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Infrastrutture. Rilancio a costo zero con il tesoro sommerso dei lavori pubblici

Nell’emergenza economica, caratterizzata da una pressante esigenza di liquidità del sistema produttivo, non si riesce a trasformare in infrastrutture e pagamenti alle imprese circa 200 miliardi già stanziati

Dario Immordino di Edilizia e Territorio ha analizzato l’importanza degli investimenti in infrastrutture pubbliche per lo sviluppo e la crescita economica in Italia.

I dati del Rapporto annuale sulle infrastrutture strategiche e prioritarie attestano eloquentemente che i lavori pubblici potrebbero costituire uno dei settori trainanti della crescita economica: il fabbisogno di infrastrutture strategiche ammonta a 273 miliardi di euro, di cui 219 per opere prioritarie, e risulta assistito da una copertura finanziaria pari a 199 miliardi di risorse pubbliche e private (73 per cento del costo complessivo).

La letteratura economica e l’evidenza empirica dimostrano, peraltro, che gli investimenti in infrastrutture sono in grado di stimolare un considerevole effetto moltiplicatore, amplificando gli effetti finanziari delle risorse investite: la costruzione di opere pubbliche, infatti, comporta un largo impiego di capitale umano e l’attivazione di un circolo virtuoso occupazione – aumento dei redditi – incremento dei consumi, essenziale per lo sviluppo economico, ed un’adeguata dotazione di reti concernenti i trasporti, le comunicazioni l’energia può agevolare l’adozione di nuove tecnologie e la riorganizzazione dei processi produttivi, facilitando la nascita di nuove imprese.

A ciò bisogna aggiungere i benefici indiretti delle infrastrutture che, facilitando i trasporti e la mobilità, aumentano la competitività del sistema produttivo, favoriscono l’utilizzo razionale del territorio e l’incremento dei flussi turistici, migliorano la qualità della vita.

Non a caso i documenti di programmazione finanziaria e le manovre di finanza pubblica degli ultimi anni riservano un ruolo centrale agli investimenti infrastrutturali, e in effetti il Rapporto annuale sulle infrastrutture strategiche e prioritarie attesta il progressivo incremento delle procedure di gara bandite per questa categoria di opere pubbliche.

Queste potenzialità, però, vengono frustrate dalla abnorme dilatazione dei tempi di realizzazione delle opere: soltanto l’11 % dei lavori finanziati è stato ultimato, la metà risulta in fase di progettazione, il 21% è in corso, e il 5 % della spesa assistita da copertura finanziaria riguarda lavori aggiudicati ma non avviati, e negli ultimi anni è peggiorata il divario tra l’Italia e gli altri paesi europei in termini quantità e qualità del patrimonio infrastrutturale.

Ciò perché, secondo i dati dell’Agenzia per la coesione territoriale la realizzazione di un’opera pubblica richiede, in media, 4,4 anni, per le grandi opere servono circa 15 anni e 8 mesi (due anni e tre mesi per le opere sotto i 100 mila euro), ed oltre la metà della durata dei lavori (il 54,3% ) è dovuta ai cd «tempi di attraversamento», intervalli tra la fine di un procedimento e l’inizio di quello successivo.

Questa inefficienza penalizza l’economia e la finanza pubblica italiana, poiché mina la competitività del sistema produttivo e determina una consistente lievitazione della spesa.

Secondo i dati diffusi da Sace-Simest a causa del deficit infrastrutturale l’Italia perde 70 miliardi di euro l’anno di esportazioni, l’equivalente di 4 punti percentuali di prodotto interno lordo, cui bisognerebbe aggiungere i costi ulteriori dell’inadeguatezza delle rete infrastrutturale nazionale concernenti l’efficienza dell’approvvigionamento energetico, gli ostacoli alla mobilità e all’efficiente sfruttamento delle potenzialità territoriali.

In sostanza, in una fase in cui per far fronte alla grave emergenza economica vengono stanziati circa 55 miliardi per finanziare misure eccezionali di sostegno all’economia, non si riesce a trasformare in infrastrutture e pagamenti alle imprese oltre 200 miliardi già disponibili. In un simile contesto la spesa produce effetti pregiudizievoli sulla finanza pubblica (debito, deficit, ecc) non compensati da proporzionali benefici sul sistema economico-sociale.

L’abnorme dilatazione dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche, peraltro, non si traduce in una maggiore efficienza nella gestione delle opere e non è dovuta ad attenta ponderazione dei profili tecnico – giuridico – finanziari coinvolti, funzionale a conseguire consistenti risparmi di spesa, atteso che il performance audit condotto nel 2018 dalla European Court of Auditors certifica che l’Italia è il Paese dell’Ue con il più alto costo di costruzione per le linee ferroviarie ad alta velocità già completate (a 33 milioni per chilometro, contro i 14 milioni di Spagna e i 15 milioni di Germania e Francia).

