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I soldi ci sono, lo Stato li perde

(come riportato da Ferruccio De Bortoli – CORRIERE DELLA SERA)

Nella manovra, 400 milioni per piccole opere legate alla sicurezza del territorio da iniziare entro il 15 maggio. Un segnale al Paese dimenticato, che non giustifica la cancellazione del piano periferie, utile per dare un contributo alla crescita. E che dire degli 80 miliardi Ue, in gran parte inutilizzati, che nel 2020 rischiano di svanire…

Per la stragrande maggioranza dei Comuni italiani l’articolo 1, commi 107-114, della legge di Bilancio, è una piccola boccata d’ossigeno. Un impercettibile spiraglio di luce nel panorama spesso grigio dei bilanci delle amministrazioni locali. Non certo quella manna prodigiosa piovuta all’improvviso dal cielo di Roma.

E grazie alla lungimiranza del governo, come traspariva dalle parole del leader della Lega e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ma che cosa prevede questo poco discusso passaggio di una manovra economica già recessiva nei suoi numeri? Una legge di Bilancio che ha sacrificato gli investimenti per rientrare, momentaneamente, nelle regole europee?

Ai Comuni italiani, esclusi quelli grandi, vengono dati 400 milioni. Si tratta di pocket money. Spiccioli. Quarantamila euro alle amministrazioni con popolazione inferiore ai 2 mila abitanti. Cinquantamila a chi ne ha tra 2 e 5 mila. Settantamila ai centri con una popolazione compresa tra 5 e 10 mila. Infine, centomila euro alle città comprese tra 10 e 20 mila abitanti. I Comuni beneficiari, secondo la normativa, devono spenderli subito per finanziare uno o più lavori pubblici allo scopo di mettere in sicurezza il territorio.

I cantieri devono essere aperti entro il 15 maggio. Altrimenti i finanziamenti, erogati in due tranche, potranno essere revocati, già entro il 15 giugno, privilegiando le amministrazioni dei Comuni più efficienti e tempestivi. Per la verità esiste già un altro fondo di finanziamento dei lavori in edifici pubblici per ragioni di sicurezza varato dal precedente governo. Si tratta di 350 milioni assegnati con criteri che dovrebbero favorire le amministrazioni con necessità più impellenti e ridotti avanzi di bilancio.

Si dirà: ma perché quell’oscuro comma della legge di Bilancio 2019 è così importante vista l’esiguità dell’importo? Perché è la cartina di tornasole dei criteri del governo nei finanziamenti pubblici. Difficile che i fondi possano essere revocati. Sarebbe un po’ come chiedere la restituzione di un reddito di cittadinanza a un comune povero.

Ma se, nella prossima primavera, in una miriade di centri piccoli e medi — le grandi metropoli sono escluse — si moltiplicheranno manutenzioni, ripristini, coperture di buche, ebbene sarà il segno visibile di un Paese che si riprende. Lo Stato che dimostra di esserci.

Anche per mettere a posto il marciapiede sotto casa. O rinforzare l’argine del torrente che lambisce il quartiere, la frazione. Se però i finanziamenti si disperderanno in mille rivoli o saranno usati soltanto per integrare spese già decise, dovremmo constatare — per l’ennesima volta — che dare un po’ a tutti serve poco o a nulla.

La norma è poi rivelatrice della filosofia, anche elettorale, di Lega e Cinque Stelle. Il loro ragionamento è il seguente: il centrosinistra privilegia le grandi metropoli, noi i piccoli centri, l’altra Italia, quella «dal basso».

E non è un caso che la maggioranza gialloverde abbia esordito cancellando il piano periferie studiato dall’allora ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Quei lavori erano già stati progettati e finanziati. I cantieri si sarebbero aperti velocemente. Con un impulso non disprezzabile agli investimenti pubblici. Si può fare sviluppo anche non distruggendo le buone idee degli avversari. Ma tant’è.

Con le ultime leggi di Bilancio si è però di fatto superato il patto di stabilità interno. Ovvero la cassa libera per quei comuni che hanno i conti a posto — e non hanno una quota di avanzi ancora bloccata — può essere impegnata in finanziamenti di pubblica utilità. La stima è che si possa disporre di un surplus di capacità di spesa di 13 miliardi in più anni.

Anche una sentenza della Corte costituzionale ha contribuito ad accrescere la libertà di bilancio dei Comuni meglio amministrati. Ciò fa crescere la possibilità che finalmente nel 2019 si possa invertire il ciclo negativo dei finanziamenti pubblici. Lo scorso anno si prevedeva di aumentarli in misura considerevole, tra i due e tre miliardi. La stima sul consuntivo 2018, in via di elaborazione da parte della Ragioneria dello Stato, registra una flessione di qualche centinaio di milioni. Poteva andare peggio.

L’Anci, l’Associazione che riunisce i comuni italiani, è prudente. Troppi passaggi burocratici. Alcune Regioni sono lentissime. Un esempio significativo è quello degli interventi di edilizia scolastica. La raccolta delle firme può richiedere fino a un anno e mezzo. E poi magari si lasciano solo sei mesi ai Comuni per progettare e avviare i lavori. In diverse situazioni, anche in centri medio grandi, c’è scarsità di personale tecnico, enormi difficoltà di progettazione. Il Codice degli appalti ha paralizzato molte amministrazioni.

Secondo i dati Ifel-Anci, nel periodo 2010-17, gli investimenti fissi lordi dei comuni sono diminuiti del 37,2 per cento in termini di impegni e del 29,2 per cento sul versante dei pagamenti. La legge di Bilancio 2019 ha istituito «una struttura di supporto presso la Presidenza del Consiglio» per aiutare gli enti locali nella progettazione, coinvolgendo anche InvestItalia.

La soglia degli affidamenti diretti è stata elevata a 150 mila euro. La Cassa depositi e prestiti, nel suo piano triennale, si è impegnata a creare una nuova unità, Cdp Infrastrutture, per «affiancare la Pubblica amministrazione nella programmazione, progettazione, sviluppo e finanziamento delle opere» .

I dati al 31 ottobre 2018 sul monitoraggio delle politiche di coesione europee, nel periodo 2014-2020, sono illuminanti sulla nostra difficoltà, a volte incapacità, di investire i soldi che pure sono stati stanziati.

Il totale delle risorse disponibili, tra fondi europei e cofinanziamento italiano, supera gli 80 miliardi. Solo per i due principali programmi (Fesr, Fondo europeo per lo sviluppo regionale, e Fse, Fondo sociale europeo per promuovere l’occupazione), che ammontano complessivamente a 55 miliardi, il grado di avanzamento dei progetti era in media del 32 per cento e la cifra spesa appena del 12,62 per cento.

Nelle Regioni del Sud, che ne avrebbero maggior bisogno, siamo al 7,69 per cento. In Sicilia al 2 per cento. E il 2020 è l’anno prossimo. Se non si spendono i fondi si rischia di perderli. Alla fine del 2018 sono finiti nel nulla tre programmi per complessivi 61,25 milioni di euro. Spariti per lentezza, distrazione, sciatteria.