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L’Italia ha bisogno di più opere in Ppp, ma deve crescere la capacità tecnica della PA

Riportiamo un interessante articolo apparso oggi su Edilizia e Territorio a firma di Remo Dalla Longa Professore all’Università Bocconi/SDA, coordinatore scientifico dell’Osservatorio PREM – Public Real Estate Management di SDA Bocconi e coordinatore di GePROPI – Gestione dei Processi Realizzativi di Opere Pubbliche ed Infrastrutture.

Negativa l’esperienza degli ultimi 15 anni, troppe procedure saltate e progetti finiti on balance. Ora deve partire una «seconda generazione»

In autunno il governo si è dato il compito di riformare il ‘codice dei contratti’ (D.lgs 50/2016). Il Primo ministro, i ministri, i giornalisti, gli opinionisti e anche qualche giurista (e mi dispiace dirlo anche l’ANAC, o alcuni membri importanti di essa) lo chiamano impropriamente ‘codice degli appalti’; ma il D.lgs 56/2017 art. 1 non lo aveva definitivamente chiamato ‘codice dei contratti’? (Dalla Longa ).

Il codice dei contratti contiene gli appalti (partizione II), le concessioni (III) e il PPP (IV) per questo, dei contratti, gli appalti sono solo una parte, pur molto importante, ma solo una parte. A meno che nella modifica del codice il governo non voglia rivedere solo quest’ultimi, cosa possibile.

L’appalto (semplificando per quanto riguarda i lavori, diversa cosa sono le forniture e i servizi) è la disposizione di una codifica (progettazione) e la trasposizione di questa in costruzione. Il riferimento è il passaggio da t1 a t2; il PPP e la concessione rispondono al passaggio dal t0 a t∑n, questi passaggi sono già affrontati in un precedente articolo (Dalla Longa ).

L’appalto è molto più semplificato rispetto al PPP in quanto si tratta di organizzare un passaggio t0 (la programmazione) e poi da t1 (progettazione) a t2 (costruzione), dentro questo processo possono essere fatte delle semplificazioni. Per es. rivedere la materia dei sub-appalti come indicatoci dalla Corte di giustizia; oppure re-introdurre l’appalto integrato come giustamente rivendicano le imprese se si vuole gestire in modo differente il rischio di progettazione-costruzione.

In Italia il sub-appalto si è complicato in quanto nel tempo ha dovuto affrontare il tema delle infiltrazioni mafiose (ma si tratterebbe di utilizzare altri strumenti giuridici di controllo); l’appalto integrato vede la contrapposizione delle società di ingegneria che con il D.lgs 163 del 2006, e ancora prima, si erano viste sottrarre una fetta consistente del mercato di progettazione.

L’Italia è però una nazione fragile, ha troppo debito pubblico, a settembre siamo alle prese con la manovra economica (ex finanziaria), la riduzione del debito, la necessità di espansione, i nuovi programmi di spesa, l’aggressione dei mercati attraverso l’ulteriore innalzamento dello spread. Inoltre, la necessità di ampliare gli investimenti attraverso gli appalti si scontra, inesorabilmente, con l’incremento del maggior debito pubblico. Quindi che fare?

Prendiamo una nostra fotografia di 15 anni addietro dove siamo attorniati da oggetti, soffermiamoci su alcuni di questi, per esempio un telefonino e confrontiamolo con quello che disponiamo oggi. La domanda è: possiamo interrompere gli investimenti in opere pubbliche ed infrastrutture per un lungo periodo mentre gli altri prodotti evolvono? Questo tipo di investimento rischia di essere penalizzato se l’unico riferimento rimane l’appalto. Un ricordo tragico ed indiretto va ai ponti e a quello di Genova in particolare.

Giusto modificare nel Codice dei contratti gli appalti, ma l’azione non è risolutiva. Rimane quindi il PPP che però risponde ad una formula complessa, ma che se ben organizzata, spread permettendo, potrebbe non iscrivere l’asset (opera pubblica o infrastruttura) nel debito pubblico; non subito almeno, ma dilazionato nel tempo con l’attivazione di un moltiplicatore.

Troppo semplice il suggerimento? Sì convengo: in questa fase storico-congiunturale di presa di scorciatoie la semplicità non è sempre un valore. Bisogna creare una conoscenza ed una cultura adeguata del PPP e non utilizzarla come pura formula demiurgica, né tanto meno proporre una modifica procedurale dentro il Codice dei contratti e, in aggiunta, credere che questa sia risolutiva.

Possono esserci due orizzonti: a) di breve periodo, in cui si affronta l’investimento, il debito e lo spread ed il PPP; b) di medio e lungo periodo, in cui si affronta l’opera pubblica, l’infrastruttura e il PPP. Dedicheremo un contributo successivo al punto (a), ora concentriamoci su (b).

