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L’Italia resta tagliata fuori dal disegno dell’integrazione europea

Spesso è avvenuto in passato che nei momenti di crisi profonda il processo di integrazione europea abbia compiuto i passi più significativi. È questa una caratteristica scritta nel dna dell’Unione europea che oggi si sta preparando ad affrontare un altro tornante della sua storia. Un tornante in cui, mentre il tradizionale motore franco-tedesco è in accelerazione, l’Italia rischia molto concretamente di finire fuori strada perché schiaccia il freno.

Le ultime due iniziative di Parigi e Berlino, sulla politica industriale comune e sul bilancio dell’Eurozona, stanno maturando in completa assenza dell’Italia che – forse – potrà intervenire nel confronto solo in una fase successiva, di correzione e non di proposta. Eppure, con Brexit, Roma avrebbe potuto aspirare ad essere il terzo vertice di un nuovo “triangolo” aggregatore nell’Unione, ma questa ipotesi è stata solo una fugace illusione. AdChoices

Al di là delle coalizioni istituzionali, come l’eurozona, l’area Schengen o la cooperazione nella difesa (PeSco), l’Unione va avanti anche e soprattutto grazie alle alleanze strategiche non istituzionalizzate che di volta in volta si compongono tra Stati membri con interessi convergenti su obiettivi specifici. Perciò è disarmante, anche se non è una sorpresa, vedere l’Italia sistematicamente assente da questi tavoli informali su cui altri stanno disegnando il futuro dell’Europa.

Nel cosiddetto gruppo G3, che ha l’obiettivo di porsi come principale forza propositiva sui dossier più importanti – dal bilancio alle migrazioni, alle prossime nomine comunitarie – accanto a Francia e Germania non c’è l’Italia ma la Spagna. C’è da dire che non sempre è colpa degli altri. Il patetico tira e molla sulla Tav Torino-Lione, oltre che l’incapacità di decidere della classe politica, svela anche graficamente l’immagine di un Paese che si sta tagliando fuori. E quel che è ancora più grave, senza capire bene perché.

In questo momento, a Bruxelles ma anche nelle altre capitali, non si sa bene a chi si può fare riferimento, all’interno del governo italiano, sulle questioni comunitarie. Per ricomporre la crisi diplomatica con la Francia è dovuto intervenire il presidente della Repubblica, Mattarella. Con la Germania i canali di comunicazione non si può dire che stiano vivendo una stagione di particolare fluidità. E a Bruxelles si chiedono chi è, nel governo, l’interlocutore più adatto sulle questioni comunitarie. Paradossalmente, rispetto alle premesse, l’uscita di Paolo Savona, a cui era stato affidata la delega agli Affari europei, non potrà che peggiorare la situazione. Resta il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che ha le carte in regola per rappresentare con autorevolezza le ragioni italiane in Europa. Ma per varie ragioni la sua posizione appare indebolita, dentro e fuori dal governo. C’è da augurarsi che non sia così.

È molto probabile che il prossimo europarlamento non sia a maggioranza sovranista come si sente ripetere spesso nei nostri comizi elettorali. E la maggioranza degli eurodeputati italiani potrebbe trovarsi all’opposizione, senza peso nella scelta della nuova Commissione, nell’attribuzione del portafoglio al commissario italiano e senza poter incidere nelle decisioni che contano. Il rischio, alla fine, è che dall’Europa a più velocità che sta prendendo forma non sarà l’Italia ad uscire per scelta autonoma e “sovrana”, ma saranno gli altri a liberarsi di un partner percepito sempre più come zavorra.

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