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Autostrade, ecco cosa dice il dossier dello scontro M5S-Pd: «Tariffe giù del 5% per i prossimi 18 anni»

Photo credit: Economiaoggi.it

(come riportato da Marco Galluzzo e Fabio Savelli sul Corriere della Sera)

La proposta punta alla revisione della concessione, è stata redatta dai tecnici del ministero guidato dalla De Micheli e inviata a Palazzo Chigi: il nodo è come strutturarla per «ristabilire il giusto equilibrio tra interesse pubblico e privato»

In un braccio di ferro che va avanti da mesi chi ha seguito il dossier al più alto livello, dentro il governo, a contatto diretto con il presidente del Consiglio, rivela che l’atteggiamento della famiglia Benetton, primo azionista di Atlantia, è stato sempre quello di una chiusura netta a tutte le offerte che sono state avanzate dall’esecutivo.

Anche per questo il governo ritiene che siano rimasti pochi margini di confronto, e che forse la strada migliore per trovare un’intesa sarebbe un’uscita della famiglia Benetton dall’azionariato della società, un passo indietro che viene auspicato dall’esecutivo, per riaprire le trattative con una compagine azionaria diversa.

Insomma quasi uno stallo, se non un vicolo cieco, in cui le mosse reciproche diranno nelle prossime settimane se c’è ancora un margine per il rinnovo della gestione o se piuttosto si va verso una rottura in qualche modo insanabile, dagli esiti imprevedibili, incluso quello di affidare gestione e manutenzione di una buona fetta della autostradale italiana ad un’altra società.

Sembra che su questo Conte sia stato categorico con chi segue più da vicino il dossier, nel senso che o Atlantia accetta le condizioni o si arriverà ad una riunione del Consiglio dei ministri che revocherà la concessione. Qualcuno lo chiama il nodo del 3%.

La ministra Paola De Micheli alla fine di gennaio ha depositato sul tavolo di Palazzo Chigi un dossier redatto dai suoi tecnici. La revisione per lei sarebbe la strada da percorrere, ma il nodo è come strutturarla per «ristabilire il giusto equilibrio tra interesse pubblico e privato».

Tutto ruota attorno all’acronimo Wacc, che sta ad indicare il tasso di remunerazione sul capitale investito. In altri termini quanto devono guadagnare i privati che investono mezzi propri su asset pubblici in concessione. Negli ultimi anni — ritiene l’esecutivo — i soci di Autostrade hanno avuto un rendimento del 10%, un tasso fuori mercato distribuendo generosi dividendi ai soci.

Nel 2018 ha registrato un margine operativo di 2,3 miliardi su un fatturato di sei, oltre il 30% di margine al netto delle imposte, una percentuale che i tecnici del ministero coadiuvati dagli esperti dell’Authority dei Trasporti, ritengono non in linea con i riferimenti internazionali. La richiesta fatta recapitare ai vertici di Autostrade, l’ultima l’8 marzo scorso, è stata quella di recepire in toto il modello dell’Authority guidata da Andrea Camanzi, che porta quel tasso al 7%.

Significa il 3% all’anno di minore redditività per il gestore. Nel dossier sul tavolo di Palazzo Chigi s’immagina un punto di caduta: abbassare del 5% all’anno le tariffe della concessionaria fino al 2038 in modo da ritoccare quel rendimento.

I vertici di Autostrade lo ritengono non sostenibile in conto economico, perché non potrebbero garantire gli investimenti promessi per 14,5 miliardi o sarebbero costretti a tagliare il costo del lavoro. Ai primi di marzo hanno proposto alla De Micheli un pacchetto da 2,9 miliardi che incorpora anche la riduzione delle tariffe del 5% solo per i primi cinque anni, misura messa nero su bianco anche sul piano economico-finanziario che Autostrade ha presentato al ministero il 6 aprile. Da quel momento i dialoghi si sono interrotti. Fonti vicine al Mit ritengono la proposta non sufficiente. Viene vista come una concessione una tantum per poi tornare a macinare profitti dal 2026.

La garanzia Sace sul prestito da 1,25 miliardi diventa così uno strumento negoziale da entrambe le parti. L’esecutivo, giocando di sponda col ministero delle Finanze che dovrà partorire il decreto autorizzativo sulla garanzia di Stato, fa melina. Autostrade lo agita per chiedere una garanzia che le spetta da usare con le banche che attendono di conoscere il destino del gestore per individuare il giusto merito di credito sul 20% non coperto dall’ombrello statale.

Filtra così un possibile ultimo compromesso registrato al momento come esercizio di stile: allungare la concessione oltre il 2038, convincendo il gestore ad accettare la riduzione strutturale del 5%. O in alternativa inserire nell’addendum al contratto un valore di subentro importante per gli azionisti, di cui si prefigura un cambiamento nella compagine. Lo schema usato con i Gavio per sbloccare l’autostrada Asti-Cuneo legandola alla concessione per la Torino-Milano.