Per ovviare a questa insostenibile situazione sono state formulate diverse proposte di razionalizzazione del sistema degli appalti concernenti l’ulteriore riforma organica della disciplina del settore (la quarta in pochi anni dopo il Codice del 2016, il correttivo e il cd decreto sblocca cantieri), il congelamento del Codice dei contratti pubblici per tutta la durata dell’emergenza e l’applicazione di un corpus normativo ridotto alle direttive europee, l’adozione di specifiche modifiche ad istituti centrali della disciplina degli appalti (termine di stand still, affidamenti diretti, procedura negoziata, selezione delle commissioni giudicatrici, verifica dei requisiti, avvalimento, subappalto, varianti), l’estensione del c.d. modello Genova, incentrato sulla deroga generalizzata a tutte le regole di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti pubblici, eccetto quelle di natura penale.

Tuttavia il deficit infrastrutturale origina da problemi complessi che investono trasversalmente diversi ambiti di esercizio dei poteri pubblici, e di conseguenza per eliminarne le cause si rivela indispensabile l’adozione di misure in grado di risolvere la vasta ed articolata gamma di criticità che interessano l’assetto istituzionale, la disciplina legislativa e l’attività amministrativa contrattuale e finanziaria delle pubbliche amministrazioni.

I ritardi l’inefficienza e la proliferazione di oneri che congelano opere e risorse pubbliche dipende, infatti, da svariate cause di natura normativa e burocratica: sovrapposizione di competenze fra amministrazioni pubbliche, regole contabili concepite per salvaguardare gli equilibri finanziari che ostacolano la spesa anche in relazione alle risorse disponibili nei bilanci pubblici, farraginosi iter di approvazione dei piani di investimenti pubblici, «iperregolamentazione» della materia dei contratti pubblici «affollata da norme molteplici e disomogenee» (lo ha rilevato la Corte dei conti), carenze nella programmazione delle spese, criticità nella scelta delle procedure di aggiudicazione, «varie irregolarità e criticità gestionali», dinamica lenta della spesa per investimenti, vari casi di ritardo nell’avvio dell’iter di affidamento dei contratti, eccessiva frammentazione delle stazioni appaltanti (oltre 32.000), difficoltà di aggiudicazione delle gare svolte dai soggetti aggregatori (come le centrali di committenza), difficile compatibilità delle norme di spending review con la disciplina dell’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni, difficoltà da parte delle stazioni appaltanti di applicare correttamente la normativa, problematicità nella fase dell’esecuzione degli appalti.

Di conseguenza la soluzione dell’inerzia che alimenta il deficit infrastrutturale richiede l’elaborazione di una strategia articolata, incentrata su una oculata gestione finanziaria, sul proficuo esercizio della potestà normativa regionale e sull’efficiente funzionamento del sistema istituzionale ed amministrativo.

Sotto il primo profilo il problema non concerne tanto il volume di risorse finanziarie disponibili, quanto la qualità della programmazione e l’efficienza nella gestione delle risorse disponibili, pregiudicate da gravi e diffuse patologie dell’ ordinamento finanziario: costante riduzione dei trasferimenti agli enti sub statali non compensata dall’attribuzione di entrate proprie, ritardo nella attribuzione dei finanziamenti, criticità nella ripartizione del gettito tributario, inefficienza della programmazione, carenza di efficaci sistemi di controllo sulla gestione, complessità delle procedure contabili, stringenti vincoli alla spesa, vorticosa proliferazione di regole che rendono difficile programmare e gestire le politiche finanziarie, sopravvalutazione delle entrate, inefficienza delle procedure di riscossione, crediti insoluti, gestione disinvolta dei residui attivi, diffusione di prassi finalizzate ad aggirare le regole sulla copertura finanziaria delle spese, frequente ricorso ai debiti fuori bilancio.

La soluzione di simili criticità richiede la razionalizzazione delle relazioni intergovernative finanziarie, la concreta attuazione degli strumenti di coordinamento previsti dalla legislazione e invocati dalla Corte costituzionale, analisi più accurate dei costi e dei benefici delle opere, l’efficientamento del sistema dei controlli finanziari e la strutturazione di un efficace sistema premiale incentrato sul riconoscimento di benefici finanziari a favore delle amministrazioni virtuose e di sanzioni a quelle inefficienti.

Al di là della gestione finanziaria, però, i consistenti ritardi nella realizzazione delle infrastrutture dipendono da cause riconducibili a varie forme di inefficienza burocratica e criticità della disciplina normativa.

Riguardo al primo aspetto bisogna certamente frenare la proliferazione di regole, adempimenti e controlli previsti della disciplina in materia di appalti e neutralizzare la vasta gamma di disfunzioni dell’assetto istituzionale e dell’attività amministrativa, contrattuale e finanziaria che rallentano la realizzazione delle opere: sovrapposizione di competenze fra amministrazioni pubbliche che rallenta i procedimenti amministrativi collaterali alle procedure di appalto (VIA, VAS ecc), sostanziale inattuazione degli strumenti di semplificazione vigenti (conferenze di servizi, accordi con privati e tra amministrazioni ecc), iter di approvazione dei piani di investimenti pubblici articolati in una miriade di adempimenti e passaggi politico – burocratici, eccessiva frammentazione delle stazioni appaltanti, criticità nell’ aggiudicazione delle gare svolte dai soggetti aggregatori (come le centrali di committenza), difficoltà da parte delle stazioni appaltanti nella scelta delle procedure di aggiudicazione e nella gestione della fase di esecuzione degli appalti.
Per razionalizzare la disciplina sui contratti pubblici si rivela innanzitutto indispensabile adottare misure di riduzione di oneri ed adempimenti non necessari delle procedure di appalto, in coerenza con il principio del gold plating che vieta alle autorità nazionali di imporre livelli di regolazione superiori a quelli previsti dalle direttive europee.

