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(come riportato da Maurizio Caprino su Edilizia e Territorio)
Impossibile trovare le risorse tutte e subito: è necessario selezionare le priorità e solo da pochi mesi si è iniziato a ragionare su questo problema. Finora i primi interventi non sono stati decisi dai gestori ma dall’azione della magistratura
Cosa resta della prima estate in cui le peggiori code in autostrada sono state dovute non solo al traffico, ma a restrizioni per il degrado da manutenzioni carenti? In apparenza, solo alcune di quelle restrizioni, rese quasi innocue dal riacutizzarsi della pandemia. Ma c’è molto di più: si stima che, per rimettere a posto i 6mila chilometri di autostrade a pedaggio, ci vogliano 40 miliardi.
Impossibile
trovarli tutti e subito: occorre quindi decidere le priorità. Un problema cui
si è iniziato a mettere mano in modo scientifico solo da pochi mesi. Finora i
primi interventi consistenti non sono stati decisi dai gestori in base a piani
pluriennali rigorosi e attendibili. Anche i lavori da 480 milioni messi a gara
dall’Anas una settimana fa sulla propria rete sono più legati a consolidate
logiche “a pioggia”. Così, nei casi più gravi, ha “deciso”
la magistratura.
Direttamente, come nel caso della Procura di Avellino, intervenuta a
sequestrare viadotti e gallerie in Campania, Lazio, Marche e Abruzzo. O
indirettamente, come la Procura di Genova, che i sequestri li ha solo
“minacciati”, inducendo a intervenire sulle strutture sotto indagine.
Ma la via giudiziaria, aperta dai crolli anche tragici che hanno riempito le cronache degli ultimi anni, non porta lontano. Non è detto che raggiunga tutti i punti più critici ed è destinata a perdersi in dibattimenti lunghi e pieni di rivoli.
L’ultimo è
il procedimento contro Paolo Anfosso, progettista di Autostrade per l’Italia
(Aspi), assolto a fine ottobre dall’accusa di falsa testimonianza nelle
dichiarazioni rese al processo per i 40 morti del bus caduto da un viadotto
dell’A16 presso Avellino. Ai tecnici, i 40 miliardi mancanti dicono che la
manutenzione è al default. E infatti nei Pef, i piani economico-finanziari quinquennali
delle concessionarie, in approvazione in questi mesi, ci sono cifre molto
minori.
Per affrontare il default, bisogna fissare le priorità e non c’è tempo per
finire le ispezioni sulle 700 gallerie e gli oltre 1.600 viadotti (contando
solo le strutture lunghe più di 100 metri) che costellano le autostrade di un
Paese montuoso come l’Italia. Tanto più che c’è sono opere che sono state tra
le prime in Occidente, ma ora sono tecnicamente superate e difficili da
mantenere, ad esempio per un calcestruzzo che non si è rivelato
“eterno” come prometteva.
Si sa da anni, ma gestori e controllori hanno come rimosso il problema, forse per tenere alti i profitti e abbastanza bassi i pedaggi.
Ora che
quell’equilibrio si è rotto, a fine maggio il ministero delle Infrastrutture
(Mit) ha iniziato a studiare un metodo di valutazione delle priorità su una
tratta-pilota, la Giulianova-Città Sant’Angelo (Pescara Nord) dell’A14, gestita
da Aspi (che finanzia l’iniziativa).
L’Università La Sapienza di Roma, la Federico II di Napoli e il Politecnico di
Torino, coordinati dall’Università di Messina, hanno elaborando in pochi mesi
indici su gallerie, viadotti, barriere di sicurezza e geometria del tracciato
(raggi delle curve, pendenze eccetera), per determinare gli indici ponderati di
priorità, in base ai quali a regime il Mit autorizzerà l’inserimento della
manutenzione di singole tratte omogenee nei Pef.
In queste settimane gli indici vengono testati e affinati. A gennaio la metodologia dovrebbe essere pronta, per essere applicata ovunque. Non saranno da considerare come indici di sicurezza complessiva, intesa quindi anche come prevenzione degli incidenti stradali: si sarebbe entrati nel campo di altre competenze come quelle legate al Dlgs 35/2011.
Inoltre, si
sarebbero allungati i tempi, come nel caso in cui, per pianificare gli
interventi, si fosse dovuto tener conto anche della viabilità alternativa.
Dunque, le priorità non terranno conto né degli incidenti che avvengono su una
tratta né di quanto è trafficata.
Il modello viene in ogni caso apprezzato da un ingegnere con ruoli sui vari
fronti coinvolti: Andrea Demozzi, consulente di Procure, ispettore della
sicurezza in base al Dlgs 35 e innovation manager dell’albo del ministero dello
Sviluppo economico.
«Ma –
aggiunge Demozzi – le ultime tecnologie, sviluppate dalla creatività italiana
per rispondere a questa emergenza del Paese, consentono di andare oltre: la
rilevazione satellitare dei movimenti delle strutture può monitorare ponti,
viadotti e simili, che sarebbe impossibile controllare tutti perché sono un
milione. Esami più di dettaglio e anche nelle gallerie si fanno poi con i
droni. Se in queste fasi si scoprono problemi, scattano ispezioni mirate da
parte di tecnici specializzati».
Anche sull’onda dell’emergenza, in Italia si sono sviluppate altre tecnologie
prima frenate, come la pesatura dei camion in movimento, contro il sovraccarico
che contribuisce al degrado dei viadotti. Sul nuovo Ponte San Giorgio di
Genova, c’è un impianto della Iwim di Trento, con telecamere della bresciana
Tattile. Sistemi del genere potrebbero diffondersi più dei ben più complessi e
costosi sistemi di monitoraggio della stabilità strutturale tramite sensori,
teoricamente collegabili anche all’Ainop.
Ciò limita la funzionalità di quest’ultima, che è la maxi-banca dati delle infrastrutture, voluta dal Mit d’urgenza dopo il crollo del Ponte Morandi e partita in modo lento e incompleto.