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L’ultimatum scaduto su Autostrade. Che fine ha fatto la revoca?

Photo credit: Corriere Web

(come riportato da Fabio Savelli sul Corriere della Sera)

Sono passati tre giorni dall’ultimatum del governo ma nulla è successo.

Non risulta che l’esecutivo abbia formalizzato l’avvio della procedura di revoca della concessione di Autostrade come aveva fatto ventilare nell’ultimo consiglio dei ministri sul tema a fine settembre.

Quel che si sa è che c’è stato un board di Atlantia ieri in serata per riprendere i negoziati con Cassa Depositi ma è tutto ancora molto embrionale.

Nella recente audizione della ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, l’arma della risoluzione della concessione (e quindi anche della Convenzione) che regola i rapporti con lo Stato non è stata esplicitata.

La titolare del dicastero concedente si è tenuta alla larga da ipotizzarla. D’altronde nel corposo dossier che ha portato all’attenzione del governo già a fine gennaio De Micheli evidenziava tutte le criticità di una procedura che rischia di portare ad un maxi-indennizzo nei confronti dei soci del gestore nel caso in cui non dovesse essere configurato quel «grave inadempimento» che molti tratteggiano sul crollo del ponte di Genova ma che non ha ancora avuto palese evidenza nel processo ancora alle fasi preliminari.

È probabile per la verità che ciò si configuri ma i tempidella magistratura non collimano con quelli di un atto amministrativo che dall’istante in cui viene formalizzato determina un salto nel buio.

Secondo l’articolo 35 del Milleproroghe, approvato a dicembre scorso, nella gestione dovrebbe subentrare l’Anas che però da molti, anche nel governo, viene ritenuta non in grado di assolvere il compito viste le difficoltà operative nella vigilanza dell’infinita pletora di viadotti su tutto il territorio nazionale che sfuggono anche ad una corretta documentazione informatica nell’archivio lanciato dal ministero dei Trasporti ma ancora quasi vuoto.

Ecco perché già a luglio si era parlato di un piano B, cioè di un commissariamento della società determinabile solo attraverso un decreto legge che andrebbe motivato da ragioni di urgenza giustificabili soltanto se il governo ritenesse il gestore non in grado di garantire la sicurezza della circolazione sulla rete autostradale.

Si tratta ora, a differenza di allora, di un progetto difficilmenteattuabile. Soprattutto ora che il governo ha ridato le chiavi del nuovo ponte San Giorgio proprio ad Autostrade che quel viadotto l’ha pagato — come era giusto che fosse — e che però è stato evidentemente ritenuto in grado di poterlo gestire.

Certo gli strumenti in mano al governo erano pochi. Quel viadotto è il naturale anello di congiunzione di due estremi di una tratta gestita da Autostrade. Però formalmente lo si poteva dare in gestione al Commissario Marco Bucci se la sicurezza pubblica era anche lontanamente non attuabile. Ecco perché in pochi ora si azzardano a dire che il governo può davvero revocare la concessione.

Si tratta più che altro di un’arma negoziale agitata ogni volta che i vertici della holding interrompono i rapporti con Cassa Depositi per arrivare ad un’intesa che però poggia su un pesante anello debole. Atlantia non vuole riconoscere la manleva ai nuovi soci, cioè la garanzia che in caso di risarcimenti indiretti chiesti da chiunque per il collasso del ponte Morandi sarebbero i vecchi soci a doverli liquidare e non i subentranti.

Sembra una richiesta giustificabile, che fonti dicono sia stata stabilitaanche nel passaggio da Gemina ad Atlantia di Autostrade diversi anni fa. Più di qualcuno osserva che la vera difficoltà sta nella complicata fase di passaggio di consegne che si determinerebbe. Perché nessuno sa, tranne i vertici del gestore, che cosa ci sia in tutte le carte a disposizione degli avvocati di Autostrade nella difesa al processo per il Morandi.

Nessuno sa se effettivamente tutti i lavori di manutenzione erano stati effettivamente predisposti e qualcuno azzarda, dalla controparte, che il vero motivo del muro contro muro sul negoziato sia il rischio di scoperchiare un vaso di Pandora che determinerebbe anche un indebolimento della difesa nel processo sul ponte Morandi al secondo incidente probatorio.

Illazioni o meno quel che è certo è che dopo due anni e quasi due mesi siamo ancora al punto zero. La revoca della concessione probabilmente non è attuabile, come ha rilevato l’Avvocatura generale dello Stato in un parere inviato al Mit a gennaio.

O almeno lo sarebbe però rischiando di determinare un danno erariale da 23 miliardi — l’entità dell’indennizzo per risoluzione anticipata della convenzione — se gli avvocati amministrativisti di Autostrade dovessero dimostrare che la risoluzione non è determinabile preliminarmente senza certificare un grave inadempimento nella condotta del gestore.

Ecco perché più di qualcuno azzarda che rischiamo di andare avanti così per diversi mesi, forse anni. Il governo potrebbe decidere di aspettare che la sentenza della magistratura vada a compimento in modo da avere le carte per la revoca.

Nel mentre può bloccare sia la chiusura della procedura sia l’approvazione del piano economico-finanziario del gestore, cioè il documento rinnovabile ogni cinque anni che disciplina l’ammontare degli investimenti e ne incorpora il conto al casello.

Senza questi due documenti vendere Autostrade, come sta cercando di fare Atlantia, rischia di essere un’enunciazione di intenti. Chi può comprarla con questo rischio incorporato? A meno che possa farlo qualcuno previo accordo con l’esecutivo.