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Busia: Anac garante del Recovery Plan con Bruxelles, investimenti più veloci con gare native digitali

Photo credit: Quotidiani Verticali Web

Mauro Salerno e Giorgio Santilli hanno intervistato per Enti Locali & Edilizia il neo presidente di Anac Giuseppe Busia nel suo ruolo di gestione del Recovery fund.

Il nuovo presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione parla dei suoi obiettivi e del ruolo che avrà nei piani finanziati con i fondi europei

Le risorse che arriveranno con il Recovery fund «devono essere usate per investimenti capaci di produrre un salto duraturo del Pil» e tra questi ci sono quelli che possono cambiare «in meglio e per sempre la macchina degli investimenti pubblici, con il passaggio, per esempio, alle gare native digitali».

Giuseppe Busia, dal 21 settembre presidente dell’Autorità Anticorruzione (Anac), è pronto a dare un contributo importante, svolgendo «un ruolo di volàno dello sviluppo e di garanzia nei confronti delle istituzioni europee» che assicurano i finanziamenti e chiedono conto di come verranno spesi. Glielo consente «il triplice impegno dell’Autorità su trasparenza, vigilanza sui contratti e prevenzione della corruzione».

Busia ha le idee chiare su quale deve essere il ruolo dell’Autorità, nel complicato scenario delineatosi dopo le dimissioni polemiche di Raffaele Cantone, la riforma incompiuta degli appalti, le deroghe e i commissari nell’affannoso tentativo di recuperare investimenti e il terremoto economico e sociale del Covid.

«I contratti pubblici sono una leva di sviluppo potentissima e luogo di incontro privilegiato tra pubblico e privato – sottolinea Busia – ma serve una fortissima iniezione di innovazione digitale. Da qui passano la trasparenza e soprattutto le soluzioni che possono far fare un salto al rapporto tra imprese e PA. Si può uscire dallo schema semplificazione uguale meno trasparenza».

Presidente Busia, lei è atteso da sfide delicatissime. Raccoglie l’eredità di una personalità come Raffaele Cantone. Che effetto fa? – È una sfida e un onore. Siamo chiamati a conservare l’autorevolezza che l’Autorità si è conquistata in questi anni e anche a essere un punto di riferimento per il mercato.

È in arrivo una montagna di soldi dall’Europa. Fondi destinati in buona parte agli appalti su cui vigilate. C’è già chi denuncia i rischi di nuove Tangentopoli a causa delle deroghe introdotte per accelerare la spesa. Pensate di giocare un ruolo attivo in questa partita? – Anche rispetto ai fondi che dovremo gestire con il programma Next generation Eu, l’Anac può essere un attore forte per il suo ruolo di indipendenza dal governo e per il compito di garanzia che può esercitare nei confronti dell’Unione europea.

Avere un’autorità indipendente che vigila sulla spesa con gli occhi della trasparenza, dell’anticorruzione e della concorrenza è un valore aggiunto per assicurare che i fondi vengano usati correttamente, ma è anche una garanzia che quei finanziamenti vengano indirizzati verso interventi produttivi capaci di produrre reddito e un aumento duraturo del Pil. Non dobbiamo sprecare questa occasione unica con misure tampone. Rischiamo di generare solo altro debito.

Dal decreto Sbloccacantieri in poi, con il dietrofont sui poteri di regolazione e la soft law, il peso dell’Autorità è stato ridimensionato. Con le modifiche al codice appalti siamo entrati in una fase di transizione che non sappiamo quando e come finirà. Quale sarà il vostro ruolo e avete gli strumenti? – Non tutta la normazione flessibile è stata cancellata. Abbiamo la possibilità di approvare linee guida e bandi-tipo. La flessibilità delle regole permette di adattarsi a contesti mutevoli come quello che stiamo vivendo.

