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Si riapre il dossier della Tav. Il fronte del no inizia a cedere

Di Maio: io contro, ma tornare indietro costa il triplo delle energie. Il segnale di Conte

Se qualcuno si aspettava di sentire dalla viva voce di Luigi Di Maio assicurazioni del tipo «la bloccheremo senza se e senza ma», non solo s’è dovuto ricredere, ma è stato costretto a trovare spazio nel suo animo di militante No Tav, prima che grillino, per la delusione e lo sconforto. Il fronte del «no» all’Alta velocità Torino-Lione, tra i 5 Stelle di governo, sembra cominci a scricchiolare.

La doccia fredda è arrivata qualche minuto prima della mezzanotte di venerdì, dopo cinque ore di confronto serrato con gli attivisti torinesi riuniti in un’assemblea per discutere del nuovo corso del Movimento. «Non sto dicendo assolutamente che sto cambiando idea — ha premesso il capo politico del M5S —, ma tornare indietro adesso sul Tav richiede il triplo delle energie».

Un segnale di cedimento o di rassegnazione? Certo, le parole pronunciate, il 3 giugno a Palazzo Chigi, dal presidente Giuseppe Conte hanno segnato un punto di svolta: «Se dovessi decidere oggi, io non la farei, non la trovo conveniente. Ma mi trovo in fase di attuazione — aveva detto il premier —, quindi o trovo un’intesa con Commissione europea e Francia o il percorso del Tav è bello e segnato».

Del resto, la definizione del dossier Alta velocità incombe sull’esecutivo gialloverde, insieme alle prossime scadenze per la realizzazione dell’opera: a metà settembre si chiuderà la prima fase della manifestazione di interesse per il versante italiano.

E dire che l’assemblea dei 5 Stelle torinesi — tappa di un tour nazionale per presentare alla base la riorganizzazione del Movimento — si era aperta, nel salone dell’hotel Royal, con una rassicurazione: «Il Movimento è sempre stato e sarà sempre No Tav».

Di Maio ha cercato di placare gli animi, dopo le scissioni e le dimissioni di massa (non quelle della sindaca Appendino, in questo caso) minacciate nelle ultime settimane da alcuni esponenti torinesi e valsusini dei 5 Stelle, davanti alle titubanze del governo M5S-Lega, sospettato dalla base di non voler bloccare davvero l’opera.

Poi, però, dopo aver incassato gli applausi (nessun fischio, nessun attacco diretto ma qualche critica sì), il vicepremier ha tirato le somme del confronto con gli attivisti facendo seguire al suo atto di fede No Tav, una serie di «ma» e «però». «Gli incontri che il governo sta facendo sul Tav — ha chiarito — sono imposti da accordi internazionali già esistenti».

Difficile, insomma, fermare in corsa il treno dell’Alta velocità: nemmeno ora che il M5S è alla guida del Paese. «Va ricordato — ha messo in chiaro il leader 5 Stelle — che siamo andati al governo con il 33 per cento, non con il 51. Ciò significa che ogni volta che c’è da prendere una decisione si tiene una riunione a tre (con Conte e Salvini, ndr) dove si cerca di mediare per accontentare tutti».

Delusa, per non dire irritata, la reazione degli storici militanti No Tav, tra cui i ribelli che stanno facendo tremare la giunta Appendino. «Per carità — ha reagito la capogruppo del M5S in Piemonte, Francesca Frediani —, non mi aspettavo un “lo fermeremo”, ma almeno un impegno a dialogare con chi potrebbe suggerire possibili soluzioni. Sarebbe stata — ha concluso citando le parole del leader sui grillini ortodossi “nemici della contentezza” — la mia contentezza».