostituita dalla I-55 e dalla I-40.

Ma, come Elvis e James Dean, la Mother Road americana si rifiuta di morire. La Route 66 evoca ricordi tinti di rosa, di un’epoca in cui la benzina costava 30 centesimi al gallone e il neon dei motel lampeggiava “Vacancy”. E’ stata immortalata nel romanzo dell’era della depressione “Furore” (The Grapes of Wrath) di John Steinbeck e in numerose canzoni ed opere cinematografiche. L’anno dopo l’uscita del film d’animazione “Cars” nel 2006, il traffico turistico lungo la strada è aumentato del 30%, secondo l’Oklahoma Route 66 Association.

In Canada, esiste una strada equivalente, chiamata Trans-Canada. Il sistema autostradale federale-provinciale è stato costruito contemporaneamente al sistema interstatale statunitense per aiutare a unificare il paese e fornire viaggi più rapidi attraverso il paese. È più una strada commerciale che un’attrazione turistica quella canadese, ed ospita anche motel e ristoranti, con meno neon e meno nostalgia.

Negli ultimi 60 anni, il percorso della Trans-Canada Highway è stato raddrizzato ed ampliato, accorciando la lunghezza dell’autostrada e talvolta lasciando le sezioni originali da una parte o dall’altra (vecchie strade ricoperte da cespugli, che non vanno da nessuna parte).

La Route 66 non è diversa. Su molti tratti, la vecchia autostrada corre lungo la nuova interstatale e viene utilizzata per l’accesso a passi carrai e stradine di campagna.

Alcune città, come Gardiner, Illinois, e Seligman, in Arizona, mostrano i cartelli della 66 o addirittura espongono in qualsiasi stazione di benzina, insegne di ristorante e motel. È un suggerimento che la qualità e il servizio sono esattamente come quelli dei bei vecchi tempi. Ci sono dozzine di musei a gestione privata lungo la strada che soddisfano la curiosità dei turisti, alcuni con preziose auto classiche e altri con solo oggetti di recupero.

Non mancano inoltre innumerevoli portachiavi, magliette e magneti per il frigo da acquistare lungo il tragitto.

Accanto alle luci kitsch, ci sono anche decine di motel e stazioni di rifornimento abbandonati, luoghi che non potevano più essere raggiunti una volta che il percorso originario è stato sostituito dall’autostrada a percorrenza veloce.

Come il Paese stesso, anche la Route 66 ha una storia oscura e divisa. Per gran parte della sua esistenza, gli afro-americani avevano bisogno di consultare il “Negro Motorist Green Book” (Libro verde degli automobilisti neri) prima di viaggiare, per pianificare in anticipo le poche stazioni di servizio e punti di ristoro che avrebbero fornito loro un servizio. Vicino a Lutero, in Oklahoma, c’è una stazione di servizio aperta nel 1915, un tempo gestita da una famiglia discendente da schiavi liberati. È stata chiusa dagli anni ’60 ma è ora nel registro nazionale dei luoghi storici e la famiglia, che ne è ancora proprietaria, spera di rimetterla in piedi come museo.

Esiste un legame tra generazioni ed è la storia dei trasporti e dei movimenti. Una cosa porta ad un’altra e la Route 66 ne è l’esempio. È storia culturale. È la storia dell’America.