La stabilità aiuta la programmazione di lungo periodo. Adesso si è deciso di puntare su un grado maggiore di stabilità, ma entrambe garantiscono vantaggi: ci vuole il giusto equilibrio. Non giocheremo una partita di retroguardia: abbiamo strumenti per accompagnare imprese e Pa come la vigilanza collaborativa e il precontenzioso che vogliamo confermare e potenziare. E soprattutto la banca dati unica degli appalti che deve diventare un driver per la digitalizzazione del settore

Pensa che il regolamento appalti debba essere emanato? – Penso di sì. Aiuta gli operatori ad avere un quadro chiaro di regole. I contratti pubblici, se usati bene, sono uno straordinario motore di incontro tra pubblico e privato. I nuovi investimenti vanno costruiti attraverso una nuova alleanza tra una PA più forte e consapevole e privati capaci di usare le proprie potenzialità anche a fini di interesse generale. E con un ruolo forte dell’Autorità per favorire questo dialogo.

Ci vuole una pubblica amministrazione dalle spalle larghe. Da anni si parla di qualificazione della PA, ma finora hanno vinto le resistenze locali. – Bisogna razionalizzare i centri di spesa perché solo stazioni appaltanti sufficientemente strutturate sono in grado di non farsi catturare dal privato, ma stabilire con esso un rapporto sano, volto all’innovazione e alla crescita reciproca, esercitando anche la giusta discrezionalità.

Bisogna anzitutto puntare sulle centrali di committenza, ma abbandonando le limitazioni territoriali che oggi penalizzano le migliori centrali regionali, ed invece puntando sulla loro specializzazione per settori o categorie merceologiche, lasciando poi che si sviluppi una sana concorrenza fra loro. Anche i piccoli comuni devono abbandonare l’idea di poter svolgere tutte le funzioni di acquisto sul proprio territorio, perché questo genera inefficienza oltre costi in termini di contenzioso. E a pagare questa inefficienza alla fine sono sempre i più deboli, ai quali arrivano meno servizi e beni più scarsi.

C’è il rischio che la semplificazione si trasformi in una deregulation da liberi tutti? – Dobbiamo compensare le deroghe inserite nei provvedimenti di emergenza, aumentando il livello di trasparenza sui contratti stipulati, proprio grazie alla digitalizzazione, che non rallenta ma accelera le procedure.

La prevenzione della corruzione resta un nostro obiettivo primario, ma non è vero che questo è incompatibile con la celerità o che la semplificazione si ottiene solo eliminando le regole: sono contrapposizioni meccanicistiche da superare. Un buon uso delle disposizioni del codice, improntate alla concorrenza, crea sviluppo e innovazione. La corruzione, al contrario, è il tarlo che frena la crescita e impedisce ai migliori di emergere.

Prima sottolineava l’esigenza di spingere sulla digitalizzazione. Anche a questo scopo? – Digitalizzare significa insieme semplificazione, rapidità, trasparenza e lotta alla corruzione. Le gare devono nascere digitali. Abbiamo un obiettivo europeo fissato a ottobre 2023, ma dobbiamo arrivarci prima.

Dobbiamo superare le gelosie istituzionali sulle varie banche dati pubbliche. È anacronistico scontrarsi su chi raccoglie o comunica i dati: se il processo è digitalizzato e i sistemi sono interoperabili, le informazioni vengono prodotte automaticamente e sono a disposizione di tutti: istituzioni e cittadini, per i controlli come per il governo della spesa.

Può avere un impatto anche sulla qualificazione delle imprese? – Sì, si potrebbe implementare anche la qualificazione digitale delle imprese, scaricando la Pa dalla fatica dei controlli e liberando le imprese dalla maggior parte degli oneri legati alla partecipazione alle gare. I dati su chi esegue i contratti li abbiamo, vengono da amministrazioni pubbliche e possono essere messi a disposizione di tutti.

Questo è l’obiettivo della nostra Banca dati sui contratti pubblici, allargata e potenziata. Uno strumento di trasparenza, semplificazione e velocizzazione delle gare da finanziare, questo sì come investimento veramente produttivo, con le risorse del Recovery fund.