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Tria chiama i fondi esteri ad investire sulle opere strategiche

C’è un dossier su cui l’Italia si gioca una buona parte della sua credibilità internazionale. È la capacità del Paese di attrarre i capitali dei fondi infrastrutturali — che storicamente investono in asset con un orizzonte temporale di lungo termine e rendimenti costanti — per le opere strategiche: ferrovie, strade e autostrade, porti ed aeroporti.

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha messo a punto, di concerto con la Ragioneria generale dello Stato, un nuovo contratto standard di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche in partenariato pubblico-privato.

Si tratta di uno schema che punta ad offrire alle amministrazioni che intendano affidare concessioni un supporto tecnico sul partenariato, con particolare riferimento alla corretta allocazione dei rischi, all’evoluzione normativa nazionale ed europea del settore, oltre che alla compatibilità tra profili giuridici, statistici e di finanza pubblica.

Nelle intenzioni dovrebbe permettere un miglioramento delle capacità tecniche della pubblica amministrazione nel valutare gli investimenti privati sotto il criterio dell’interesse pubblico.

È una partita decisiva, questa, per colmare il divario infrastrutturale che l’Italia ha nei confronti di diversi Paesi europei, nel «rispetto dei vincoli di bilancio», aggiunge Tria. Il titolare del Tesoro sa che ci troviamo in una fase caratterizzata da una sovrabbondanza di liquidità in cerca di una destinazione e, di fatto, chi è in grado di favorire le migliori condizioni riesce ad attrarre una mole incredibile di capitali.

Un recente studio della società di consulenza infrastrutturale, Hideal Partners, rileva che negli ultimi tre anni i fondi infrastrutturali hanno complessivamente raccolto 127,6 miliardi di euro sul mercato. Tra il 2018 e il 2019 il fundraising atteso è pari a 108,6 miliardi di euro. Di questi fondi una trentina (Global Infrastructure Partners che ha recentemente acquisito Italo, Glenmont, iCON, F2i, DIF) ha già investito nel nostro Paese in passato e ha oggi una dotazione di 40,6 miliardi di euro, di cui 23,7 miliardi di euro ancora da allocare.

Ecco perché per realizzare opere infrastrutturali il Paese dovrebbe essere in grado di attrarre questi investitori favorendo condizioni il più possibili stabili e certe riducendo di conseguenza l’incertezza, offrendo la sicurezza dei tempi di sviluppo di realizzazione dei progetti e la riduzione dei rischi di cambiamenti legislativi in corso.