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Recovery fund, 137 progetti per spendere i fondi Ue: alta velocità, fibra, lavoro e taglio tasse

Photo credit: Corriere Web

(come riportato da Enrico Marro e Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera)

Le opzioni possibili – Le infrastrutture, a partire dall’Alta velocità ferroviaria al Sud, che oggi fa capolinea a Salerno. La digitalizzazione del Paese, che significa non solo dare una scossa alla pubblica amministrazione ma anche sciogliere una volta per tutte il nodo della rete in fibra ottica. La riforma degli ammortizzatori sociali, specie di quella cassa integrazione governata oggi da regole troppo macchinose.

Ma soprattutto il capitolo fisco, che potrebbe essere aperto anche grazie a un gioco di sponda contabile, con i soldi comunitari che renderebbero disponibili fondi nazionali altrimenti da utilizzare in modo diverso. Qui c’è un piano A in linea con Bruxelles, e cioè un nuovo taglio delle tasse sul lavoro. E un piano B meno ortodosso dal punto di vista comunitario ma sul quale c’è una forte spinta politica: il taglio dell’Iva per gli acquisti con carta di credito e bancomat, dunque in chiave anti evasione fiscale

Il documento base – Stavolta il governo italiano si era portato avanti. In attesa che l’Unione europea desse il via libera al Recovery plan vero e proprio, il piano che ci assegna 209 miliardi di euro tra sussidi a fondo perduto e prestiti da rimborsare, l’esecutivo aveva già scritto il suo di Recovery plan. Nove punti e 137 progetti presentati il 21 giugno, alla fine di quella sfilza di incontri chiamati Stati generali. Sembrava il solito libro dei sogni, quel documento: corposo ma vago il giusto, per dare senso a un appuntamento che in molti, non solo l’opposizione, avevano criticato considerandolo evanescente, inutile se non dannoso. E invece, conferma il presidente del consiglio Giuseppe Conte, saranno proprio quei 137 progetti la base per disegnare la mappa dell’utilizzo degli aiuti europei. In teoria non ci sarebbe molto da inventare. Perché è vero che alla fine non c’è il diritto di veto del singolo Paese, che tanto voleva l’Olanda. Ma per ottenere quei soldi serve il via libera della commissione europea. Il governo italiano confida nel fatto che lì il responsabile dell’economia è Paolo Gentiloni. Ma il campo di applicazione di quei fondi è già indicato dalle ultime raccomandazioni fatte dalla stessa commissione ai Paesi membri. Le ultime a maggio, in piena pandemia, ma anche quelle dell’anno scorso, espressamente ricordate e quindi vincolanti.

Sanità e lavoro – Tra le voci c’è la sanità, che è anche l’unico capitolo di spesa possibile per il Mes, l’altro canale di aiuti comunitari che però spacca la maggioranza con il Movimento 5 Stelle che non ne vuole sentire parlare e il Pd che invece non molla la presa. La sanità sarà dunque una delle voci del Recovery plan. Ma quanto si investirà in questo capitolo dirà molto sulla partita in corso sul Mes e quindi sui rapporti di forza nella maggioranza. Sugli ammortizzatori sociali ci dovrebbe essere un’estensione che arrivi a coinvolgere anche i lavoratori atipici, dai contratti a termine ai collaboratori che oggi sono meno protetti. Il Recovery fund potrebbe portare anche alla creazione di un’agenzia separata per gestire la cassa integrazione, dopo i problemi che ci sono stati con l’Inps e la moltiplicazione dei suoi compiti. Un aiuto ci potrebbe essere anche per la scuola e l’università, ma di sicuro non per la riapertura in sicurezza a settembre, scadenza troppo ravvicinata per usare i fondi europei. Potrebbe essere invece potenziata la didattica a distanza. Sia come modalità parallela in un mondo più sempre tecnologico. Sia come rete di sicurezza se nei prossimi mesi ci dovesse una seconda ondata del contagio tale da costringere a una nuova chiusura, magari non a tappeto ma mirata.

Pagamenti alle imprese – Un altro intervento riguarderà i tempi di pagamento della pubblica amministrazione, che poi significa dare liquidità (dovuta) alle imprese. Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, in troppi casi non rispettiamo ancora il limite dei 30 giorni, portato a 60 nella sanità. Poi c’è la parte di investimenti in senso stretto, che riguarderà la transizione verso l’economia green, la gestione dei rifiuti, che specie al Sud è ancora un buco nero. E anche il trasporto pubblico, settore con i conti sempre più in difficoltà visto che i mezzi privati hanno conosciuto un nuovo boom per la paura di salire su autobus e metropolitane. Ma restano le incognite.

Il nodo pensioni – Tra le raccomandazioni da rispettare c’è anche la diminuzione del peso della voce pensioni sul totale della spesa pubblica. Fermare Quota 100 in anticipo, rispetto alla scadenza naturale fissata alla fine del prossimo anno? Il governo resisterà, sostenendo che alla fine spenderemo 7 miliardi in meno del previsto, come ha osservato proprio ieri la Cgil. Basterà a convincere una commissione che avrà il fiato sul collo dei Paesi frugali, per ora respinti? Non è l’unico tema politicamente scivoloso.

Le imprese e il Sud – Tra le ipotesi allo studio c’è anche un sistema fiscale di vantaggio per gli imprenditori del Mezzogiorno. Sconti e incentivi per richiudere la forbice tra Nord e Sud, o almeno per evitare che si allarghi. Passerà, non passerà? Potrebbe, perché la coesione territoriale è da sempre uno dei cardini dello spirito comunitario. Magari bilanciata da una revisione del sistema catastale, altra raccomandazione di Bruxelles più volte ignorata. E ultima evoluzione di una vecchia richiesta di Bruxelles, quella di rafforzare la tassazione sulla casa per alleggerire quella sul lavoro. Andrà così oppure no? Dipende da tanti fattori. Ma alla fine decide la politica, che spesso forza le regole cartesiane dell’economia.