Il PPP in Italia deve necessariamente essere suddiviso in pre e post D.lgs 50/2016, dentro il post confluisce anche il recepimento delle direttive comunitarie 2014/23, 24, 25. Nel post vi è una modifica degli strumenti sin ora utilizzati, un’importante esempio è quanto indicato nel PEF (Dalla Longa, Amatucci) e deve essere modificato anche il glossario ed il linguaggio di riferimento, oltre che creare una cultura nuova di management applicato.

Il PPP è l’applicazione di un Long Term Contract (LTC) questo significa che vi sono contratti in essere con modelli di PPP attualmente illegittimi e con l’utilizzo di una procedura normativa superata, rischiosa e non più praticabile. Uno dei rischi è che si continuino ad utilizzare questi modelli. E’ utile quindi fare una separazione tra: a) PPP iniziati e terminati nella fase pre D.lgs 50/2016 e sono pochi; b) PPP iniziati e tuttora dentro un LTC e che avranno ancora diversi anni prima di chiudere il contratto; c) PPP che sono stati modellati o che devono iniziare nella fase post D.lgs 50/2016; i progetti ci sono e potranno configurarsi come un nuovo tracciato per il PPP futuro.

Prima di affrontare il caso italiano vi è un riferimento a cui vorremmo attingere, si tratta del caso Inglese, da sempre laboratorio per il PPP (PFI e PF2) in Europa. Nel dicembre 2012 l’Inghilterra passa dal PFI (Private Finance Initiative), al PF2 (Private Finance 2).

Le modifiche riguardano alcuni aspetti: a) la PA inglese interviene come co-investitore di minoranza; b) vengono ridotti i tempi del contratto e tolti alcuni servizi di ‘operation’ poco amalgamabili con altri (es. pulizia e sicurezza), c) si introduce una maggior trasparenza sui dati di montaggio del PEF.

Il passaggio dal PFI al PF2 avviene dopo una rigorosa analisi e diagnosi di tutti PFI sino a quel momento predisposti. Al 31 marzo 2017 vi erano 715 progetti di PFI e PF2 incardinati dentro un contratto di LTC di cui 16 di questi erano in costruzione per un valore di 67 miliardi di euro con una media di 83 milioni ciascuno.

Al numero complessivo, ogni sei mesi vengono tolti i progetti che escono dal LTC per fine contratto. Dei 16 in costruzione si segnala un programma di investimento per l’istruzione nello Yorkshire e un padiglione dell’Ospedale a Birmingham, rispettivamente di 138 e di 48 milioni di euro. Il Regno Unito ha un efficace sistema di monitoraggio sul PPP che noi come paese non abbiamo.

In Italia la prima generazione dei PPP (infrastrutture sociali, equivalente del PFI) vede l’intervento attivo di tre Regioni: la Lombardia, attraverso Infrastrutture lombarde, il Veneto e la Toscana. Nella prima delle tre regioni erano sette gli ospedali che dovevano essere realizzati nel pre D.lgs 50, in realtà due sono ancora da terminare (Monza e Sesto-Milano).

Il valore dell’investimento è di 1,2 miliardi, con inizio costruzione tra il 2004 e il 2010. Per tutti i sette ospedali la gara è stata fatta con la normativa pre D.lgs 50 seguendo più o meno lo stesso modello procedurale. Il Veneto, sempre nella fase pre, ha portato a termine quattro ospedali per 0,6 miliardi, la Toscana quattro ospedali entro un’unica realizzazione di 0,4 miliardi. In Italia complessivamente, se si prende come riferimento l’intervento in PPP superiore a 20 milioni di euro, la costruzione di ospedali rappresenta il 50% dei PPP.

Nel Regno Unito gli ospedali dentro il PFI e PF2 rappresentano il 22% pari a 130 interventi, contro i 40 in Italia con una media di investimento che è uguale per le due nazioni e che equivale a 120 milioni di euro per intervento.

In Italia per il PPP (infrastrutture sociali) è stato fatto il 20% (13 miliardi circa) di quanto è stato fatto nel Regno Unito con il PFI e PF2, con una cultura meno strutturata, con una polverizzazione ed asimmetria degli interventi e con una quantità non trascurabile di gare fatte e poi revocate per errori o superficialità.

La Regione Lombardia provò a creare Infrastrutture lombarde in alcune casi con carenze intrinseche; tutte le altre realtà poggiavano su stazioni appaltanti ed una cultura carente e non formata, o che si formava nel mentre avendo come unica esperienza quello della formula dell’appalto da t1 a t2 e non già dal t0 a t∑n. Il ‘focus’ maggiore del PPP pre D.lgs 50 è stato spesso spostato sulla gara per individuare il contraente e sul contratto con l’utilizzo massiccio di consulenti, advisor e arranger, senza un investimento su project manager interni in grado di governare il processo di LTC che vede l’O&M (funzionamento e manutenzione) assorbire, spesso, sette volte le risorse dedicate al D&C (progettazione e costruzione). Altre volte abbiamo detto come il project manager del PPP deve iniziare ad avere una vision del LTC a partire dalla programmazione, elemento strategico del processo (Dalla Longa, 2016 , 2018 ).

