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«Recovery fund, inaccettabile balletto di cifre: quanto valgono gli investimenti in infrastrutture?»

(come riportato da Edoardo Bianchi su Enti Locali & Edilizia)

Come detto più volte per far ripartire il Paese servono, anche nei lavori pubblici, regole e risorse certe. Quanto alle risorse stiamo assistendo nelle ultime settimane ad un balletto che non lascia presagire nulla di buono.

Il primo settembre in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio e Politiche della Unione europea di Camera e Senato, il commissario Gentiloni ha fatto chiarezza sulle regole e su i tempi di ingaggio per attivare le risorse del Recovery.

Il 15 settembre in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio e Finanze della Camera il ministro Gualtieri, per la prima volta, ha iniziato a prospettare un possibile diverso utilizzo dei 209 miliardi del Recovery.

Nei giorni successivi ha preso sempre più piede una impostazione secondo la quale mentre le risorse a fondo perduto (82 miliardi di euro) potranno essere utilizzate per gli investimenti, le risorse a prestito (127 miliardi di euro), invece, non dovranno contribuire all’indebitamento della Pa.

In sostanza le risorse provenienti dai “prestiti” verranno utilizzate per sostituire l’attuale debito verso il mercato con un debito verso la Comunità europea perché più conveniente in quanto contratto a tassi di miglior favore. In soldoni, solo gli 82 miliardi attiveranno nuovi progetti mentre i 127 miliardi finanzieranno vecchi progetti (già finanziati); meno della metà delle risorse del Recovery fungerà come nuova spinta alla ripartenza!

L’Ufficio parlamentare di bilancio evidenzia che, considerato che l’Italia è un contributore netto al bilancio Ue, il beneficio effettivo per il nostro Paese dovrebbe aggirarsi intorno a 46 miliardi di euro. Come Ance ci chiediamo: siamo certi che questo è quello che serve al Paese?
Da quel momento la messe di progetti presentati dai vari Ministeri per oltre 660 miliardi di euro è passata nell’arco di una notte a circa 100 miliardi.

Il Mit aveva presentato un piano infrastrutturale con 70 miliardi da mettere in conto alla Ue, ieri l’altro il piano sembrerebbe essere stato rimodulato a circa 20 miliardi.

Come Ance vorremmo sapere quale sono i dati reali per gli investimenti in opere pubbliche.

Quando fonti del Governo parlano del 37% destinato ai progetti green, del 20% destinato alla digitalizzazione, del 10% destinato alle infrastrutture, del 5% destinato alla rigenerazione e riqualificazione, a quale montante si riferiscono?

Non è di poco conto se il riferimento sono 82 miliardi oppure 127 miliardi.
Come Ance vorremmo conoscere quale è il montante su cui computare i vari investimenti.

Le considerazioni che precedono, peraltro, devono essere lette di pari passo con la cronica (in)capacità di spendere i fondi europei; anche nel periodo 2014/2020 le risorse provenienti dai fondi ordinari sono state spese in ragione di un deludente 39 per cento.

Nel rammentare che, per il rilancio del Paese, ci sono pure le risorse europee del Fondo di coesione e sviluppo 2021/2027 pari a circa 37 miliardi di euro (con un volano di oltre 74 miliardi) dobbiamo solo auspicare che la Ue non decida di penalizzare i Paesi che non hanno speso le risorse del programma 2014/2020, sarebbe drammatico.

Una volta determinato il quantum di investimenti per le infrastrutture si dovrà privilegiare una spesa ed attuazione rapida dei programmi nel rispetto del crono programma concordato con la Ue.

Le preoccupazioni non sono finite.

Per l’impiego delle risorse del Recovery prende sempre più concretezza la necessità di creare un nuovo strumento normativo che consenta con soggetti attuatori dedicati e norme ad hoc che l’atterraggio delle risorse avvenga in tempi certi. Si inizia a parlare di (nuovi) soggetti attuatori e (nuovi) poteri sostitutivi.

Non sono più sufficienti le previsioni deregolatorie previste dal Semplificazioni, tropo tenui.
Accanto ai Commissari si creeranno nuovi soggetti attuatori ancora più potenti ed ancora prima che la deregulation (rectius, semplificazione) possa produrre i propri effetti si prevedono poteri sostitutivi dai confini e competenze indeterminate.

Per gestire una partita decisiva e finale come il Recovery serve una prospettiva e strategia pluriennale che necessita di una condivisione parlamentare ed unità istituzionale.
Parliamo di importi che dovranno essere spesi nei prossimi sei anni mentre nel recente passato per quegli stessi importi sono serviti 15/20 anni perché risultassero impegnati.
Serve un abito mentale nuovo, il Parlamento deve esercitare il proprio ruolo politico perché parliamo di manovre ed impegni che abbracceranno i prossimi 15 anni in termini di restituzione dei prestiti ricevuti.

Dal fumo delle parole e degli annunci stanno emergendo le reali problematiche.
Quanto sono lontani i tempi del piano Colao o degli Stati Generali, sembrano addirittura passate in secondo piano le perplessità sulle deroghe del Semplificazioni.

Il Piano Nazionale delle Riforme, il Piano Italia Veloce o il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza sembrano strumenti sterili e vuoti se non è preliminarmente chiaro quando e su quali risorse si potrà fare affidamento.

Non è possibile continuare a comperare tempo con annunci e bonus a pioggia perché la locomotiva delle opere pubbliche sta viaggiando a velocità folle verso il baratro, e con essa il Paese. Ora basta, assistiamo ad una eterogenesi dei fini che ci sembra nascondere, in realtà, una grande confusione ed una totale assenza di progettualità: non è accettabile cambiare ogni 15 giorni le priorità del momento.

Così facendo siamo passati da marzo ad ottobre senza che nessun cantiere sia stato aperto ed alcuna manodopera sia stata impegnata.

Come Ance abbiamo fatto proposte semplici, operative, di grande pragmaticità senza voli pindarici; non abbiamo mai avuto risposte concrete.
Così non andiamo da nessuna parte, non è possibile vivere in una proiezione alternativa sganciata dai fatti e dai problemi quotidiani.