A prescindere dalle modifiche normative, si potrebbe conseguire una consistente accelerazione degli appalti sfruttando adeguatamente le disposizioni delle direttive europee, del codice dei contratti pubblici e della legislazione speciale che consentono la riduzione dei termini delle procedure di aggiudicazione, l’esecuzione immediata dei lavori e l’acquisizione di forniture anche prima della stipulazione del contratto (in casi di urgenza), la possibilità di assegnare gli appalti senza pubblicare i bandi di gara (in presenza di determinate circostanze), il ricorso ad autodichiarazioni e controlli ex post, la semplificazione e accelerazione della procedura di valutazione dell’interesse archeologico, l’intensificazione del ricorso alle procedure semplificate (procedura competitiva negoziata, dialogo competitivo, consultazioni preliminari di mercato, appalti pre-commerciali, partenariato per l’innovazione).

Per accelerare la realizzazione delle infrastrutture bisogna inoltre strutturare efficienti sistemi di e-procurement, prevedere la riprogrammazione delle risorse per finanziare interventi urgenti e immediatamente eseguibili, strutturare efficaci strumenti di monitoraggio dello stato di avanzamento degli investimenti e dei lavori, favorire la corretta applicazione della disciplina sugli appalti attraverso la selezione e la qualificazione delle stazioni appaltanti e la professionalizzazione del personale, in modo da accrescerne la competenza tecnica.

Ciò posto una strategia credibile di contrasto alle cause del deficit infrastrutturale non può prescindere dall’adozione di misure volte ad alleggerire e accelerare la progettazione delle opere, che rappresenta la fase più lunga dell’iter di realizzazione delle infrastrutture (2,5 annidi durata media, 0,6 anni per l’affidamento dei lavori e 1,3 per la loro esecuzione).

Anche perché razionalizzare la progettazione, garantendone la qualità, potrebbe produrre una consistente accelerazione delle fasi successive soprattutto quella esecutiva, “contribuendo ad arginare l’endemico fenomeno della rinegoziazione delle offerte, fra le principali cause di dilatazione dei tempi (e di lievitazione dei costi) di esecuzione delle opere” (Banca d’Italia, Ottobre 2019).

Al riguardo sono state proposte diverse plausibili soluzioni: maggior ricorso alla progettazione esterna alla PA per il tramite dei concorsi di progettazione, obbligo di ricorrere al Building Information Modeling (metodi e strumenti elettronici specifici di modellazione, che integrino tutte le informazioni relative a uno specifico progetto e le rendano disponibili a tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione), attivazione di forme di assistenza per le amministrazioni “meno attrezzate”.

Per ridurre l’abnorme durata delle procedure di infrastrutturazione bisogna inoltre “tagliare” gli intervalli tra le varie fasi procedurali, che “assorbono” oltre la metà del tempo impiegato per la realizzazione delle opere.

A tal fine è necessario introdurre efficaci forme di coordinamento tra le amministrazioni pubbliche e garantire la corretta attuazione di quelle esistenti, adottare efficaci misure di razionalizzazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, volte alla eliminazione delle sovrapposizioni e duplicazioni di competenze che rallentano i procedimenti amministrativi, moltiplicano gli oneri e gli adempimenti e inquinano le responsabilità, introdurre misure di semplificazione dei processi decisionali e delle procedure di approvazione degli investimenti in opere pubbliche, degli iter autorizzativi e dei procedimenti amministrativi accessori alle procedure di appalto (in particolare di quelli in materia ambientale).

Corte dei conti ed Anac, inoltre, indicano la frammentazione delle stazioni appaltanti e le loro difficoltà di gestione delle procedure come uno dei problemi nevralgici del sistema degli appalti, e segnalano la necessità di assicurare adeguati livelli di professionalità delle autorità committenti procedendo all’attivazione concreta delle strutture tecniche ad hoc con compiti di supporto alle amministrazioni introdotte dalla Legge di bilancio 2019 e all’effettiva attuazione delle misure di qualificazione della committenza previste dal nuovo Codice dei contratti pubblici.

Una quota rilevante delle infrastrutture incompiute rientra nella titolarità di province e città metropolitane, la cui attività risulta notevolmente pregiudicata dagli effetti della spending review e di una riforma che ne ha ridotto competenze e risorse. Sicché ripristinare la fisiologica funzionalità degli enti di area vasta fornirebbe un importante contributo al superamento del deficit infrastrutturale.