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Riforma appalti Cantone: sul Codice il governo decida in fretta

Si ringrazia lo Staff di biblusnet.it per l’immagine pubblicata.

Riportiamo l’analisi sulla situazione della riforma degli appalti di Giorgio Santilli apparsa oggi su Edilizia e Territorio.

Il governo può modificare il codice degli appalti o può anche metterlo da parte completamente, se lo ritiene. Sarebbe opportuno, però, che decidesse al più presto perché annunciare una riforma che poi si realizza dopo mesi o anni significa creare una forte instabilità normativa e una paralisi del processo di attuazione e del mercato».

Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, torna sul tema della riforma del codice degli appalti, mettendo in guardia il governo dal rischio di annunci cui non seguono certezze in tempi rapidi. Cantone – che mercoledì scorso ha incontrato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – ieri ha ripetuto questo ragionamento alla presentazione del rapporto sulle Agromafie.

Ed è un ragionamento che riguarda direttamente l’attività dell’Anac che sta mettendo a punto alcune linee guida in attuazione del codice e si vede modificata la norma primaria, con il risultato di doverle riscrivere. È già successo con la prima correzione al codice degli appalti fatta dal governo Gentiloni, che ha riportato indietro lo stato di avanzamento dell’attuazione del codice, già parecchio arretrato.

Il timore – non solo di Cantone ma anche delle imprese dell’Ance – è che l’intenzione del governo di procedere con un disegno di legge delega possa richiedere mesi e anni. Basti pensare che il disegno di legge in cui la ampia delega per la riscrittura del codice è contenuta è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 12 dicembre ma non è stato ancora presentato in Parlamento.

Senza contare il fatto che lo stesso premier ha annunciato la riforma del codice appalti già nel suo discorso di insediamento in Parlamento otto mesi fa ma il governo non è ancora riuscito a trovare l’accordo per varare una norma (a parte quella nella legge di bilancio che alza la soglia dei contratti di appalto affidati senza gara).

Non è possibile fare una previsione sui lavori parlamentari (la prima versione del codice ha impiegato oltre un anno) necessari per approvare una riforma tanto complessa e tanto divisiva, ma bisogna aggiungere che nello stesso Ddl approvato dal governo sono previsti poi 18 mesi per esercitare la delega.

Il problema è tanto evidente che più volte l’Ance ha sparato a zero per dire che non è ipotizzabile in un settore sostanzialmente fermo come quello dei lavori pubblici rinviare tutto a un disegno di legge delega. E anche nel governo si è vista una certa dialettica, fra il vicepremier Salvini, che chiede da tempo un decreto «cantieri veloci», e il vicepremier Di Maio che ha parlato di «otto mesi per fare la riforma del codice appalti».

L’indicazione su quel che probabilmente accadrà realmente l’ha data ieri il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che al termine di un incontro con l’Ance, ha spiegato in una nota cosa il governo vuole fare, lavorando sull’ipotesi dei «due tempi». Il codice appalti – ha detto Toninelli – «va cambiato in modo organico e non affrettato.

Al tempo stesso, però, ci sono delle modifiche che possono essere anticipate in un decreto legge sblocca-cantieri ormai assolutamente necessario e improrogabile per dare presa concreta agli investimenti su cui il governo sta facendo un grande sforzo e per accelerare il rilancio del settore delle costruzioni».

Una risposta che ha soddisfatto il presidente dell’Ance, Gabriele Buia. Soddisfatto anche il ministro. «Ho registrato – ha detto – un clima collaborativo e una piena condivisione di intenti rispetto alla necessità di lanciare un grande piano di manutenzione per il Paese, la prima grande opera che serve all’Italia – sottolinea Toninelli – in modo da garantire una maggiore sicurezza del territorio, delle nostre infrastrutture e un vero rilancio economico nel segno della competitività del sistema e della qualità della vita dei cittadini».

Resta il dilemma della lunga instabilità normativa che la soluzione in «due tempi» non risolve.