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La Gronda di Genova bloccata da un anno per l’ultima firma

Photo credit: ATNews

(come riportato da Maurizio Caprino su Enti Locali & Edilizia)

L’opera che ha il compito di togliere dall’A10 il traffico non diretto verso i quartieri di Ponente e il centro città attende solo il via libera al progetto esecutivo, che non è mai arrivato

Si farà o no la Gronda di Genova? Il tempo dei no dei grillini sembra ormai alle spalle, ma, delle tante autorizzazioni necessarie, ne manca solo una e non muove un passo da un anno.

Continuerà a essere così almeno per qualche mese: bisogna aspettare che finisca davvero la partita fra il Governo, i vecchi soci di Aspi (innanzitutto i Benetton) e quelli destinati a entrare nella società. L’inaugurazione del Ponte Genova San Giorgio, però, contiene un indizio: la Gronda, a questo punto, si deve fare.

Infatti, il nuovo viadotto sul Polcevera ha lo stesso numero di corsie del Ponte Morandi (due corsie per senso di marcia, anche se di larghezza adeguata alle norme attuali). La Gronda ha la funzione di togliere dall’A10 poco prima di Voltri il traffico non diretto verso i quartieri di Ponente e il centro città, per portarlo direttamente verso l’A12 dopo aver incrociato l’A7 a Bolzaneto.

Se si decidesse di non fare più la Gronda, ripiegando su un ampliamento del tratto iniziale dell’A10 dall’allacciamento con l’A7 e Voltri (comunque complesso e costoso, perché è un tracciato stretto fra abitato e colline con gallerie), il San Giorgio resterebbe a due corsie, salvo sopprimere la corsia di emergenza come si faceva in passato.

Sarebbe quindi un nuovo ponte che viabilisticamente nasce già vecchio, a meno che non debba smaltire un traffico alleggerito proprio dalla Gronda.

Se il Morandi non fosse crollato, probabilmente i cantieri della Gronda sarebbero già aperti da un pezzo. Se ne parla dagli anni Ottanta e, dopo vari progetti che proponevano altrettanti tracciati, la svolta era arrivata il 7 settembre 2017, con l’approvazione del progetto definitivo (il passo più importante dell’iter) da parte del ministero delle Infrastrutture (MIT).

Ad aprile 2018 era arrivato anche l’ok al piano di convalida degli aspetti finanziari (compreso il nulla osta Ue all’allungamento della concessione di Aspi dal 2038 al 2042), per cui restava solo da avere l’ok al progetto esecutivo. Che non è mai arrivato, perché il documento fu presentato nell’autunno 2018, cioè quando il Morandi era già crollato e la concessione di Aspi era stata messa in discussione.

Ciò non impedì che la società completasse il 93% degli espropri di imprese e abitazioni sul territorio e bandisse gare di pre-qualifica per 750 milioni (acquisto di frese per scavare gallerie e opere preliminari). Insomma, ci si è portati avanti per tutto il possibile; ora però occorre l’ok al progetto esecutivo.

Si potrebbe pensare che ora l’uscita almeno parziale dei Benetton da Aspi renda tutto più facile, ma non è proprio così. Proprio i cambiamenti societari previsti rallentano l’approvazione del nuovo Pef (il piano economico finanziario destinato a subentrare a quello scaduto nel 2017 e rimasto congelato per le vicende emerse dal crollo del Morandi in poi).

Aspi ha presentato una proposta il 23 luglio, nella quale la Gronda è la principale nuova opera in programma (4,3 miliardi su 14,5 di investimenti). Se n’è iniziato a discutere tra Aspi e MIT per far emergere dubbi su come conciliare questi investimenti con l’aumento tariffario limitato all’1,75% annuo stabilito dai nuovi criteri del’Art (Autorità di regolazione dei trasporti).

Ma i passaggi per approvare un Pef di solito richiedono mesi e appare difficile che proprio un piano così delicato possa passare più velocemente.

Peraltro proprio la Gronda dovrebbe essere un punto qualificante del nuovo Pef, dando una dimostrazione di quanto i vecchi piani fossero favorevoli ai Benetton. Infatti, nello schema precedente, la costruzione della Gronda era finanziata non con veri e propri aumenti tariffari, ma con un allungamento della concessione attuale dal 2038 al 2042.

L’allungamento di solito comporta un extraprofitto per il gestore, perché nel periodo di proroga le tariffe vengono aumentate nel modo ordinario, mentre invece dovrebbero coprire solo i costi vivi: alla data originaria di fine concessione, tutti gli altri costi dovrebbero essere completamente ammortizzati e quindi dalla tariffa.

Ora, con il nuovo sistema Art, la remunerazione del capitale investito (Wacc) subisce una sforbiciata dall’11% previsto in precedenza al 7,09%. Un livello per raggiungere il quale non è più necessario allungare di quattro anni la concessione.

Dunque, la nuova Aspi resterà concessionaria solo fino al 2038. Un altro elemento con cui dovranno fare i conti i nuovi soci in arrivo.