La diagnosi attuale è che gran parte dei progetti risulta illegittima se si applicasse – come recentemente sostenuto da Sabino Cassese – l’horizontal accountability, vale a dire la responsabilità da parte degli amministratori che impiegano risorse finanziarie pubbliche di rendicontare l’uso sia sul piano della regolarità dei conti sia su quello dell’efficacia della gestione.

L’horizontal accountability è il rapporto che intercorre tra una nazione e le altre e che se rispettato da’ autorevolezza alla nazione di riferimento ed è in grado, tra l’altro, di attrarre capitale per il PPP e, anche se con un alto debito pubblico, mette in sicurezza la nazione da speculazioni dei mercati. L’horizontal accountability si crea con un investimento ed una cultura adeguata.

Gran parte dei PPP, delle Regioni virtuose, le altre sono in gran parte ancora peggio, hanno gli asset in PPP pre D.lgs 50/2016 iscritte in off balance (fuori dal debito pubblico) in realtà come sottolineato dalla Corte dei conti europea e da quella italiana (regionale) dovrebbero essere iscritti dentro l’on balance (dentro il debito pubblico) non fosse altro per non aver rispettato il punto 55 del Government financing di Eurostat ; e questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare altri. Il finanziamento pubblico che supera il 50% di quello privato è inteso come una riduzione del rischio trasferito all’operatore economico.

In questo vi è un riferimento paradigmatico e si riferisce nei casi italiani anche all’abbondanza degli atti aggiuntivi che si attivano quando l’opera è stata costruita e si è in fase di O&M (funzionamento e manutenzione). Questo è un po’ il simbolo di una mancanza di cultura di chi è chiamato a ‘montare’ (assembly) un PPP dentro la formula dal t0 a t∑n che non può essere fatto con la cultura dell’appalto da t1 a t2.

Le regole internazionali a cui fa riferimento l’horizontal accountability sono date e poi si perfezionano e sono in costante cambiamento dentro un principio che deve però essere assimilato prima con una formazione e da una cultura e non lasciato all’improvvisazione. Nel caso di specie il punto 55 del Government financing di Eurostat è un punto in evoluzione e deriva da ESA 2010 (regole di bilancio), ESA 1995 affrontava il tema, ma lo contestualizzava solo alla costruzione; vale a dire al contributo pubblico per la costruzione di un’opera pubblica, ad una fase e non al processo, come se finita quella fase di montaggio D&C (progettazione e costruzione) poi tutte le variazioni (varianti) indistintamente fossero rese possibili (O&M). E’ una stessa cultura di programmazione che deve essere fatta ex ante attorno al t0 (Dalla Longa ).

Eurostat ed ESA danno i principi e poi li fanno evolvere, così è avvenuto da ESA 1995 a ESA 2010; il tema è il trasferimento del rischio dall’operatore pubblico a quello economico se si vuole che l’asset venga iscritto nel off balance.

La cultura e la formazione deve quindi passare attraverso il concetto di rischio trasferito, dai sistemi di controllo e verifica e dal modo in cui vengono pensati ed utilizzati gli strumenti di riferimento come il PEF (Dalla Longa, Amatucci). Per intenderci gli interventi di PPP pre D.lgs 50/2016 sono stati fatti, in buona parte, con le regole di ESA 1995 e sul Manuale EUROSTAT 2004 e non su quello 2016.

E’ però attorno al principio di rischio trasferito che deve essere formata una cultura e poi perfezionata nel tempo incluso i contratti in essere. Lo stesso esempio, per non far intendere che la matrigna sia l’Europa, lo si potrebbe fare con IAS 17 sul principio di contabilità internazionale dove il concetto di leasing finanziario ed operativo (attuale art. 187 del D.lgs 50/2016) applicato al leasing in costruendo è cambiato nel tempo proprio in merito al off-on balance. Non basta quindi cambiare o semplificare la procedura normativa nazionale del PPP in ambito di Codice dei contratti ma vale l’horizontal accountability.

Sul PPP abbiamo una cultura imperfetta del pre D.lgs 50 dobbiamo ora creare una cultura adeguata del post D.lgs 50 sul PPP che è più complicata e non può essere inghiottita dalla prassi della fase precedente.

Il PPP è una grande opportunità ma va costruita con strumenti e con una cultura adeguata e non con una facile semplificazione, pur auspicabile, iniziando magari con l’istituzione delle stazioni appaltanti qualificate ed un investimento attorno ad esse (Dalla Longa, 2018 ). Come segno tangibile di un cambiamento da PFI a PF2 per il Regno Unito e da pre a post D.lgs 50 potremmo iniziare ad utilizzare correttamente i termini per non confondere il pre e il post. Iniziamo con Codice dei contratti e non Codice degli appalti.