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Autostrade, tutti i dubbi sull’Anas in caso di subentro nella concessione

(come riportato da Fabio Savelli sul Corriere della Sera)

Negli ultimi giorni si percepisce un clima più disteso tra governo ed Autostrade per l’Italia che sembra poter portare ad un negoziato per un’eventuale revisione della concessione che lo Stato ha in essere con l’azienda controllata dalla famiglia Benetton fino al 2038.

È prematuro parlare di un dialogo costruttivo, le parti sono ancora lontane e soprattutto dal governo trapela la necessità di ricostruirlo nel caso in cui il gestore dovesse accettare in toto il modello tariffario dell’Authority dei Trasporti che impone una remunerazione sul capitale investito molto più bassa di quella attuale (maggiormente in linea con l’era dei tassi zero intrapresa da diverso tempo dalla Banca centrale europea) e una forte riduzione delle tariffe e dei margini operativi parametrati sui ricavi.

L’esecutivo si aspetta un segnale da Edizione, la holding dei Benetton. Dal tandem Gianni Mion e Carlo Bertazzo, numero uno di Atlantia, per uno sconto importante sulle tariffe, su cui gli advisor starebbero ragionando per capire l’entità eventuale dell’impatto a bilancio.

Lo sconto riparametrebbe il calcolo dei pedaggi per i 18 anni rimasti della concessione secondo un modello che l’Authority guidata da Andrea Camanzi assicura possa diventare un benchmark internazionale tale da aver colpito positivamente anche alcuni investitori infrastrutturali in un recente incontro a Londra.

Quel che è certo che la «pistola fumante» sul tavolo c’è ancora: la revoca della concessione per estinzione anticipata che però al governo non sembra voler davvero approvare in Consiglio dei ministri visti gli oggettivi rischi di contenzioso e il pesante indennizzo, seppur ridotto, da dover riconoscere agli azionisti di Autostrade per gli investimenti non ancora ammortizzati.

Conviene però ragionare su un esercizio di scuola che inquadra anche le possibili ricadute operative, organizzative, finanziarie e gestionali nel caso in cui Anas dovesse subentrare ad Autostrade nella gestione come previsto dal decreto Milleproroghe.

Anas negli anni non ha certo brillato in manutenzione di tratti stradali e autostradali e alcuni viadotti risultano ancora privi di monitoraggio come suffragato da una recente inchiesta del Corriere della Sera.

La situazione è sicuramente migliorata ma esistono alcuni problemi. Il primo di natura finanziaria e di accesso alle risorse.

L’Istat comprende l’Anas ancora nell’ «Elenco delle amministrazioni pubbliche». Perché «le caratteristiche economiche e istituzionali dell’Anas non hanno subito alcun cambiamento sostanziale.

Il mero passaggio della proprietà del capitale sociale dal ministero dell’Economia a Ferrovie non muta la natura e il funzionamento economico dell’Anas che resta una società a controllo pubblico con comportamenti non di mercato». Ha a disposizione le risorse del Contratto di programma da 30 miliardi, ma lo Stato le versa i soldi non più a piè di lista ma a corrispettivo, in funzione di precisi investimenti, che ammontano a 15 miliardi nei prossimi cinque anni.

Dal punto di vista societario avrebbe dovuto radunare le partecipazioni nelle società autostradali dell’Anas (la Sitaf del Frejus, la Rav del Montebianco, l’Asti-Cuneo, la Cav col Passante di Mestre e 224 km sulla M4 Mosca-Novorossiysk, tramontata l’ipotesi Autovie Venete) in una scatola che però risulta ancora vuota. Dice Anas che ci sono diversi ostacoli. Come il contenzioso che riguarda Sitaf, la società di gestione dell’autostrada del tunnel del Frejus.

Anas aveva rilevato la quota in carico agli enti locali ma Gavio, azionista di minoranza, aveva fatto ricorso spuntandola poi al Tar e ritardando così la procedura di conferimento nella scatola societaria.

I costi stimati attualmente dall’Anas sono di circa 800 milioni (coperti con i trasferimenti dallo Stato); e invece i ricavi da mercato dell’Anas, attraverso le concessioni già in pancia, sono di circa 200 milioni. Troppo pochi.

Il secondo problema è il complesso contenzioso con Carlo Toto sulla Strada dei parchi (A24 e A25, con il Massiccio del Gran Sasso), colpita da due terremoti e soggetta agli interventi antisismici. Anas la vendette a rate (fino al 2027) per 700 milioni all’imprenditore, che vinse la gara insieme con Autostrade nel 2003 e nel 2011 salì al 98%. Ma l’ex padrone di AirOne non le versa da anni la rata pattuita, 56 milioni l’anno.

Ha messo i soldi in un «fondo vincolato per la messa in sicurezza urgente» dell’autostrada, argomentando che il concedente dal 2013, da quando l’Anas è di diritto privato, è formalmente il Mit. E contesta il tasso concordato del 6%: offre il 2% in linea col mercato attuale. Altri soldi sottratti al bilancio Anas che sarebbero utili se dovesse subentrare nella gestione di 3mila chilometri di tratte e per la manutenzione di oltre 700 viadotti.

L’Anas porta a supporto della sua tesi una sentenza della Corte Costituzionale che ha riconosciuto il diritto e la competenza di ricevere il canone concessorio.

Quando l’Anas è stata incorporata in FS il suo patrimonio è stato valutato circa 2,9 miliardi, in base alle potenziali sinergie con Ferrovie e all’ipotetico prolungamento della concessione della rete non a pedaggio dal 2032 al 2052 che è storicamente oggetto di confronto col governo ma su cui ancora non si è compreso il da farsi. Spalmare le concessioni per altri 20 anni significherebbe aumentare esponenzialmente i flussi di cassa ma finora non è stato dato il via libera.

Anas dovrebbe poi acquistare, fare propri e realizzare progetti realizzati e firmati da Autostrade. Si tratta di progetti di enorme complessità e dal rischio elevato di realizzazione (costi, tempi) come ad esempio la Gronda di Genova e il Passante di Bologna. Anche i meccanismi di finanziamento di tali opere, venendo meno il sistema di remunerazione, non sarebbero più garantiti. In questo modo si bloccherebbero almeno 10 miliardi di euro di investimenti immediatamente cantierabili. E poi il subentro nell’esazione dei pedaggi.

Autostrade non sarebbe subito più titolata a riscuoterli, e non è previsto che Anas possa farlo e sulla base di quale sistema di remunerazione. Non è dunque chiaro cosa accadrebbe. I pedaggi non servono solo a finanziare spese di manutenzione e investimenti in nuove opere, ma il 50% degli stessi ritorna allo Stato sotto forma di introito, tra tasse e canoni concessori che a quel punto verrebbero meno.